Il nemico nella tana: se gli antiabortisti possono accedere ai consultori

Il decreto Pnrr alla Camera, apre le porte ad associazioni “a sostegno della maternità”: sit-in a Montecitorio a sostegno della legge 194 sull’aborto.

  • La Camera approva il decreto Pnrr con dentro un emendamento che apre le porte dei consultori pubblici alle associazioni con esperienza nel sostegno alla maternità
  • Il rischio è quello che una donna che si rivolga al consultorio per un aborto finisca per subire pressioni psicologiche.
  • Pro Vita & Famiglia si dichiara “non interessata” a entrare nei consultori. in Italia nel 2021 il tasso di interruzioni volontarie di gravidanza è stato tra i più bassi al mondo.

Nel decreto varato dal governo per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, la Camera ha un inserito un emendamento che apre le porte dei consultori alle cosiddette associazioni ‘pro-vita’, ovvero antiabortiste. Scatenando le proteste di molti, in Parlamento ma anche nella società civile, che vedono nella norma un nuovo tentativo di affossare, o indebolire, la legge 194 sull’aborto.

Cosa c’entra il Pnrr con i consultori?

La prima domanda che sorgerà spontanea a molti è innanzitutto di metodo: che cosa c’entrano i consultori e l’aborto con il Pnrr? Ovviamente poco. Fatto che sta alla Camera la maggioranza, nei lavori per convertire in legge il decreto è riuscita a far inserire un emendamento, e a farlo votare con la fiducia, che prevede che le “Regioni organizzano i servizi consultoriali”, di accoglienza, ascolto e assistenza alle donne intenzionate a interrompere volontariamente una gravidanza, “nell’ambito della Missione 6 (quella dedicata alla salute) componente 1 (quella che si occupa della creazione delle case di comunità e della presa in carico delle persone), del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) e possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche della collaborazione di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel campo del sostegno alla maternità“. Praticamente, una donna che si rivolge a un consultorio per un aborto, potrebbe dover essere costretta a parlare con esponenti di associazioni pro file, che probabilmente tenteranno di dissuaderla.

A oggi, la legge 194 sull’aborto prevede già la possibilità di incontrare nei consultori associazioni del terzo settore, ma con altri scopi: per “aiutare la maternità difficile dopo la nascita”, per esempio, o per informare “sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza”. La più nota e importante tra le associazioni chiamate in causa dall’emendamento, Pro Vita & Famiglia, ha fatto subito sapere di non avere alcuna intenzione di entrare nei consultori “perché il nostro ambito di azione è la sensibilizzazione pubblica e l’influenza politica con campagne nazionali. Ciò non toglie l’urgenza di riportare i consultori al ruolo per cui furono pensati dalla Legge 194, cioè luoghi dove le donne possano essere aiutate a trovare alternative concrete all’aborto rimuovendo quelle situazioni di disagio socio-economico o di solitudine e abbandono che rendono l’autodeterminazione un vuoto slogan politico”.

Il sit-in della Rete nazionale dei consultori 

Nonostante questo l’allarme nell’associazionismo femminile, riunite nella Rete nazionale dei consultori, resta alto, tanto che in contemporanea con il voto di fiducia al decreto Pnrr si è svolto un piccolo sit-in di protesta davanti a Montecitorio, con slogan come ‘Fuori la Chiesa dalle nostre mutande’, ‘Sul mio corpo decido io’, ‘Fuori i pro vita dai consultori‘: “I consultori sono strutture sociosanitarie gratuite e laiche – ribadiscono – che garantiscono nei territori benessere e autodeterminazione attraverso il supporto ai percorsi di affermazione di genere e alle libere scelte sulla maternità e sull’aborto”.

Dopo il voto finale della Camera, il decreto dovrà passare anche per il voto del Senato, quindi ancora non c’è nulla di definitivo. Di sicuro c’è che nel 2021, ultimi dati disponibili, sono state notificate 63.653 interruzioni volontarie di gravidanza in Italia, uno tra i più bassi a livello globale, e che già in molte regioni la presenza di obiettori di coscienza negli ospedali italiani è così elevato (talvolta pari al 90 per cento) da rendere complicato per una donna trovare una struttura disposta a praticare l’intervento di aborto.

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