È per storie come quella di Satnam che dovremmo scusarci e ribellarci al caporalato

Il giovane bracciante indiano poteva salvarsi, se fosse stato soccorso in tempo dai Lovato, già indagati da 5 anni. A Latina la piazza prova a ribellarsi.

  • Satnam Singh, il giovane bracciante indiano morto nell’Agro-pontino, poteva essere salvato se fosse stato soccorso in tempo.
  • L’azienda in cui lavorava è sotto inchiesta già da 5 anni per caporalato, ma ha potuto continuare a fare profitti sulla pelle dei lavoratori.
  • Sono 230mila i braccianti sfruttati con paghe da 3-4 euro l’euro per 12 ore al giorno in Italia. “Storie per le quali dovremmo chiedere scusa e ribellarci” secondo Marco Omizzolo, ricercatore ed esperto di caporalato.

Satnam Singh, il bracciante indiano di 31 anni morto nell’Agro-pontino la scorsa settimana, poteva essere salvato. Era già l’ipotesi degli inquirenti, che infatti stavano già indagando per omicidio colposo, omissione di soccorso, ora è anche il responso dell’autopsia effettuata dai medici sul corpo dell’uomo, morto a causa di un “copioso sanguinamento”. Che poteva essere fermato se, invece che abbandonato senza un braccio di fronte alla sua abitazione in provincia di Latina, Singh fosse stato trasportato dal suo datore di lavoro direttamente al pronto soccorso, dopo l’incidente che gli era capitato nell’azienda agricola dove lavorava insieme alla moglie.

In nome di Satnam, la comunità indiana di Latina, insieme ai braccianti del Comune, ha indetto una manifestazione e una giornata di sciopero per oggi, 25 giugno, che segue quella di sabato scorso che ha visto la partecipazione di almeno cinquemila persone, sempre nel capoluogo della provincia pontina. “Mai avremmo pensato di trovarci di fronte ad un atto di questa ferocia” ha commentato Gurmukh Sing, presidente dell’associazione Comunità indiana del Lazio. “Abbiamo deciso di non rimanere a guardare mentre la nostra comunità continua a piangere i suoi fratelli”.

Satnam e la piaga del caporalato

Almeno, la morte di Satnam ha avuto l’effetto di riaccendere il dibattito sulla piaga del caporalato, fortissima proprio nella zona dell’Agro-pontino, il basso Lazio, ma diffusa un po’ ovunque nelle campagne italiane, dalla Puglia alla Calabria, dal Veneto alla Toscana. Nel 2021, secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto, basato su dati Istat, circa 230mila lavoratori erano impiegati irregolarmente nel settore primario, con una larga parte concentrata nel lavoro dipendente, che include una fetta consistente degli stranieri non residenti impiegati in agricoltura: è fondamentale che la società prenda atto di queste ingiustizie e si impegni per garantire diritti e dignità a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro origine o status legale.

“La vicenda ha portato in rilievo una situazione grave che sembra aumentare nel corso del tempo,” ha detto il procuratore di Latina Giuseppe De Falco. “Ci sono settori, come quello dell’agricoltura, che assumono personale che accetta di lavorare in assenza di forme di tutela e norme di sicurezza. L’appello verso coloro che assistono ad episodi del genere è quello di renderlo noto, denunciando”.

Neanche denunciare però a volte è sufficiente: da quello che emerge in queste ore, l’azienda Agrilovato, per la quale lavorava Satnam Singh, già da 5 anni è sottoposta a un’indagine per reati legati allo sfruttamento dei lavoratori e al caporalato, ma nel frattempo ha potuto continuare a produrre, arricchirsi, utilizzare manodopera a costi irrisori e senza tutele né sicurezza. Fino al caso dello sfortunato Satnam. Marco Omizzolo, ricercatore Eurispes, in due libri (Sotto padrone e Per motivi di giustizia) ha documentato lo sfruttamento dei lavoratori indiani e non nell’Agro pontino, infiltrandosi per 3 mesi come lavoratore al loro fianco, e cita diversi casi di processi sempre rinviati a seguiti di denunce di lavoratori stranieri, per via di un sistema in cui alla micro-criminalità imprenditoriale si lega anche collusione istituzionale, evidente anche nei mancati controlli, e presenza delle grande mafie organizzate, dalla camorra alla ndrangheta.

“Non è la prima volta che ci troviamo davanti a uomini, storie, donne che in questa provincia e non, da 20 anni non lavorano, ma vengono sfruttati, ridotti in schiavitù, umiliati come persone, obbligati a chiamare “padrone” il datore di lavoro, ad assumere sostanze dopanti per reggere lo sfruttamento, obbligati a subire violenze di diversa natura: non è questa l’Italia democratica fondata sul lavoro, recitata dalla nostra Carta costituzionale” ha scandito Omizzolo, nell’intervento divenuto più virale della manifestazione di sabato 22 giugno a Latina – Indignarci non basta più, dobbiamo ribellarci insieme, chiedere la cancellazione della legge Bossi-Fini” sull’immigrazione clandestina, “delle logiche che hanno ispirato i decreti sicurezza, il decreto Cutro, i decreti flussi”. E cambiare la legge sulla cittadinanza, ha sottolineato Omizzolo, per concedere diritti a chi li merita davvero: “Satnam non votava, il padrone di Satnam sì”.

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