Pronti per il futuro?

10 artisti impegnati per l’emergenza climatica

La presa di coscienza della tematica ambientale nella musica risale all’aprile del 1970, con la nascita negli Stati Uniti dell’attuale movimento ambientalista e l’istituzione della Giornata della Terra dedicata alla natura e alla conservazione. Il primo inno rock ambientale moderno è quello della cantautrice canadese Joni Mitchell, che nella canzone Big yellow taxi parla di “pavimentazione

La presa di coscienza della tematica ambientale nella musica risale all’aprile del 1970, con la nascita negli Stati Uniti dell’attuale movimento ambientalista e l’istituzione della Giornata della Terra dedicata alla natura e alla conservazione. Il primo inno rock ambientale moderno è quello della cantautrice canadese Joni Mitchell, che nella canzone Big yellow taxi parla di “pavimentazione del paradiso per costruire un parcheggio”. Un successo che, ancora oggi, fa da apripista a numerosi musicisti e artisti impegnati a fronteggiare la distruzione ambientale. Vecchie e nuove generazioni a confronto, tra cui spiccano Massive Attack, Billie Eilish, Grimes, Lana Del Rey, Thom Yorke, Björk, Paul McCartney, Brian Eno, The 1975 e Childish Gambino.

Joni Mitchell nel 1968
Joni Mitchell nel 1968 © Getty Images

Mezzo secolo di inni ambientali e artisti impegnati, da Joni Mitchell ai giorni nostri

Un anno dopo Joni Mitchell, la voce vellutata di Marvin Gaye in Mercy mercy me (the ecology) avverte dell’impatto dell’inquinamento su uccelli e pesci, mentre i Beach Boys di Don’t go in the water invitano a riflettere sul problema dell’acqua. Usando immagini apocalittiche, i Pixies di Monkey’s gone to heaven nel 1989 cantano del buco dell’ozono.

L’album “Crash” di Dave Matthew’s Band del 1996 presenta due salmi per l’ambiente, Proudest monkey e Too much, quest’ultimo apertamente critico nei confronti del consumismo e del capitalismo incontrollato con testi espliciti quali “Mangio troppo / bevo troppo / voglio troppo”. I Pearl Jam scrivono pezzi socialmente consapevoli, come Do the evolution del 1998, dove Eddie Vedder canta di come l’uomo stia piegando la Terra alla sua volontà, trasformando splendidi paesaggi in superfici impervie e inquinate. Neil Young, un artista da sempre sensibile al tema, nel 2009 dedica l’intero album Fork in the road alle fonti energetiche alternative e alla mobilità elettrica.

Chris Martin dei Coldplay
Chris Martin in concerto con i Coldplay © Kevin Winter/Getty Images

L’urgenza di The 1975, Billie Eilish, Grimes, Lana Del Rey, Childish Gambino

Eppure, fino a un anno fa, la maggior parte dei musicisti non era pronta ad affrontare la crisi climatica. Unire attivismo ambientale e musica era considerato banale (Bono Vox ne sa qualcosa), non molto cool e perfino poco redditizio. I Coldplay, annunciando di non andare in tour fino a quando i concerti non saranno più ecosostenibili, hanno rinunciato di fatto a centinaia di milioni di biglietti venduti per i loro concerti. Senza peraltro sapere che avrebbero dovuto rinunciarci comunque a causa della pandemia.

Billie Eilish ai Grammy Awards 2020
Billie Eilish © Frazer Harrison/Getty Images

Il 2019 è l’anno in cui il cambiamento climatico inizia davvero a cambiare la musica. A cominciare dai The 1975, quando lo scorso luglio pubblicano una “canzone” omonima con il discorso di Greta Thunberg su una base sonora appena accennata. Altri musicisti preferiscono mandare messaggi più personali anche se altrettanto “politici”. Come Billie Eilish, al momento l’artista più famosa, giovane e schietta sulla crisi climatica. La quale, in qualsiasi situazione e con ogni mezzo possibile, sia esso un videoclip o un’intervista, invita all’azione immediata per il clima: “Se non cambiamo, moriremo”.

Lana Del Rey in concerto
Lana Del Rey © Stephanie Keith/Getty Images

Proprio come Eilish, Lana Del Rey sa quali profondi cambiamenti stia portando la crisi climatica e ci vuole rendere partecipi. Nella canzone The greatest, dove recita malinconicamente testi quali “L.A. è in fiamme, sta diventando caldo” e “La vita su Marte non è più solo una canzone”, canta dei crescenti incendi della California, di come un’intera generazione sia bruciata, della speranza come risorsa in esaurimento.

Un’altra cantante che ha scelto di immergersi a fondo nella questione è la canadese Claire Boucher, in arte Grimes. Il suo quinto lavoro uscito a marzo, Miss anthropocene, è un concept album sui cambiamenti climatici. Il titolo si riferisce al nome di una presunta dea creata per personificare la minaccia globale in modo allusivo, nichilista e apocalittico.

Grimes
Grimes © Daniel Boczarski/Getty Images for Ketel One

Nel suo ultimo album in studio, l’attore, cantante e artista a tutto tondo Childish Gambino trasmette in modo cristallino le proprie ansie su razzismo, invecchiamento, detenzione di massa, cambiamenti climatici e dipendenza dalle tecnologie. Già il precedente singolo Feels like summer, solo in apparenza una leggera melodia estiva, è un campanello d’allarme per la crisi climatica, che causa caldo estremo, mancanza d’acqua, scomparsa delle “api da cui dipendiamo” e degli “uccelli che con il loro canto un tempo ci svegliavano”.

La perseveranza di Massive Attack, Thom Yorke, Björk, Paul McCartney, Brian Eno

Se gli artisti delle generazioni Y e Z nascono già con flebili speranze e non possono che giocarsi tutto quello che hanno, meno scontate sono le motivazioni di musicisti più navigati, attivisti di lunga data che però non intendono demordere sulle sorti del pianeta. I Massive Attack, in prima linea sulle questioni ambientali, hanno commissionato al Tyndall center for climate change research dell’università di Manchester uno studio per indagare l’impatto ambientale dei propri live e fornire soluzioni concrete all’industria musicale sulla riduzione della propria impronta ambientale. Il risultato è visibile in apertura del loro sito web.

Insieme a Robert Del Naja dei Massive Attack, diversi artisti impegnati tra cui Thom Yorke e Brian Eno, hanno firmato una lettera aperta in risposta a chi li accusa di ipocrisia quando vanno in tour, inquinando, mentre combattono l’emergenza climatica. Il testo, che appoggia il movimento di disobbedienza civile per il clima Extinction Rebellion, ammette che “l’industria musicale lascia alte impronte di carbonio”, ma spiega anche che “senza un cambiamento sistemico, i nostri stili di vita continueranno a causare danni ecologici”.

Nel 2016, Thom Yorke e i Radiohead pubblicano un brano intitolato “The numbers”, inizialmente pensato come “Silent spring”, dedicato al manifesto antesignano del movimento ambientalista della biologa Rachel Carson. Il falsetto di Yorke fornisce un promemoria sul fatto che “apparteniamo alla Terra / a lei torniamo” e, nonostante le enormi sfide poste dai cambiamenti climatici, ci incoraggia a “riprendere ciò che è nostro / un giorno alla volta”.

Per certi artisti non è sufficiente parlare, si deve agire. Da tempo Björk cerca di convincere cittadini e governi a prestare attenzione ai cambiamenti climatici. Il suo album del 2011 “Biophilia” significa “amore per la natura”, mentre quello del 2017 si intitola “Utopia”, senza bisogno di ulteriori spiegazioni. La cantante islandese non fa mai riferimenti espliciti al cambiamento climatico, ma nelle sue composizioni infonde sempre un senso di rispetto per il pianeta.

Bjork
Bjork © Koichi Kamoshida/Getty Images

Uno che non molla mai, infine, è Paul McCartney. Tre anni dopo la sua partecipazione al progetto Love to the earth, un inno ambientale lanciato dall’Onu nel 2015 insieme a Jon Bon Jovi, Sean Paul, Sheryl Crowe, Leona Lewis, Fergie e altri, l’ex Beatle pubblica l’album “Egypt station”, contenente il brano Despite repeated warnings contro i negazionisti climatici, dove tuttavia riflette la frustrazione per l’inazione climatica. Come spiega in un’intervista, la canzone sfida l’idea che “andrà tutto bene, di non preoccuparsi”. Un po’ come di questi tempi, in piena crisi per la pandemia, quando ci si ostina a ripetere #andràtuttobene.

Immagine di copertina: Massive Attack © Maya Hautefeuille/Afp/Getty Images

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