Nel report del VII Index Future Respect tutte le ombre e le luci dei report di sostenibilità. Ma tra i migliori spicca quello realizzato per Pizzoli.
10 startup al femminile: storie italiane di creatività e innovazione sostenibile, fuori dagli stereotipi
Body positivity, sessualità, circolarità, moda e tecnologia: le startup al femminile guidano il cambiamento verso un mondo più inclusivo e sostenibile.
Le startup al femminile sono una rara eccezione o qualcosa di più? I numeri di Unioncamere ci dicono che in Italia le imprese guidate da donne sono più di 1,3 milioni e, nell’arco degli ultimi cinque anni, sono aumentate a un ritmo ben più elevato rispetto a quelle guidate da uomini: +2,9 per cento contro +0,3 per cento. Questo succede anche nel campo della tecnologia, nonostante l’evidente squilibrio di genere tra gli iscritti alle facoltà stem (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica): le donne sono soltanto il 32 per cento, contro il 68 per cento degli uomini. Certo, di ostacoli da superare ce ne sono ancora, e sono rilevanti. Per citarne uno, durante l’emergenza sanitaria si è assistito a un rallentamento della nascita di queste imprese, a testimonianza del fatto che le donne siano state particolarmente penalizzate nel mondo del lavoro. Anche in considerazione di questo fattore, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) stanzia oltre 400 milioni di euro per sostenere l’imprenditoria femminile, tra finanziamenti a fondo perduto e a tasso agevolato.
LifeGate Way, la controllata del gruppo che mette in rete startup naturalmente sostenibili, ha incontrato tante donne che hanno dato vita a startup sulle quali oggi vogliamo accendere una luce. Ve ne raccontiamo dieci che interpretano la sostenibilità a attraverso gli occhi e i bisogni delle donne, perchè innovazione, tecnologia e scienza devono essere al servizio del benessere di tutti. Startup al femminile che trovano la loro forza nell’intelligenza artificiale, nella chimica e nell’It ma anche nella gentilezza, nella cura, nella libertà e nella ricerca del benessere personale. Le imprenditrici che le guidano sono molto diverse tra loro, ma hanno qualcosa in comune: lasciandosi alle spalle gli stereotipi, sfoderano la loro forza di innovare e coinvolgere gli altri, per dare al mondo una spinta verso i valori in cui credono.
Dieci startup al femminile scelte da LifeGate Way:
- Chitè Milano
- Green Vibes
- Fili Pari
- VillageCare
- Bi-rex
- Gaia my friend
- Orange Fiber
- Hacking Talents
- Alma Underwear
- Circularity
Chitè Milano
Dalle donne, per le donne. Quando hanno fondato Chité, Chiara Marconi e Federica Tiranti si sono rivolte a tutte coloro che non si ritrovano nell’offerta di intimo sul mercato e cercano un prodotto di qualità che si adatti al proprio corpo. Perché i modelli sono standardizzati e imposti dalle mode, ma ogni fisico è unico. L’innovazione tech permette a Chitè di rispondere a quest’esigenza, offrendo lingerie slow couture di alto livello ma in modo tutto nuovo. L’utente infatti può personalizzare i modelli inserendo le proprie misure all’interno di una piattaforma online 3D. A realizzarli saranno corsettiste italiane che lavorano nel distretto piemontese; una scelta che ha anche l’obiettivo di sostenere questa professione che sta per scomparire. I materiali sono certificati e la seta è sostituita dal raso di poliestere, così da non dover ricorrere ad approvvigionamenti dall’estero. Chitè inoltre lavora per creare consapevolezza nella propria community su temi quali l’uguaglianza di genere, la body positivity e l’amore per il proprio corpo.
Green Vibes
Valentina Dell’Arciprete, Chiara Maggio e Serena Moro, insieme a Paolo Meola, si sono poste un obiettivo: rendere più sostenibile l’industria del sesso e del piacere. Lubrificanti, preservativi e sex toys infatti sono molto inquinananti, perché realizzati con materiali plastici non riciclabili. La mancanza di una stretta regolamentazione inoltre permette di utilizzare materiali a buon mercato ma di dubbia qualità e sicurezza per il corpo e l’ambiente. La loro risposta si chiama Green Vibes ed è un marketplace online che commercializza sex toys e prodotti legati al benessere psico-sessuale realizzati con materiali a basso impatto ambientale, come la giada, il vetro e le bioplastiche vegetali. Oltre a questo, consumano poca energia e usano soltanto batterie ricaricabili. Prodotti di alta qualità, quindi, che rispettano rigidi parametri di sicurezza, durano più a lungo e generano meno spreco. Questa startup al femminile mostra un’attenzione anche alla dimensione sociale della sostenibilità, perché filiera è attentamente controllata e sposa i principi del commercio equo e solidale. All’insegna della parola d’ordine “sextainability“, Green Vibes propone all’utente un percorso di conoscenza di sé e dei propri desideri, ma anche dell’impatto delle proprie scelte.
Fili Pari
L’attività estrattiva e la moda, la solidità del marmo e la leggerezza del tessuto. Due mondi apparentemente agli antipodi. A farli incontrare è Fili Pari, ideata da Francesca Pievani e Alice Zantedeschi. A partire dalla polvere di marmo ricavata dagli scarti dell’attività estrattiva, questa startup al femminile ha brevettato Marm more, un microfilm con cui vengono trattati i tessuti, rendendoli impermeabili, antivento e traspiranti, resistenti all’abrasione e alle fiamme. Un materiale decisamente non convenzionale per il tessile, da utilizzare nella creazione di capi etici e versatili che rispettano i principi dell’economia circolare, trasformando gli scarti in opportunità. Per portare alla sua massima espressione questo principio, è stata lanciata anche una collezione in nylon riciclato. La colorazione dei capi è naturale e deriva dal tipo di marmo tagliato in cava, che può essere bianco, nero, verde o rosa.
VillageCare
Sono soprattutto le donne a occuparsi dei parenti fragili, per tradizione e predisposizione naturale. Sono soprattutto le donne a dover scegliere se dedicarsi alla cura di un parente o seguire la propria carriera, spesso sacrificando quest’ultima. E sono donne le socie di VillageCare, startup che si pone come una bussola per i caregiver: le ideatrici Silvia Turzio e Paola Casalino e la socia operativa Jennifer Della Lucia. In collaborazione con le imprese, VillageCare offre pacchetti di welfare aziendale che permettono al dipedente di organizzare al meglio i servizi per il parente a carico, sollevandosi almeno in parte dalle incombenze burocratiche e logistiche. I benefici sono tangibili in termini di produttività sul lavoro e – cosa ancora più importante – di serenità. VillageCare lavora anche con le compagnie di assicurazione, attraverso polizze ad hoc per i caregiver. Così facendo si colloca in un’area poco battuta in Italia, dove il servizio sanitario è concentrato sulle situazioni particolarmente gravi e, per tutte le altre casistiche, bisogna accollarsi i costi dell’assistenza privata.
Bi-rex
Nonostante il numero delle ricercatrici universitarie in ambito Stem sia nettamente inferiore rispetto a quello degli uomini, anche in ambiti prettamente tecnologici ci sono startup al femminile capaci di ottenere grandi risultati. È il caso di Bi-rex, fondata da due ricercatrici del Politecnico di Milano, Greta Colombo Dugoni e Monica Ferro, che realizza polimeri plastici da prodotti di scarto dell’industria dell’agrifood. Dai residui di lavorazione di birra, riso e agrumi si ricava la cellulosa da utilizzare ad esempio nell’industria del packaging, oppure in quella di tovaglioli e fazzoletti di carta; con i gusci di crostacei e insetti invece si produce la chitina, biopolimero usato nel trattamento delle acque, nella produzione di bioplastiche e nell’agricoltura biologica. Il potenziale in termini di sostenibilità è notevole, visto che di norma per ottenere cellulosa e chitina servono processi chimici impattanti ed energivori, che consumano materie prime vergini e utilizzano sostanze dannose per l’ambiente. Al contrario, il processo proposto da Bi-rex è versatile ed ecosostenibile anche grazie all’uso di solventi non tossici e riutilizzabili, creati ad hoc dalla startup.
Gaia my friend
Arianna Pozzi, imprenditrice di Pescara classe 2003, con la sua startup fashion tech vuole assecondare i gusti e le attitudini dei ragazzi come lei. Giovani costantemente connessi, abituati a usare le app per innovare il mondo della moda, trovando nuove ispirazioni, nuovi stili e nuovi prodotti. Meglio ancora se hanno un occhio di riguardo per la sostenibilità. Gaia my friend si pone come un’amica fidata che consiglia l’outfit giusto in base allo stato d’animo dell’utente e agli abiti presenti nel suo guardaroba, in modo tale da farli durare di più nel tempo, uscendo dalla logica della moda usa e getta. Al tempo stesso, propone abbonamenti con capi da acquistare sui marketplace più celebri, ma anche sui siti di marchi giovani, etici e made in Italy. Il funzionamento dell’app ricalca la classica dinamica che si insaura tra amiche, determinate ad affermare la propria personalità anche mediante il look. In questo caso, l’amica del cuore (Gaia, appunto) è affiancata da una community che a sua volta può offrire i suoi feedback. Il tutto bloccando sul nascere hate speech e cyberbullismo.
Orange Fiber
Dagli agrumeti della Sicilia alle collezioni che fanno il giro del mondo. Gli scarti delle arance dell’industria alimentare vengono trasformati in cellulosa, poi filati e tessuti per dare vita a creazioni di moda dall’animo sostenibile grazie a un processo brevettato da Orange Fiber, startup al femminile guidata da Enrica Arena. La scelta di Catania come sede dell’azienda e dello stabilimento produttivo, così come la forte caratterizzazione identitaria della materia prima di partenza, gli agrumi, danno conto del radicamento nel territorio della startup e della sua founder. Il processo è un esempio da manuale di upcycling, cioè di valorizzazione di quelle risorse che la vecchia economia lineare considererebbe soltanto come rifiuti da smaltire. Non solo. Per le case di moda, il tessuto a base di arance diventa un valido sostituto rispetto alle fibre sintetiche, prodotte a partire dai combustibili fossili. Un’opportunità da non perdere, in un momento storico in cui l’intero settore fashion è chiamato a ridurre il suo macroscopico impatto ambientale.
Hacking Talents
I numeri di Openpolis ci dicono anche un’altra cosa interessante: che di norma le ragazze sono talmente condizionate dalle aspettative sociali da avere poca fiducia nelle proprie capacità nelle discipline scientifiche. Questo condiziona i loro risultati e le loro scelte di vita. C’è un’altra startup al femminile, Hacking Talents, che lavora in ambito risorse umane proprio per supportare le persone che stanno definendo (o ridefinendo) la propria vita professionale. Questo avviene attraverso un ecosistema che mette in connessione il professionista e le aziende, sulla base di valori quali collaborazione, gentilezza e scambio intergenerazionale. La differenza rispetto alle comuni piattaforme di recruiting sta nel fatto che Hacking Talents utilizza la tecnologia per indirizzare i talenti nella direzione giusta. A partire da un test di autovalutazione delle proprie competenze e attitudini, l’utente può accedere a percorsi formativi ad hoc su diversi temi (leadership, personal branding, imprenditoria, digitale, transitional coaching), tenuti dai partner della piattaforma. Hacking Talents è una realtà giovanissima (l’hanno fondata a dicembre 2021 Federica Pasini, Teresa Baldini e Nadia Lorini), ma può già contare su un’ampia rete di partner e su una grande attenzione da parte dei media.
Alma underwear
Dopo gli smartphone, gli smart watch e le smart tv, è arrivata l’ora degli smart slip? Giulia Tomasello e Isabel Farina, insieme a Ryo Mizuta e Tommaso Busolo, hanno creato Alma underwear, un innovativo dispositvo health tech pensato per il benessere femminile. Si tratta di uno slip che contiene un sensore che misura il pH e altri parametri delle secrezioni vaginali, un microprocessore e un’antenna che comunica i dati a un’app installata nello smartphone. Uno strumento utile soprattutto in fase pre-diagnostica, ovvero appena iniziano a sorgere i primi sintomi di una possibile infezione genitale o di una malattia sessualmente trasmissibile. In un’ottica di empowerment femminile, lo smart slip aiuta a conoscere meglio il proprio corpo e a capire che non c’è niente da vergognarsi a parlare della propria salute intima. Un messaggio fondamentale e non ancora pienamente recepito, visto che ancora oggi tante donne si lasciano frenare dalla vergogna e tendono a rinviare i controlli medici.
Circularity
L’economia circolare è la strada obbligata per coniugare la crescita economica con l’uso oculato delle risorse della natura. Il passaggio dalla teoria dalla pratica, però, non è così immediato. Alessandra Fornasiero e Camilla Colucci hanno fondato Circularity immaginando che l’impresa del futuro possa soddisfare il proprio bisogno di materie prime attraverso l’uso efficiente degli scarti di produzione di altre filiere.
Il produttore può inserire nella piattaforma gli scarti che ad oggi gestisce come rifiuti e sottoprodotti, al fine di trovare impianti di recupero, trasportatori e utilizzatori che possano prenderli in carico e inserirli in un nuovo ciclo produttivo. Creando queste opportunità concrete di collaborazione, Circularity fa la sua parte per diffondere la cultura della circolarità. Una cultura che passa anche per il ripensamento dei processi produttivi e dei modelli di business. Per questo motivo, la startup al femminile offre anche servizi di consulenza e supporto mirato per la gestione di materiali particolarmente delicati, come plastica e carta.
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