Come la Russia vede l’11 settembre, da Pinochet alle Torri gemelle
Questa data simbolica ha segnato diversi momenti di svolta nelle relazioni tra Russia e Stati Uniti che, proprio in corrispondenza dell’11 settembre, hanno alternato fasi di tensione e cooperazione. Prima di sprofondare in una crisi profonda.
Nel giorno in cui il Segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica (Urss) Leonid Brezhnev accoglieva in Crimea una delegazione dall’Afghanistan e sulle pagine della Pravda, il principale organo di stampa del Partito comunista, si celebravano i successi agricoli del Paese, dall’altra parte del mondo, in Cile, l’esercito guidato dal generale Augusto Pinochet si preparava al colpo di Stato che portò alla destituzione e alla morte di Salvador Allende, il primo presidente marxista democraticamente eletto del continente sudamericano. Era la mattina dell’11 settembre 1973, cinquanta anni fa, e il popolo cileno si svegliò all’improvviso sotto una delle più spietate dittature del dopoguerra.
L’ombra degli Stati Uniti sul Cile
Nei giorni scorsi, alla vigilia del 50esimo anniversario del golpe, gli Stati Uniti (Usa) hanno declassificato due nuovi documenti sul colpo di stato di Pinochet: i report, redatti per il presidente Richard Nixon fra l’8 e l’11 settembre 1973, si aggiungono alla lista di documenti che suggeriscono il coinvolgimento delle autorità statunitensi dell’epoca nella caduta di Allende. A mezzo secolo di distanza, dunque, i sospetti dei russi verso gli Stati Uniti trovano nuove conferme e il loro j’accuse contro l’ingerenza di Washington negli affari interni di altri Paesi si cementifica.
Da lì l’equazione: le analogie tra le interferenze in Cile e le rivoluzioni colorate che negli anni Duemila hanno interessato una parte degli Stati post-sovietici, tra cui l’Ucraina, sarebbero evidenti. E il fatto che ci siano voluti cinquanta anni per rendere pubblici quei due briefing apparentemente “innocui” (come scrive il quotidiano britannico Guardian “non è chiaro il motivo per cui siano stati tenuti riservati” visto che “non rappresentano una minaccia evidente per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”) non fa che corroborare la tesi dei russi: i piani geopolitici degli Usa a livello globale seguirebbero una trama precisa, ordita proprio nel “laboratorio latinoamericano”, così come lo ha definito Tatiana Vladimirskaya, ricercatrice dell’Istituto dell’America Latina dell’Accademia russa delle scienze all’indomani dell’annessione della Crimea da parte della Russia, avvenuta nel 2014 per “difendere” la popolazione locale di lingua russa. Lì, in Sudamerica, gli Usa avrebbero “testato e poi messo in pratica diversi scenari, successivamente implementati in toto o in parte in altri Paesi del mondo”. Ucraina compresa.
Dal golpe di Pinochet alla rivoluzione arancione
E visto che la storia non si ripete, ma fa spesso rima con sé stessa, citando un aforismo attribuito allo scrittore statunitense Mark Twain, la retorica propagandata in Russia casca sempre lì: in entrambi i casi — sia nel Cile di Allende, sia nell’Ucraina di Yanukovich — per minare l’ordine interno, Washington avrebbe puntato su elementi di estrema destra e su fattori di destabilizzazione economica, facendo leva anche sulle divisioni etniche, come quelle tra i coloni europei e il popolo originario dei Mapuche in Cile.
In Urss, d’altronde, non ci sono mai stati dubbi: in un articolo del 13 settembre 1973 la Pravda scriveva: “I rappresentanti delle corporazioni americane, la cui proprietà in Cile è stata nazionalizzata, non nascondono la propria soddisfazione in merito al colpo di stato (…) È noto che l’International Telephone & Telegraph (Itt) ha cercato di impedire l’elezione di Salvador Allende durante le ultime elezioni presidenziali con l’aiuto della Cia, offrendo per l’operazione un milione di dollari”.
Nulla di nuovo quindi, oggi come allora. “Ci sono molte ragioni che ci portano a individuare le radici e l’esperienza delle rivoluzioni arancioni (il movimento di protesta nato in Ucraina dopo le elezioni presidenziali del 2004, ndr), e dei colpi di Stato militari, negli eventi cileni”, ha commentato l’ex direttore dell’Istituto dell’America Latina dell’Accademia russa delle scienze Vladimir Davydov. Con l’aggravante, secondo alcuni opinionisti russi, che gli Stati Uniti muoverebbero le fila di certi eventi storici non da soli, ma con l’appoggio di un “intreccio transnazionale di varie forze politiche”. Da qui il complotto. Da qui la fobia di una minaccia esterna ai danni della Russia.
Le Torri gemelle e la fase di collaborazione
Eppure ci sono state delle parentesi nell’arco della Storia in cui le relazioni tra Washington e Mosca hanno conosciuto momenti più felici. Una di queste si è aperta esattamente lo stesso giorno di 28 anni dopo: l’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 sembrò porre le basi per una nuova fase di collaborazione. La minaccia globale del terrorismo islamista servì in parte a ricucire il tessuto lacerato delle relazioni fra i due Paesi: il presidente russo Vladimir Putin infatti fu il primo capo di Stato a esprimere la propria solidarietà all’allora presidente statunitense George W. Bush, paragonando l’attacco dell’11 settembre agli attentati islamisti contro alcuni edifici residenziali nelle città russe.
Sedotta da questa chiamata alle armi che secondo alcuni avrebbe potuto giustificare con la lotta al terrorismo la guerra in Cecenia, piccola repubblica del Caucaso, Mosca parve intenzionata a mettere da parte l’offesa per l’allargamento negli anni Novanta della Nato (Organizzazione del trattato del nord atlantico), o il malumore per le forti critiche ricevute all’indomani del nuovo attacco alla Cecenia nel 1999, o i dissidi per la crisi del Kosovo e il bombardamento della Nato sulla Serbia.
Il sostegno di Mosca agli Stati Uniti
Nonostante il parere contrario di alcuni ufficiali delle forze armate russe, nelle prime fasi dell’operazione statunitense in Afghanistan, Mosca dimostrò il suo sostegno a Washington offrendo il proprio territorio e lo spazio aereo per facilitare l’accesso ai rifornimenti.
Così come ricorda Nadia Arbatova, responsabile del dipartimento di studi politici europei presso l’Istituto per l’economia mondiale e le relazioni internazionali dell’Accademia russa delle scienze, “la maggioranza dell’opinione pubblica russa, dei partiti politici, della stampa e dei burocrati militari era favorevole al sostegno morale della Russia agli Stati Uniti”.
Il 74 per cento della popolazione russa vedeva di buon occhio l’alleanza tra i due ex rivali nella lotta al terrorismo internazionale, secondo un sondaggio di quegli anni.
“La decisione di Putin di schierarsi a fianco degli Stati Uniti può essere spiegata in vari modi, ma a mio avviso — ha detto Arbatova — la ragione principale è che la partecipazione della Russia alla coalizione anti-talebana ha fornito a Putin un’occasione d’oro per svolgere la sua missione principale: ricostruire lo status della Russia (…) su un piano di parità con l’Occidente”.
Il nuovo strappo
Today marks 20 years since the start of the war in Iraq.
This timeline traces the conflict, which resulted in nearly 4,500 Americans and well over 100,000 Iraqis killed, and $800 billion spent by the United States. https://t.co/QQebG85Wfc
— Council on Foreign Relations (@CFR_org) March 20, 2023
Ma la luna di miele è durata poco. L’attacco americano del 2003 all’Iraq, stato con cui Mosca aveva solidi rapporti; le rivoluzioni colorate in Georgia (2003), Ucraina (2004) e Kirghizistan (2005), dietro le quali, secondo il Cremlino, vi sarebbe stato lo zampino statunitense; l’allargamento della Nato e dell’Unione europea a est nel 2004; il summit Nato del 2008 a Bucarest, durante il quale fu chiara la volontà americana di schierare il sistema di difesa anti-missili balistici in Polonia e Repubblica Ceca. E ancora: l’idea che Ucraina e Georgia potessero diventare membri dell’alleanza atlantica e lo scoppio del conflitto russo-georgiano non fecero che bloccare il riavvicinamento che c’era stato dopo l’11 settembre 2001. Le divergenze su molte questioni internazionali, il sospetto che la rivoluzione arancione in Ucraina avesse seguito lo stesso copione cileno, il timore che le mosse degli Stati Uniti e i loro discorsi sulla cooperazione anti-terroristica celassero invece la volontà di rafforzare precisi interessi geopolitici camuffati da proclami di libertà e democrazia, non hanno fatto che alimentare la sfiducia e la diffidenza dei russi. Il resto è storia recente.
Oggi, a distanza di oltre venti anni dall’attacco alle Torri gemelle, resta il triste sospetto che all’inizio del Ventunesimo secolo Russia e Occidente abbiano davvero sprecato un’occasione importante per costruire un rapporto migliore.
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