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Il 19 febbraio ricorre la strage dimenticata del colonialismo italiano ad Addis Abeba
Un pogrom delle truppe italiane che costò la vita a migliaia di persone ad Addis Abeba. Una pagina buia del colonialismo in Etiopia che richiede un Giorno della memoria.
Sono trascorsi 87 anni dal tragico massacro avvenuto ad Addis Abeba il 19 febbraio 1937, conosciuto anche come Yekatit 12, un doloroso capitolo della storia coloniale italiana che ha lasciato un’impronta indelebile nel tessuto sociale dell’Etiopia. Ancora oggi, il 19 febbraio è una giornata di ricordo nel paese africano, mentre in Italia rimane largamente ignorato.
Questo brutale atto di violenza, nel quale persero la vita migliaia di persone, fu una risposta sproporzionata a un attentato fallito contro Rodolfo Graziani, all’epoca viceré d’Etiopia, durante l’occupazione italiana del territorio iniziata due anni prima.
I fatti storici che portarono al massacro di Addis Abeba
Il 19 febbraio 1937, due giovani studenti eritrei lanciarono otto bombe a mano contro Graziani ed altre autorità italiane, radunate per una cerimonia ufficiale. L’attentato provocò sette morti e una cinquantina di feriti, tra cui lo stesso Graziani. La rappresaglia che ne seguì, venne guidata dal federale fascista della capitale, Guido Cortese, che sguinzagliò per la capitale dell’Etiopia centinaia di squadre d’azione, che si dedicarono ad una forsennata e sanguinaria – come venne battezzata all’epoca – “caccia al moro”.
L’azione durò per tre giorni (iniziò il pomeriggio di quella stessa giornata e proseguì senza sosta fino al 21), durante i quali furono assassinati moltissimi etiopi. Le stime delle vittime variano notevolmente, riflettendo la complessità e l’opacità degli eventi di quella tragica settimana e dei giorni successivi. Gli etiopi, fin dal settembre 1945, quando presentarono un Memorandum al consiglio dei ministri degli esteri riunito a Londra, parlano di circa 30.000 morti, mentre le cifre fornite dallo stesso Graziani nei suoi rapporti con Mussolini, indicano in circa un migliaio le persone passate per le armi e altrettanti tucul bruciati nei giorni del massacro. Uno dei maggiori storici del colonialismo italiano, Angelo Del Boca, stima circa in 3.000 le vittime dei primi tre giorni di violenze ad Addis Abeba, cifra ripresa anche dallo storico Giorgio Rochat, che però ipotizza che la cifra potrebbe essere più alta, circa 6.000, come lascerebbero intendere le carte custodite nell’archivio militare “Fondo Graziani”. Lo storico Ian Campbell, invece, applicando diverse metodologie, stima in circa 19.000 le vittime etiopi, includendo anche le uccisioni avvenute nelle settimane seguenti.
Quel che è certo è che la rappresaglia italiana proseguì anche in forma militare, cioè ufficiale, sistematica e legale, sotto il diretto controllo delle autorità. Circa 400 alti notabili vennero deportati in Italia, mentre altri furono condotti in campi di concentramento improvvisati a Nocra, in Eritrea e a Danane, in Somalia. Moltissimi indovini, cantastorie ed eremiti – rei di profetizzare la rapida disfatta degli invasori – furono arrestati ed eliminati. I soli carabinieri, tra febbraio e maggio del 1937, fucilarono 2509 etiopici.
Il racconto di un testimone oculare e la rappresaglia contro i monaci in Etiopia
Angelo Del Boca riporta nel suo libro “Italiani, brava gente?” il racconto di un testimone oculare, Antonio Dordoni, raccolto il 26 marzo 1965: “Nel tardo pomeriggio [del 19 febbraio – n.d.r.], dopo aver ricevuto disposizioni dalla Casa del fascio, alcune centinaia di squadre composte da camicie nere, autisti, ascari libici, si riversarono nei quartieri indigeni e diedero inizio alla più forsennata caccia al moro che si fosse mai vista. In genere davano fuoco ai tucul con la benzina e finivano a colpi di bombe a mano quelli che tentavano di sfuggire ai roghi. Intesi uno vantarsi di essersi fatto dieci tucul con un solo fiasco di benzina. Un altro si lamentava di avere il braccio destro stanco per il numero di granate che aveva lanciato”.
“Molti di questi forsennati li conoscevo personalmente. Erano commercianti, autisti, funzionari, gente che ritenevo serena e del tutto rispettabile. Gente che non aveva mai sparato un colpo durante tutta la guerra e che ora rivelava rancori ed una carica di violenza insospettati, Il fatto è che l’impunità era assoluta. Il solo rischio che si correva era quello di guadagnarsi una medaglia. Che io sappia, i carabinieri intervennero una sola volta, per impedire che si bruciassero i magazzini dell’indiano Mohamedally”.
Uno degli episodi più gravi della condotta italiana avvenne nella città conventuale di Debrà Libanòs, i cui monaci furono accusati di aver protetto i terroristi che avevano compiuto l’attentato a Graziani. Stando al rapporto steso dal generale Pietro Maletti, responsabile dell’azione, il 21 maggio 1937 vennero uccisi 297 monaci (compreso il vice-priore) e 23 laici (ma secondo altre fonti, probabilmente in quell’occasione gli etiopici assassinati furono almeno mille). Inoltre, il 26 maggio, Graziani ordinò l’esecuzione di tutti i diaconi (129 persone) e di altri 276 individui tra insegnanti e studenti di teologia. Nell’insieme, la sola rappresaglia contro Debrà Libanòs provocò la morte di almeno 1.400 etiopici.
Perché serve un Giorno della memoria per le vittime del colonialismo italiano
Lo scrittore Wu Ming 2, autore di un articolo pubblicato su Internazionale qualche anno fa, ha sottolineato la gravità e la crudeltà di questo massacro, definendolo “tra i tanti crimini del colonialismo italiano, uno dei più disgustosi e spietati, perché commesso lontano dai campi di battaglia, senza nemmeno l’alibi di una guerra in corso”. È stato un atto indiscriminato e disumano che ha colpito principalmente civili innocenti, e che ancora oggi non ha trovato giustizia.
Questo oscuro episodio della storia italiana deve rimanere vivo nella memoria collettiva. Nel 1955 è stato eretto un obelisco nella capitale dell’Etiopia, in memoria delle vittime della strage. L’obelisco è noto anche come “monumento alle vittime del fascismo” o “monumento dei martiri” o “Sidist kilo”, che è anche il nome del quartiere. Rappresenta un monito contro l’abuso di potere, l’ingiustizia e la violenza indiscriminata.
Di recente, alcuni parlamentari italiani, tra cui Laura Boldrini, hanno proposto l’istituzione di un “Giorno della Memoria per le vittime del colonialismo italiano”. Per ora, però, rimane una proposta di legge che testimonia quanto sia cruciale che la società italiana e quella internazionale riconoscano e ricordino le sofferenze inflitte durante il periodo coloniale, affinché si possa imparare dagli errori del passato e costruire un futuro basato sulla pace, la giustizia e il rispetto dei diritti umani.
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