A febbraio, in Irlanda, è stato introdotto un sistema di riciclo della plastica che ha permesso di raccogliere 630 milioni contenitori.
Natura, clima, e migrazioni. Cosa vedere alla Biennale d’arte di Venezia
La relazione con la natura, i cambiamenti climatici e i grandi scenari delle migrazioni al centro delle più interessanti installazioni in mostra alla Biennale di Venezia, fino al 24 novembre.
May you live in interesting times, ovvero che possiate vivere in tempi interessanti. È questo il titolo della 58esima Biennale d’arte di Venezia. “Un titolo – secondo Paolo Baratta, presidente della Biennale – che evoca l’idea di tempi sfidanti e persino minacciosi, ma anche un invito a vedere e considerare sempre il corso degli eventi umani nella loro complessità, tema che appare particolarmente importante in tempi nei quali troppo spesso prevale un eccesso di semplificazione, generato da conformismo o da paura”.
Tra le molte partecipazioni nazionali che si possono visitare fino al 24 novembre (Arsenale e Giardini di Venezia, ingresso 25 euro), le opere presentate nei padiglioni del Ghana e dei Paesi Nordici sono quelle che colpiscono di più. Gli artisti ghanesi raccontano la semplicità della vita africana, dove lavorare con i materiali di recupero fa parte della tradizione e diventa metafora dei grandi temi attuali come le migrazioni. Gli artisti scandinavi declinano il tema dei cambiamenti climatici e delle trasformazioni sulla natura e sugli umani.
“La mostra – ha aggiunto Ralph Rugoff, curatore della Biennale – mira a celebrare la capacità dell’arte di stimolare domande e confronti complessi. Esplora il modo in cui l’opera d’arte solleva domande su come delineiamo confini e frontiere culturali”.
La complessità dei nostri tempi vista dagli artisti ghanesi
Il padiglione del Ghana alias Ghana Freedom è presente per la prima volta alla Biennale di Venezia. La curatela è di Nana Oforiatta Ayim, scrittrice, filmmaker e storica dell’arte e progettato dall’architetto londinese di origine ghanese sir David Adjaye Obe, Adjaye Associates.
Concepito come una struttura continua ed ellittica, il padiglione all’Arsenale è suddiviso in moduli ovali, dedicati ciascuno all’esposizione delle opere di un artista che danno ai visitatori un senso di fluidità dello spazio. Il riferimento culturale che ha guidato il concetto spaziale è quello dell’architettura tipica delle case tradizionali in terra battuta e delle strutture cilindriche tipiche dei villaggi dell’Africa occidentale. Le pareti curvilinee sono uniformate dall’intonaco in diverse sfumature cromatiche delle terre: giallo, ocra, beige, sfumature di marrone.
Il lavoro di sei artisti originari del Ghana presenti nel padiglione rappresentano tre generazioni e hanno acquisito notorietà internazionale: Felicia Abban, John Akomfrah, El Anatsui, Ibrahim Mahama, Selasi Awusi Sosu e Lynette Yiadom-Boakye.
Lo sguardo degli artisti africani sulla vita quotidiana
Felicia Abban è stata la prima donna fotografa professionista del Ghana. Ha imparato a fotografare da ragazzina nello studio del padre e ha aperto il suo primo studio a Accra, la capitale, nel 1953. È stata la fotografa personale del primo Presidente – Kwame Nkrumah- e ha documentato con i suoi splendidi ritratti in bianco e nero l’eleganza e la regalità delle donne del paese nonché se stessa con i numerosissimi autoritratti, antesignani degli attuali selfie.
John Akomfrah è un noto filmmaker di nazionalità inglese che ha documentato nel tempo la situazione post coloniale e la dispora dei migranti.
Ibrahim Mahama, giovane artista emergente si è affermato come autore di installazioni che hanno come soggetto la trasformazione dei materiali per esplorare i temi della migrazione, della globalizzazione e degli scambi economici. È l’autore dell’opera di impacchettamento con centinaia di sacchi di juta, simbolo del suo paese d’origine, dei caselli daziari di Porta Venezia a Milano (nel 2018) che aveva realizzato nel 2015 alla 56° Biennale di Venezia che lo ha portato alla ribalta internazionale.
Leggi anche: Milano, i dazi di Porta Venezia impacchettati con la juta: l’opera di Ibrahim Mahama
Selasi Awusi Sosu è un’ artista multimediale che utilizza il vetro come materiale per le sue sculture e installazioni, la fotografia e il video come strumenti di rappresentazione del suo linguaggio espressivo.
Lynette Yiadom-Boakye ritrae nei suoi grandi quadri persone, dettagli e scene di vita quotidiana viaggiando nell’Africa occidentale con l’anima di uno storyteller. Il suo racconto visivo è fatto di poesia, musica, colore, incanto e meraviglia che il suo occhio poetico coglie nel semplice fluire della vita.
El Anatsui è considerato un pioniere della scultura africana che ha influenzato un’intera generazione di artisti. Nel padiglione del Ghana si trovano i suoi lavori monumentali e affascinanti, enormi arazzi metallici dalle dimensioni tali da poter rivestire intere facciate di edifici, realizzati con migliaia di frammenti di metallo riciclato e con un lavoro manuale immane. Sconvolge la quantità degli elementi, la precisione del lavoro di assemblaggio che li traduce da scarti senza valore in tasselli di un’opera d’arte che non è necessario spiegare o capire, ma che va diritta al cuore della gente. La bellezza materica e cromatica delle opere lasciano letteralmente senza fiato e i visitatori si aggirano lentamente in questo spazio magico rimanendoci a lungo, senza aver voglia di andar via.
Il focus sui cambiamenti climatici degli artisti scandinavi
Il padiglione dei paesi nordici ai Giardini della Biennale è uno spazio essenziale e luminoso progettato dall’architetto norvegese Sverre Fehn e realizzato nel 1962, con due lati completamente vetrati, che ben rappresenta lo spirito del Nord, ed è estremamente flessibile per accogliere installazioni e opere d’arte di natura molto diversa. Il progetto dell’edificio con i tre alberi che lo attraversano è, oltretutto, uno dei primi esempi di integrazione armonica tra la natura e l’ambiente costruito.
In un’epoca in cui i cambiamenti climatici e l’estinzione di massa minacciano il futuro della vita, gli esseri umani hanno la responsabilità di rinegoziare le relazioni tra specie. Piia Oksanen e Leevi Haapala
Weather report, Forecasting Future, Previsioni del tempo, previsioni future è il tema scelto quest’anno dai curatori Piia Oksanen e Leevi Haapala, direttore del Kiasma museum of contemporary art di Helsinki.
L’arte racconta la trasformazione dell’uomo e dell’ambiente
La declinazione del tema è stata affidata alle installazioni di tre artisti scandinavi: Ane Graff, Ingela Ihrmam e il collettivo artistico Nabbteeri.
Ane Graff crea opere che uniscono la sua ricerca sui materiali con un’ampia gamma di discipline di ricerca come la microbiologia e la chimica. La sua installazione è costituita da oggetti esposti in vetrine in continua mutazione e trasformazione fisica che rendono osservabile il modo in cui anche il corpo umano è esposto e legato agli agenti esterni come i batteri e la tossicità dell’ambiente.
L’installazione di alghe di Ingela Ihrman, intitolata Un gran giorno per le alghe marine, racconta la storia delle origini liquide del corpo umano e le connessioni esistenti tra diverse forme di vita.
Il collettivo artistico Nabbteeri raccoglie materiali e oggetti riciclati, presi in prestito o rimodellati in installazioni stratificate. La loro installazione si intitola Compost ed è il tentativo di creare un ecosistema autosufficiente e generativo all’interno dei locali del padiglione e di far rivivere un habitat multispecie dove un tempo cresceva un sicomoro.
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Quella di quest’anno è la 57esima Biennale d’arte di Venezia: si intitola Viva arte viva e sono esposti 120 artisti da 51 paesi, dei quali 103 per la prima volta, visitabile dal 13 maggio al 26 novembre. La mostra, curata da Christine Macel, curatore capo del Musée national d’art moderne – Centre Pompidou di Parigi, è affiancata da 86 partecipazioni nazionali negli storici padiglioni ai Giardini, all’Arsenale
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