Pezzi unici che conservano la patina del tempo e la memoria della loro storia con legni e metalli di recupero: è il progetto di design sostenibile di Algranti Lab.
Stefano Mirti. Con queste 999 domande scopriamo che il futuro dell’abitare è qui
Stefano Mirti è un personaggio che sfugge alle definizioni e alle convenzioni: si definisce un progettista, un insegnante e di volta in volta un’altra cosa. Autore di progetti innovativi, originali e fuori dagli schemi, oggi è il curatore della mostra 999. Una collezione di domande sull’abitare contemporaneo, che apre al pubblico della Triennale di Milano il 12
Stefano Mirti è un personaggio che sfugge alle definizioni e alle convenzioni: si definisce un progettista, un insegnante e di volta in volta un’altra cosa. Autore di progetti innovativi, originali e fuori dagli schemi, oggi è il curatore della mostra 999. Una collezione di domande sull’abitare contemporaneo, che apre al pubblico della Triennale di Milano il 12 gennaio. Una mostra speciale fatta di domande e non di risposte, ideata per coinvolgere i visitatori, pensare, generare stimoli e altre domande. Innovativa anche nel modo in cui è stata progettata con il contributo di un centinaio di soggetti e preceduta da un’intensa comunicazione sui social media.
Sta per aprire alla Triennale di Milano la mostra 999 domande sull’abitare contemporaneo. Come hai deciso di declinare il tema?
Il tema è l’abitare, l’innovazione e i modi con cui noi abitiamo. L’idea è che a mio avviso l’innovazione avviene su tre assi: tecnologico, di costume e sociale. Oggi abbiamo cose che prima non avevamo, ci sono il wi-fi e strumenti tecnologici sofisticati. Poi c’è il lato di costume: i miei genitori non si sarebbero mai sognati di affittare una stanza della loro casa a uno sconosciuto o ancora meno di andare loro in affitto temporaneamente a casa di sconosciuti. Oggi a tutti noi piace Airbnb. Ma anche ai miei genitori piace Airbnb! Quindi in tempi repentini cambiano i costumi. E poi, certo, c’è anche il lato sociale. Nella città di Milano ci sono, ad esempio, centinaia di migliaia di single, persone che vivono da sole per tante ragioni. La casa è sempre stato un modello per la famiglia e, quindi, se cambia la composizione della famiglia cambia anche la casa.
Questi tre assi definiscono la nostra idea dell’abitare. Non è una mostra sulla casa del futuro, perché, secondo me, viviamo nel futuro: ci abbiamo messo 200 anni da Jules Verne a Star Trek e finalmente abitiamo nel futuro!
Per fare un esempio, queste sono le prime 13 domande formulate. Ne restano 986!
1. E se la casa fosse quello che sta fuori?
2. E se gli spazi privati diventassero pubblici?
3. Con chi abiterò domani?
4. La casa è una funzione lineare della famiglia. E se la famiglia non c’è più?
5. La casa di proprietà è una necessità?
6. E se casa mia diventasse una comune?
7. Come funziona la casa di una famiglia estesa?
8. Condividere il salotto?
9. Una volta si viveva in un posto e si lavorava in un altro. Adesso, per molti di noi, non è più così. Che cosa sta succedendo?
10. E quelli che non hanno una casa?
11. E se capitasse a noi di rimanere senza casa?
12. Con Airbnb una stanza di casa mia va in affitto. E se invece io volessi affittare un salotto o una cucina? Come potrebbe funzionare?
13. Quando saremo diventati tutti anziani, come saranno le nostre case?
È una mostra innovativa per il modo in cui l’hai pensata e strutturata con una rete di centinaia di contributi: quali sono i soggetti che hai coinvolto nel progetto?
Esatto, è una mostra che possiamo definire post-autoriale, perché la mia idea è che non siamo più in un tempo dove c’è un architetto, mettiamo Le Corbusier, che si sveglia un mattino con un’idea grandiosa da proporre al mondo. È una tessitura, con soggetti diversi che lavorano in multinazionali, aziende, startup, centri di ricerca, scuole, attivisti, community: ognuno inventa, ragiona, mette a punto e questa grande tessitura definisce il mondo in cui noi viviamo.
Come a una festa, immagina che ho invitato una decina di persone e ciascuna di loro poteva invitare altre persone. La struttura è dunque ramificata: si espande. Sono coinvolti una cinquantina di soggetti in modo intenso, in maniera morbida un centinaio che sicuramente andranno a crescere in modo esponenziale man mano che ci avviciniamo all’apertura della mostra per via di chi ci continua a contattare con nuove proposte.
Perché la mostra, nel comunicato stampa che è stato divulgato, è definita misteriosa e per certi versi indecifrabile?
La mostra non vuole essere compilativa o esaustiva, io non ho un grande foglio dove dico ‘ci va questo e quello, troviamo uno o una’, ma è una ramificazione. C’è una serie di persone che abbiamo contattato, ognuna delle quali riversa nella mostra il suo immaginario. Incontro le persone, racconto l’idea della mostra, chiedo a cosa stanno lavorando: se lavorano a un progetto innovativo sulla Playstation per esempio, ok, portiamo la Playstation in mostra; se lavorano sugli homeless ‘meraviglia!’ portiamo quest’idea in mostra. Quello che ho fatto è far partire questa ramificazione di persone, soggetti, aziende, centri di ricerca, community e ognuno di questi riversa nella mostra il proprio contributo sul tema dell’abitare.
Da cui ‘misteriosa e un po’ criptica’, perché nessuno sa a monte cosa capiterà. Quando coinvolgiamo gli amici di scuole come Domus Academy, alla fine si tratta di un processo generativo. Capisco, ho progettato il processo di addizione, ma ora qui non so a monte cosa sarà, è una mostra fluida, un processo in divenire.
Per quale pubblico hai immaginato la mostra?
La sfida è di fare una mostra non per addetti ai lavori, ma per famiglie con bambini, affinché possano trovare interessante passare un pomeriggio in Triennale. Sarà una mostra di esperienze, mi piacerebbe fosse una mostra ‘hands on’, dove la gente fa, pigia, tocca, prova, gioca. Non una mostra dove vai e vedi delle cose, ma dove ‘fai’ delle cose. Per questa ragione, l’unico vincolo che abbiamo dato a tutti i soggetti che sono stati coinvolti è che deve essere divertente, affascinante per il visitatore che immaginiamo essere generalista, non specialista.
Com’è il progetto di allestimento?
Sarà come una grande casa dove il visitatore compirà un vero e proprio viaggio esperienziale nei nuovi modi di abitare. L’allestimento è a cura di Petra Tikulin, una designer che dopo aver studiato alla Naba anni fa è tornata a casa in Croazia e fa cose belle. Immagina una struttura modulare in metallo realizzata con tubi Innocenti, un grande sistema di scansioni con i tubi che simboleggia un po’ il cantiere, un sistema in divenire, che cambia. Questa modularità è organizzata con una serie di pannelli preziosissimi dell’azienda Caimi che vanno a definire degli ambienti.
L’illuminazione sarà molto speciale, con luci dell’azienda Fontana Arte. Su questo tema abbiamo lavorato con Francesco Librizzi. Si entra in un ambiente a luci basse, si ha l’effetto della grande struttura a ponteggi e gli ambienti diversamente illuminati in cui contribuiscono anche l’acustica e i diversi suoni. In ognuno di questi ambienti saranno ospitati una serie di contenuti. Alcuni di questi contenuti saranno lì per tutta la durata della mostra, altri invece per un certo tempo – un mese, un giorno, un’ora.
Lo spazio in Triennale e l’allestimento sono da intendersi come un grande palinsesto dove alcune cose sono fisse e altre cambiano a seconda del tempo. È una mostra da visitare più volte. Ci saranno convegni, incontri, performance, conferenze. È come un grande festival più che una mostra nel senso tradizionale del termine.
Tra le 999 domande aperte sul tema dell’abitare, quali sono a tuo parere le più urgenti o quelle prioritarie che richiedono risposte e soluzioni a breve?
Questa domanda presuppone un sistema verticale: un sistema dove qualcuno stabilisce dei ‘top-down’, una lista di valori tra cui un curatore sceglie ciò che ritiene più importante, mentre io ho fatto partire un gioco ‘bottom-down’ dove io condivido le mie 3 domande, ad esempio, ‘Quando saremo anziani come vivremo?’, auspicando che siano di stimoli per chi legge per altre domande.
Ho scelto di fare una mostra che si intitola 999 domande anziché 7 domande da cui passa il mondo o 5 risposte, esattamente per non rispondere alla domanda su quali domande sono prioritarie! 999 domande vuole suggerire che viviamo in una condizione in cui coesistono molteplici domande. Quelle che a te sembrano più importanti per me possono essere risibili; quelle che a me sembrano fondamentali a un’altra persona possono apparire assolutamente impensabili. La sfida è avere coscienza che siamo in un mondo dove ognuno di noi ha delle domande, che sono importanti, esigono risposte immediate, ma dobbiamo tener conto che intorno a noi ci sono altre persone con altre domande e altre esigenze che richiedono anche quelle risposta immediata. Io ho le mie domande in testa, ma come curatore non potrei dire ‘questa domanda è più importante’. Ogni giorno sul canale di Instagram e facebook pubblichiamo nuove domande. Abbiamo messo in cantiere la produzione di 999 micro-video su Instagram ognuno dei quali ha una domanda. Le domande, tranne le prime per avviare il gioco, non sono fatte da me e dal gruppo curatoriale. Ognuno dei soggetti coinvolti a seconda di quello che fa e dei propri interessi genera le domande, ma è una cosiddetta ‘call for action’, perché le persone che ci seguono hanno iniziato a farci le loro domande. Il motivo per cui abbiamo iniziato con i social, con LifeGate, tre mesi prima della mostra da un lato è per generare l’audience della mostra, ma soprattutto per produrre una parte dei contenuti della mostra, attivare un meccanismo per cui ci arrivano informazioni su tanti nuovi progetti in corso, che so… dagli orti urbani a qualsiasi altro soggetto di interesse nel campo dell’abitare.
Sostenibilità, attenzione all’ambiente e radicamento delle nostre scelte nello stile di vita sono temi generali di interesse della mostra, altrimenti non avresti coinvolto LifeGate, vero?
Abbiamo pensato di coinvolgere gli amici di LifeGate sul tema della comunicazione digitale e social: da un lato è un riconoscimento della qualità delle persone che lavorano in LifeGate, che conosco bene perché abbiamo lavorato insieme per Expo 2015 per due anni sul tema della comunicazione, ma soprattutto dal mio punto di vista è un’apertura importante verso i temi che hai citato. Anziché fare io come curatore dichiarazioni sull’importanza di questi temi, mi è sembrato importante far entrare LifeGate nel gruppo curatoriale, perché sapevo che avrebbe contribuito a portare l’attenzione e i riflettori su una serie di temi che sono in tutto e per tutto importanti e interessanti. Da questo punto di vista la domanda a monte della mostra ‘Come si progetta una mostra economicamente sostenibile nel 2017?’, che coinvolge persone diverse ognuna delle quali dà un contributo, in un processo circolare, guarda al mondo con lo stesso spirito che contraddistingue la community di LifeGate e non può, quindi, prescindere dai temi della sostenibilità. Se ciascuno di noi si ponesse nella propria attività nella vita di tutti i giorni queste domande sicuramente sarebbe un mondo più interessante e plausibilmente migliore.
Nella mostra c’è anche un’apertura verso mondi lontani, come le megalopoli asiatiche e africane, dove l’abitare e la visione del futuro dell’abitare sono profondamente diversi dalla nostra visione occidentale?
Sì, ci sono domande ‘lontane’. È curioso perché uno lancia il sasso – la domanda – che viene raccolta da altri. Abbiamo coinvolto persone che vengono da aree geografiche lontane, come gli architetti di All(zone) di Bangkok: lavoreranno sul tema degli spiriti. Nella loro cultura è molto importante il concetto che le case siano abitate anche dai nostri antenati, dalle persone che hanno vissuto prima di noi. Loro faranno un lavoro su questo tema che ho trovato straordinario. Un gruppo di Taiwan farà un lavoro sul tema delle scale condominiali che secondo loro sono la chiave di volta del progetto dell’abitare. Nel progetto della mostra c’è sempre questa dinamica di lanciare un messaggio e di vedere come chi lo raccoglie non sempre risponde come tu ti aspetteresti, ma in modi del tutto inaspettati.
Abbiamo contributi che arrivano dalla Romania, da Israele, dal Messico. Ho capito che i partecipanti non guardano in maniera univoca e didascalica al tema della mostra, ma in maniera un po’ ellittica! Il Politecnico di Milano, che sta sviluppando una ricerca con la facoltà di biologia sull’alga spirulina di cui si parla molto oggi, porterà un contributo sul tema di come ci nutriremo in futuro, con una grande struttura ingegneristica/architettonica futuribile che stimolerà molte altre domande. Da questo punto di vista la mostra è dialogica, è un luogo di conversazione pubblico e prende forma e sostanza con il contributo del visitatore.
999 domande sull’abitare contemporaneo. Triennale di Milano, dal 12 gennaio al 2 aprile 2018. La mostra è a pagamento, il biglietto intero costa 9 euro, si può conservare per visite successive alla mostra al costo di 2 euro ciascuna. Ridotto 7,5 / 6,5 euro; biglietto unico per tutte le mostre 12 euro. La Triennale è aperta dal martedì alla domenica, dalle 10:30 alle 20:30.
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