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La gestione attiva e sostenibile di boschi e foreste permette la creazione di reddito per gli operatori e di conservare gli habitat. Per questo il progressivo abbandono delle aree verdi potrebbe impoverire il patrimonio boschivo italiano.
In Italia si tagliano pochi alberi. Ma, strano a dirsi, non si tratta necessariamente di una buona notizia. Un bosco gestito e curato attivamente, infatti, può rappresentare una risorsa sia per il territorio, che per la comunità che con esso vive. Oggi l’Italia è il terzo importatore di legname in Europa, ma se si vanno a guardare le medie europee, il nostro Paese è quello con la percentuale più bassa per quanto riguarda il tasso di utilizzo annuo del patrimonio boschivo: si va da una media europea del 60 per cento, contro quella italiana del 30 per cento (fonte: Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, Crea). La gestione attiva del bosco e delle foreste, però, permette di avere alberi più sani, capaci di assorbire più CO2 e di fornire reddito a chi con gli alberi ci lavora. Non solo, un bosco ben gestito, permetterebbe di prevenire gli incendi e di ridurre il rischio di dissesto idrogeologico.
Ad oggi però, nonostante la domanda di prodotti legnosi in Italia sia particolarmente elevata, si stima infatti che il settore forestale italiano coinvolga lungo l’intera filiera del legno circa 80mila imprese, per oltre 500mila occupati, la gestione dei boschi e il taglio controllato presentano ancora numeri bassi. La copertura forestale infatti continua a crescere e tocca oggi circa 11 milioni di ettari, circa il 34 per cento del territorio italiano. Il minimo storico di prelievo di legname si è toccato nel 2013, con poco più di 5,8 milioni metri cubi, valore record che si registrò solo nel 1934.
E ciò accade nonostante non manchino gli strumenti per una gestione sostenibile delle foreste, che permettono di assicurare una fonte di reddito ai proprietari terrieri e a chi si occupa di silvicoltura, e di conservare allo stesso tempo le risorse naturali proteggendone la biodiversità.
A dimostrarlo sono i 63.584 ettari di foreste certificate secondo lo standard Fsc (Forest stewardship council) con 17 aziende certificate per la gestione forestale e 2.200 certificate per la Catena di custodia, un incremento del 48 per cento degli ettari di boschi certificati e un incremento del 6 per cento delle aziende attive lungo la filiera.
Secondo i dati invece forniti da Pefc, altro standard di gestione forestale sostenibile, in Italia circa l’8 per cento (796.161,42 ettari) delle foreste italiane viene sfruttato seguendo i criteri ambientali del marchio.
Ma c’è un altro modo di valorizzare i boschi italiani. È quello messo in atto più recentemente sempre da Fsc, grazie al Pes (Pagamento per i servizi ecosistemici), ovvero alla valorizzazione economica di una serie di servizi accessori come lo stoccaggio dell’anidride carbonica, la prevenzione del dissesto idrogeologico, la ricarica delle falde acquifere, la conservazione della biodiversità.
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Ad oggi sono già attivi due progetti in Italia: il primo è l’Associazione forestale di pianura (Afp), dove otto enti locali del Veneto orientale si sono riuniti per gestire, valorizzare e monitorare l’offerta di servizi ecosistemici attraverso la gestione comune e condivisa di foreste e pinete litoranee, promuovendoli con forme di turismo “slow”. Il secondo esempio è la sottoscrizione, nei primi mesi del 2018 del primo contratto dedicato al Pes nel settore della pioppicoltura sostenibile da parte del Parco Oglio Sud a Cremona. A dimostrazione che i boschi italiani sono una risorsa, che ha bisogno di essere gestita in maniera responsabile e sostenibile.
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