La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Il tribunale ha assolto Antonio Centofanti accettando la sua versione secondo cui il colpo con cui ha ucciso l’orso sarebbe partito per sbaglio.
L’orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus), sottospecie endemica dell’Italia centrale, è uno dei mammiferi più rari del pianeta. Si stima che nel territorio del parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e zone limitrofe ne vivano appena cinquanta esemplari. Nel settembre del 2014, a Pettorano Sul Gizio, un operaio di 65 anni, Antonio Centofanti, ha ucciso un orso marsicano con un colpo di fucile alla schiena. Il plantigrado sarebbe stato “colpevole” di aver ucciso alcune galline dell’uomo, che razzolavano incustodite in una zona frequentata da diversi predatori. A quattro anni di distanza il giudice del tribunale di Sulmona, accogliendo la tesi della difesa e la richiesta di assoluzione del Pm, ha assolto l’imputato “perché il fatto non costituisce reato”, dando dunque credito alla versione dell’uomo secondo il quale il colpo di fucile partì accidentalmente.
Non sono ancora state pubblicate le motivazioni della sentenza, ma sembra che il giudice Marco Billi abbia accolto la tesi della difesa secondo cui il colpo letale sarebbe partito accidentalmente dal fucile dell’imputato, mentre questi stava cadendo a terra dopo che si era ferito a una gamba. Nelle prime dichiarazioni spontanee rilasciate agli inquirenti nel 2014, l’uomo disse che era uscito imbracciando il fucile per difendere la sua famiglia e che, una volta trovandosi davanti l’orso, aveva avuto paura e indietreggiando era caduto facendo partire fortuitamente un colpo.
È francamente difficile credere a tale versione alla luce di diversi elementi. Innanzitutto l’uomo è uscito con il fucile armato, con il colpo in canna e senza sicura, lasciando dunque presagire l’intenzione di usarlo. In secondo luogo il medico veterinario che ha effettuato l’autopsia sull’animale e un esperto perito balistico hanno sottolineato come l’orso sia stato ucciso da un colpo di fucile sparato alla schiena, quando l’animale era dunque in fuga e non rappresentava alcun rischio per l’incolumità dell’uomo.
Il parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise ritiene che il messaggio che può emergere dalla sentenza sia molto pericoloso per la conservazione dell’orso marsicano. “C’è un evidente rischio di compiere la generalizzazione secondo la quale uccidere un orso non è un reato – si legge nel comunicato. – C’è il pericolo che possa emergere e diffondersi l’idea che la risposta più naturale ad un orso che si avvicina ad un’abitazione sia quella di sparargli. Questo sarebbe devastante, perché noi ci troveremo sempre più a fare i conti con animali che si avvicinano alle aree antropizzate e dobbiamo imparare a conviverci, non a risolvere il problema con l’eliminazione del presunto intruso”.
La Lav, che il 14 novembre scorso è stata ammessa parte civile nel procedimento, ha commentato con amarezza la sentenza. “Ancora non sono note le motivazioni per cui i giudici del tribunale di Sulmona hanno assolto l’uomo, ma sarebbe assurdo se fosse stata confermata l’ipotesi di una reazione conseguente a uno “stato di necessità” – ha dichiarata Massimo Vitturi, responsabile Lav Area Animali selvatici – non può essere riconosciuto lo stato di necessità quando si spara alla schiena di un animale in fuga”. L’organizzazione animalista ha inoltre dichiarato che farà ricorso in appello contro questa sentenza.
Orso ucciso “per sbaglio”. Anche @Parcoabruzzo come noi dice che sentenza primo grado è pericolosa https://t.co/USCgkIsXXB Bene che riflettano su necessità ricorso in Appello
— Gianluca Felicetti (@glfelicetti) 11 aprile 2018
Nonostante l’orso marsicano sia il simbolo del parco e la sua presenza attiri turisti da tutto il mondo, questo mite plantigrado (nell’ultimo secolo l’orso marsicano non ha mai attaccato l’uomo) è ancora oggi vittima di un feroce bracconaggio. Dagli anni Settanta ad oggi oltre ottanta orsi sono stati uccisi con armi da fuoco o con il veleno. Questi odiosi crimini restano impuniti nella maggior parte dei casi, è infatti molto difficile trovare i responsabili. Prima di Antonio Centofanti l’ultimo responsabile di un atto di bracconaggio nei confronti di un orso d’Abruzzo individuato e processato risaliva a oltre trenta anni fa. Questo non fa che accrescere la delusione per la sentenza di assoluzione. Anziché punire in maniera esemplare il colpevole, lanciando un chiaro segnale ai bracconieri e schierandosi in difesa di una specie ufficialmente protetta dagli anni 30 dello scorso secolo, patrimonio di tutti i cittadini italiani, è stato assolto in maniera grottesca. In fondo, potrebbe pensare qualcuno, era solo un orso.
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