C’è una persona a terra sull’asfalto, scalza e con le mani alzate. È circondata da tre agenti della polizia locale che la prendono a calci, le spruzzano in faccia lo spray al peperoncino e la colpiscono ai fianchi e in testa con un manganello. La violenza va avanti per quasi un minuto, e finisce solo quando gli uomini in divisa riescono ad ammanettare la vittima.
Contrariamente a quanto può sembrare dalla descrizione, questa scena non è avvenuta negli Stati Uniti ma a Milano il 24 maggio del 2023, di fronte alla biblioteca dell’università Luigi Bocconi. Ne siamo a conoscenza per un unico motivo: un residente ha ripreso tutto dalla sua abitazione, e il video è diventato virale anche a causa della sua crudezza.
Le reazioni non si sono fatte attendere. Il sindaco Giuseppe Sala ha parlato di un “fatto veramente grave”, mentre la senatrice Ilaria Cucchi ha annunciato che farà un’interrogazione parlamentare e che intende “andare fino in fondo su questa vicenda”.
Il deputato di Fratelli d’Italia Stefano Maullu ha invece espresso “piena solidarietà ai vigili che hanno fatto il dovere”. Silvia Sardone, commissaria della Lega per la provincia di Milano, ha accusato la sinistra di avere già “la sentenza [di colpevolezza] in tasca”.
Al di là della polemica politica, quella breve clip ha riportato in primo piano il tema degli abusi in divisa – un tema di cui in Italia non si parla mai abbastanza, o se ne parla quando riguarda altri paesi.
Come si è arrivati al pestaggio della polizia locale a Milano
Ma come si è arrivati a quella scena? In base alle prime ricostruzioni, l’intervento della polizia locale sarebbe iniziato intorno alle otto di mattina nei pressi del parco Trotter in via Giacosa. Alcuni passanti, hanno riferito fonti del Sindacato unitario lavoratori Polizia locale (Sulpl), avrebbero segnalato la presenza di una donna transgender di origini brasiliane che “urlava frasi senza senso” e si “denudava in mezzo alla strada” (una circostanza in seguito smentita dagli inquirenti).
La donna sarebbe stata poi caricata “a fatica” in una volante e avrebbe finto un malore per scappare. A quel punto sarebbe scattato l’inseguimento – in cui un agente si sarebbe addirittura fatto dare un “passaggio volante da un cittadino in scooter” – culminato infine nel pestaggio. Sempre secondo le informazioni trapelate finora, la donna non è stata posta in stato di fermo ma denunciata a piede libero per resistenza a pubblico ufficiale.
La versione del Sulpl, tuttavia, non è stata confermata dal Comune o dalla magistratura. L’assessore alla sicurezza, Marco Granelli, ha comunicato che “gli agenti coinvolti sono stati distaccati a servizi interni”. La procura, dal canto suo, ha aperto un fascicolo di indagine per lesioni aggravate dall’abuso della pubblica funzione.
La profilazione razziale e sessuale delle forze dell’ordine italiane
Se da un lato gli accertamenti seguiranno il loro corso, dall’altro il contenuto del video è inequivocabile: non esiste alcun protocollo che contempli un intervento del genere. O almeno: non esiste in via ufficiale. Casi del genere, infatti, sembrano dimostrare l’esistenza di protocollo ufficioso basato sulla profilazione razziale e sessuale.
L’espressione, secondo la definizione della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri), designa una “pratica persistente” compiuta dalle forze dell’ordine senza “alcuna giustificazione oggettiva e ragionevole” quando procedono a operazioni di controllo o sorveglianza, mosse soprattutto da “pregiudizi fondati sulla razza, il colore della pelle, la lingua, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica”.
In Italia il termine è poco conosciuto, e si scontra con la percezione che sia un fenomeno che riguardi solo gli Stati Uniti. Non è affatto così: in base al rapporto “Esseri neri nell’UE” dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, il 70 percento del campione italiano intervistato riteneva di essere stato sottoposto a profilazione razziale.
A differenza di altri paesi, su tutti il Regno Unito, non esistono però dati specifici. Bisogna dunque affidarsi alla cronaca, oppure alle denunce fatte sui social network da chi subisce controlli motivati dal pregiudizio razziale.
Lo stesso discorso vale per le persone transgender, colpite da un doppio stigma a livello sociale e poliziesco. Per le sex worker transgender straniere la situazione è ancora più critica, come ha spiegato Pia Covre, fondatrice del Comitato per i diritti civili delle prostitute: “vengono continuamente identificate, fermate, allontanate anche più volte al giorno”, ma denunciano raramente per paura di peggiorare una situazione già estremamente precaria.
In tal senso è emblematica la testimonianza di una donna transgender ricattata sessualmente e minacciata dai carabinieri della stazione Levante di Piacenza, sequestrata nel luglio del 2020. “Se non collabori [con noi, ndr]”, le aveva detto il comandante della caserma, “in un modo o nell’altro ti frego e ti mando in Brasile”.
I precedenti abusi in divisa
Insomma: il caso di Milano non è isolato, né tanto meno il primo in cui vengono coinvolti agenti di polizia locale.
Nel settembre del 2008, a Parma, il 22enne Emmanuel Bonsu era stato scambiato per un pusher e arrestato illegalmente da una pattuglia di vigili in borghese “in evidente stato di sovraeccitazione e di esaltazione”. Al commissariato il ragazzo era stato picchiato e ricoperto di insulti razzisti. Gli agenti – in seguito condannati a vario titolo – si erano persino fatti una “foto ricordo” con Bonsu facendogli reggere una busta con la scritta “Emmanuel ne*ro”.
Nell’agosto 2015, a Torino, Andrea Soldi era morto durante un trattamento sanitario obbligatorio (Tso) “invasivo” e “violento”, come ha ricostruito la magistratura. Tre vigili sono stati condannati in via definitiva per omicidio colposo: avevano sbagliato la manovra d’immobilizzazione, soffocando l’uomo.
Più recentemente, nel febbraio di quest’anno, quattro agenti della polizia locale di Sassuolo sono stati indagati per il reato di tortura ai danni di un uomo originario del Marocco. I fatti risalgono all’ottobre del 2021 e sono piuttosto incredibili: i poliziotti, convinti che l’uomo fosse uno spacciatore, l’avevano picchiato sul petto e sulla testa mentre era ricoverato al pronto soccorso per una crisi ipoglicemica. La denuncia è partita dall’ospedale.
Questi sono tre casi noti che riguardano un solo corpo di polizia. Se si dovessero prendere in considerazione anche gli altri corpi, la lista si allungherebbe a dismisura. Ma non c’è bisogno di farlo, perché ogni caso di abuso in Italia segue lo stesso copione: l’accanimento contro persone fragili o indifese; le prime versioni contrastanti; i depistaggi; la difesa corporativa a oltranza; e infine la minimizzazione, quando non direttamente la rimozione.
In questo modo si riparte ogni volta da zero, senza mai affrontare strutturalmente il problema della violenza in divisa. Che per una certa classe politica, del resto, non è nemmeno un problema. Al contrario: il problema sono le leggi che provano a sanzionare quella violenza.
Recentemente alcuni parlamentari di Fratelli d’Italia hanno presentato una proposta di legge per abrogare il reato di tortura – introdotto nel 2017 con un ritardo di quasi trent’anni rispetto alla firma della Convenzione Onu. L’abolizione del reato, si legge nella relazione illustrativa, servirebbe a “tutelare adeguatamente l’onorabilità e l’immagine della Forze di polizia”. Evidentemente, come emerge da alcune dichiarazioni di esponenti dell’attuale maggioranza, quello dei vigili di Milano è un comportamento onorevole.
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