Il consiglio Economia e finanza dell’Unione europea ha approvato il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, in base al quale viene imposta una tassa sulle emissioni di CO2 legate all’importazione di determinati beni (la cosiddetta carbon tax).
Si tratta di un passo importante verso il raggiungimento degli obbiettivi di neutralità climatica in Europa.
Il mercato del carbonio funziona in modo piuttosto complesso: restano ancora delle questioni da risolvere.
Si chiama tecnicamente “meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere europee”. È la misura approvata dal consiglio Economia e finanza (Ecofin) che, secondo un primo testo di accordo, imporrà una tassa sulle emissioni di CO2 legate all’import di beni ad alto impatto ambientale.
Ma quali sono questi beni? Secondo l’intesa raggiunta dai ministri dell’Economia europei, dal 2026 la tariffa andrà a colpire l’importazione di acciaio, cemento, ferro, fertilizzanti, alluminio ed elettricità. Gli obiettivi della leva fiscale sono due: non penalizzare l’industria europea con beni meno costosi fabbricati in paesi con norme ambientali meno stringenti; evitare la rilocalizzazione delle emissioni di CO2.
In parole semplici, l’idea è da un lato evitare una concorrenza sleale da parte di paesi che non si stanno impegnando a sufficienza nella lotta contro la crisi climatica. Dall’altro, evitare che alcune aziende europee possano scegliere di delocalizzare la produzione, sfruttando standard ambientali più permissivi al di fuori dei confini comunitari.
Un passo importante nella lotta contro i cambiamenti climatici
La misura del carbon border adjustment mechanism fa parte del pacchetto di politiche europee sui cambiamenti climatici progettate per ridurre le emissioni del 55 per cento (fit for 55) entro il 2030 dai livelli del 1990. Una prima fase di transizione della misura dovrebbe iniziare nel 2023, quando la Commissione europea applicherà un sistema di rendicontazione per beni tassati con l’obiettivo di facilitare il dialogo con i paesi terzi. Entro la fine di quest’anno, invece, Commissione e Parlamento europeo dovranno impegnarsi a negoziare e ad approvare i dettagli della misura fiscale. “Si tratta di un importante passo avanti nella battaglia contro i cambiamenti climatici”, ha affermato il ministro francese delle Finanze Bruno Le Maire dopo la riunione a Bruxelles, aggiungendo che una “grande maggioranza” ha sostenuto l’accordo.
L’accord des ministres des Finances européens sur le mécanisme d’ajustement carbone aux frontières est une victoire environnementale ! Prochaine étape : le Parlement européen. Le climat devient un déterminant des relations commerciales internationales. pic.twitter.com/nCtt2HoyO5
“Ci fornirà uno strumento per accelerare la decarbonizzazione dell’industria, proteggendola nel contempo dalle imprese di nazioni con obiettivi climatici meno ambiziosi”, ha aggiunto il ministro francese. “Incoraggerà inoltre altri paesi a diventare più sostenibili e a ridurre le emissioni. Infine, questo meccanismo risponde alla nostra ambiziosa strategia europea che consiste nell’accelerare l’indipendenza energetica del continente”. Anche il ministro italiano dell’Economia Daniele Franco si è mostrato soddisfatto dell’accordo. “Le proposte messe sul tavolo semplificano la governance del meccanismo e raggiungono un buon punto di equilibrio tra il ruolo della Commissione e degli stati membri. Apprezziamo in particolare che il testo riconosca la necessità di misure di controllo per evitare frodi”.
Le questioni da affrontare nel mercato del carbonio
La Francia, che attualmente presiede il Consiglio dei ministri europei, sostiene da tempo la tassa e ha dato una spinta decisiva. Tuttavia, i ministri non hanno deciso quando la tassa sostituirà i permessi (free allocation) ad emettere maggiori quote di emissioni. In sostanza, si tratta di quei permessi che le aziende ricevono per evitare la delocalizzazione (carbon leakage) della loro produzione in altri paesi con meno vincoli. Ciò però porta inevitabilmente ad un aumento delle loro emissioni totali, soprattutto nei settori energivori. “L’accordo lascia molte domande senza risposta”, ha dichiarato Mohammed Chahim, membro del Parlamento europeo. “Non si può parlare di vero accordo fino a che non ci sarà più chiarezza sull’eliminazione dei permessi”. Chahim vorrebbe accadesse entro il 2028. La Commissione ha proposto il 2035, mentre alcune filiere stanno facendo pressioni per mantenerli.
Prima del carbon border adjustment, il piano europeo di decarbonizzazione verteva intorno all’Emissions trading system (Ets). Introdotto nel 2005, il sistema tutt’ora regola gli scambi di emissioni di circa 11mila industrie europee e fissa un tetto massimo complessivo di emissioni che queste imprese possono rilasciare. Tuttavia, consente anche alle aziende più inquinanti di acquistare delle quote da quelle meno inquinanti, restando però sempre entro il limite stabilito dall’Unione europea.
Today we sent our draft report on the legislative proposal to establish a carbon border adjustment mechanism (#CBAM) to the shadow rapporteurs.
The Commission proposal is an excellent starting point, but I see room for improvement in several areas.
La strada verso la neutralità climatica entro il 2050 è ancora lunga, ma la strategia europea è chiara: la decarbonizzazione passa anche attraverso la politica del “chi inquina, paga”. Ora chi esporterà beni ad alto impatto ambientale in Europa dovrà pagare il prezzo delle sue emissioni.
La Norvegia ha deciso di raddoppiare la carbon tax per le compagnie petrolifere che operano in alto mare e per il settore della pesca. Inoltre ha anche deciso di stanziare 1,3 miliardi di euro per mitigare i danni causati dai cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.