Con l’accordo tra Schlein e Meloni l’Italia prova a prendere le distanze da Israele, intenzionato ad iniziare un’offensiva via terra a Rafah.
Per la prima volta dal 7 ottobre 2023, l’Italia prende le distanze dai piani militari di Israele nella Striscia di Gaza. Martedì 13 febbraio la Camera dei deputati ha votato sei mozioni riguardanti il conflitto in corso tra Israele e Hamas a Gaza, finora costato la vita a quasi 30mila palestinesi. L’atto parlamentare è stato presentato dalla segretaria del Partito democratico (Pd) Elly Schlein, chiedendo al governo guidato da Giorgia Meloni di sostenere ogni iniziativa possibile per “chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza”. L’iniziativa dell’opposizione è stata approvata alla Camera grazie all’astensione della maggioranza e in seguito ad un accordo tra Schlein e Meloni, che per la prima volta ha permesso all’Italia di prendere le distanze dal governo di Benjamin Netanyahu inviando a Tel Aviv un segnale sino ad ora inedito. Un segnale condiviso da buona parte dei paesi occidentali che hanno sempre sostenuto Israele. A pesare è soprattutto la notizia di un’imminente offensiva via terra a Rafah, già bombardata nelle ultime ore, che metterebbe in estremo pericolo oltre un milione di palestinesi sfollati.
L’accordo tra Schlein e Meloni apre all’approvazione della mozione alla Camera
Dai retroscena si apprende che è stata una telefonata a sbloccare lo stallo politico tra governo e opposizione, allineando il parlamento sulla richiesta di un cessate il fuoco immediato a Gaza. Nei giorni scorsi la segretaria Schlein aveva contattato la presidente del Consiglio per parlare del Medio Oriente, tema evidentemente giudicato troppo delicato per non tentare la strada di una convergenza. Martedì in Aula sono state presentate sei mozioni da parte di diversi partiti – sia da quelli di maggioranza che dal Pd appunto, da Azione e dal Movimento 5 Stelle – che intendevano mettere pressione sul governo affinché affrontasse urgentemente del Medio Oriente, in particolare la possibilità di un’imminente offensiva israeliana a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza e al confine con l’Egitto.
Quella dal peso politico forse più rilevante è stata proprio quella del Pd, poiché alla conversazione telefonica tra Schlein e Meloni è conseguita la decisione del centrodestra di astenersi dal voto sulla mozione, permettendo al provvedimento di essere approvato con 128 voti favorevoli, 159 astenuti e nessun voto contrario. Un risultato che Montecitorio ha accolto con un lungo applauso. Il testo definitivo del provvedimento indirizzato all’esecutivo Meloni, dopo una mediazione sul testo definitivo, è di impegnarsi “a sostenere ogni iniziativa volta alla liberazione incondizionata degli ostaggi israeliani e a chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza, al fine di tutelare l’incolumità della popolazione civile di Gaza, garantendo altresì la fornitura di aiuti umanitari continui, rapidi e sicuri all’interno della Striscia”.
Una mozione parlamentare non è un atto di per sé vincolante per il governo. In altri termini, l’esecutivo potrebbe decidere di agire in modo opposto rispetto a quanto votato martedì. Può rappresentare però un importante segnale di indirizzo delle politiche relativamente ad alcune questioni. Ed in questo caso particolare, l’esito dell’accordo tra Schlein e Meloni è un segnale rilevante nel quadro attuale delle relazioni tra i paesi occidentali e Israele, che dopo l’attentato terroristico ad opera di Hamas in cui sono morte oltre 1.000 persone lo scorso 7 ottobre sta conducendo un’offensiva militare senza sosta sulla Striscia di Gaza hià costata la vita a quasi 30.000 palestinesi.
Lo spettro di un’incursione via terra a Rafah
Negli ultimi giorni sia il governo guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu che i vertici delle forze di difesa israeliane hanno confermato di stare preparando ingresso via terra a Rafah, la città più meridionale della Striscia di Gaza e unico accesso agli aiuti umanitari che transitano dal vicino Egitto. Al tempo della prima invasione via terra della Striscia, pochi giorni dopo il 7 ottobre, Tel-Aviv aveva esortato la popolazione palestinese a lasciare le proprie case e a spostarsi verso sud, proprio a Rafah. Il risultato è stata la crescita incontrollata di un immenso campo profughi in cui si stima che vivano ammassati in condizioni critiche circa un milione di persone.
I palestinesi sfollati non hanno altro luogo dove andare, dal momento che Al-Sisi, leader dell’Egitto che controlla di fatto in confine che separa Rafah dallo stato vicino, si è sempre opposto ad accogliere i rifugiati. Per questa ragione la prospettiva di un attacco diretto sul campo a Rafah – dove i raid hanno già causato la morte di almeno 70 persone, oltre 100 per i pochi cooperanti presenti sul posto – sta facendo temere per quella che, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, sarebbe una “catastrofe umanitaria insondabile”.
Il distanziamento di Meloni (e non solo) da Tel Aviv
Anche in quest’ottica l’accordo tra Schlein e Meloni segna la prima volta in cui l’Italia adotta una posizione critica nei confronti dell’operato di Israele consentendo l’approvazione della mozione. Fino ad ora Meloni ed il governo avevano mantenuto una posizione di granitica solidarietà nei confronti di Netanyahu, guida radicale e sovranista con cui la leader di Fratelli d’Italia ha da tempo rapporti di reciproca intesa. Come ricorda il Post, una prima crepa si era intravista lo scorso 24 gennaio, quando Meloni si era detta contraria alla opposizione di Netanyahu alla soluzione dei due Stati, che sancirebbe la creazione di uno Stato palestinese oltre allo Stato di Israele.
Una possibilità considerata la migliore possibile da gran parte dell’Occidente, ma che Netanyahu – il cui destino politico è legato a doppio filo al conflitto in essere e all’alleanza con la destra ebraica ultraortodossa – non ha mai voluto sentire. A questo si erano aggiunta negli ultimi giorni la presa di posizione del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che aveva definito “sproporzionata” la risposta di Israele su Gaza, aggiungendo che “a questo punto ci sono troppe vittime che non hanno nulla a che fare con Hamas”.
L’Italia non è l’unico Paese ad aver preso posizione. Annalena Baerbock, ministra degli Esteri tedesca, ha affidato la propria posizione a X:
Sameh Shoukry, ministro degli Esteri egiziano, ha detto che un’azione militare su Rafah potrebbe mettere a rischio l’accordo di pace del 1979 con il quale l’Egitto divenne il primo paese arabo a riconoscere lo Stato di Israele. E dopo le parole di condanna a Israele ed estese al commercio di armi da parte dell’Alto rappresentante per gli Affari Esteri dell’Unione europea, Josep Borrell, è arrivata anche la presa di posizione delle Nazioni Unite: “Molte delle oltre un milione di persone che compongono oggi la popolazione di Rafah hanno sopportato sofferenze impensabili. Dove dovrebbero andare? Come dovrebbero stare al sicuro?”, ha affermato il sottosegretario per gli Affari umanitari Martin Griffiths.
La mozione condivisa dopo la frase di Ghali a Sanremo
L’accusa nei confronti del governo di difendere Israele senza se e senza ma è di recente divenuta popolarissima a seguito delle polemiche sulla serata finale del festival di Sanremo, durante il quale il rapper Ghali ha detto“stop al genocidio” chiudendo la sua esibizione. Il giorno successivo, la Rai aveva fatto leggere alla conduttrice del dopofestival Mara Venier un comunicato in cui esprimeva solidarietà a Israele per gli attentati del 7 ottobre senza alcun riferimento su quanto accade a Gaza, generando un’ondata di indignazione in una parte dell’opinione pubblica. Gli scontri con la polizia e le violente manganellate sui manifestanti durante le manifestazioni di protesta sotto le sedi Rai di Napoli, Torino e Roma, hanno contribuito al clima di interno di grande tensione sulla guerra a Gaza.
Sebbene la mozione approvata in parlamento resti, come detto, un atto di indirizzo, a cui il governo potrà anche facilmente non ottomperare, il valore politico di un parlamento unito per non ostruire la richiesta di una tegua a Gaza resta un messaggio di unità che possiamo permetterci di trascurare. Perché chiedere un cessate il fuoco in una guerra non dovrebbe mai essere un messaggio di parte.
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