Poco prima dell’inizio della Cop28 di Dubai, il Programma dell’Onu per l’ambiente (Unep) ha pubblicato il suo rapporto che fa il punto sui finanziamenti per l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Il flusso dei capitali pubblici giunto ai paesi in via di sviluppo è diminuito del 15 per cento, non superando i 21 miliardi di dollari nel 2021. Il significa un deficit compreso tra 194 e 366 miliardi all’anno.
L’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici è sotto-finanziato. E di conseguenza il mondo è impreparato a fronteggiare le conseguenze dell’aumento della temperatura media globale. Soprattutto, lo sono le nazioni più vulnerabili, come ad esempio alcuni stati insulari dell’oceano Pacifico, che rischiano di scomparire dalle mappe a causa della risalita del livello dei mari, provocata dalla fusione dei ghiacci polari. Gli stessi paesi che sono – paradossalmente – i meno responsabili delle emissioni di gas ad effetto serra che provocano tali sconvolgimenti climatici.
“I paesi ricchi non sembrano capire la gravità della crisi climatica”
A poche settimane dall’avvio della Cop28, la ventottesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, che si terrà a Dubai a cavallo tra novembre e dicembre, il Programma dell’Onu per l’ambiente (Unep) ha pubblicato l’edizione 2023 del rapporto “Adaptation gap”, che illustra appunto la distanza esistente tra ciò che sarebbe necessario fare per adattarci ai cambiamenti climatici e ciò che stiamo concretamente facendo. E le conclusioni sono semplicemente desolanti.
Il report dell’Unep indica, senza troppi giri di parole, che i governi dei paesi più ricchi della Terra sembrano far finta di non comprendere né la gravità né l’urgenza del problema. “Sotto alcuni aspetti – si legge nel documento – anziché accelerare, i progressi in materia di adattamento ai cambiamenti climatici sono fermi al palo. E le mancanze vanno dai finanziamenti alla pianificazione, fino all’azione concreta, con implicazioni gravi in termini di perdite e danni riportati, soprattutto dai più vulnerabili”.
Stanziamenti per l’adattamento a favore dei paesi poveri in calo del 15 per cento
“Il rapporto mostra come esista una distanza crescente tra le necessità e le risposte nel momento in cui si tratta di proteggere le popolazioni dalle conseguenze estreme dei cambiamenti climatici. È più che mai urgente adottare misure per proteggere gli essere umani e la natura”, ha commentato in questo senso il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. Basti pensare che i costi per l’adattamento nei paesi in via di sviluppo sono stati stimati, a seconda dei diversi scenari, tra 215 e 387 miliardi di dollari all’anno nel decennio in corso. E si tratta di valori che aumenteranno ulteriormente di qui alla metà del secolo.
Eppure, anche di fronte a numeri così chiari, la risposta del mondo non può che lasciare basiti. Nonostante la promessa avanzata nel corso della Cop26 di Glasgow di raddoppiare il sostegno finanziario all’adattamento, per raggiungere i 40 miliardi di dollari all’anno entro il 2025, il flusso dei capitali pubblici giunto ai paesi in via di sviluppo è diminuito del 15 per cento, non superando i 21 miliardi di dollari nel 2021. Il significa un deficit compreso tra 194 e 366 miliardi all’anno.
Per le 55 nazioni più vulnerabili danni e perdite già a 500 miliardi di dollari
L’impegno assunto alla Cop scozzese, inoltre, rappresentava già un tentativo di “recuperare” rispetto a quanto sottoscritto ad una Conferenza delle parti di molti anni prima: la Cop15 di Copenaghen del 2009. All’epoca, le nazioni ricche del mondo accettarono il principio di trasferire 100 miliardi di dollari all’anno a quelle più povere, proprio per consentire loro di adattarsi ai cambiamenti climatici. Ebbene, tale somma non è mai stata stanziata per intero nei successivi quattordici anni.
Nations must go further than current Paris pledges or face global warming of 2.5-2.9°C.
Un atteggiamento non privo di conseguenze. Proprio il rapporto dell’Unep cita valutazioni recenti, secondo le quali soltanto le 55 economie più vulnerabili di fronte ai cambiamenti climatici hanno già subito perdite e danni per più di 500 miliardi di dollari nel corso degli ultimi due decenni. Anche perché a mancare non è solamente l’azione sull’adattamento ma anche quella sulla mitigazione: le ultime promesse di riduzione delle emissioni climalteranti da parte dei governi di tutto il mondo porteranno ad una crescita della temperatura media globale compresa tra 2,5 e 2,9 gradi centigradi. Ben al di là dell’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi, che ipotizza di non superare i 2 gradi, ma rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi.
António Guterres: “I baroni delle fossili facciano la loro parte”
Di fronte a una situazione così complessa, il nuovo Fondo per le perdite e danni rappresenterà uno strumento importante per mobilitare risorse essenziali. Ma secondo le Nazioni Unite anche in questo senso permarranno alcuni problemi, “poiché serviranno meccanismi di finanziamento più innovativi per raggiungere gli investimenti necessari”. E a pagare dovranno essere anche coloro che oggi spingono il Pianeta verso la crisi climatica: “I baroni dei combustibili fossili e coloro che li sostengono hanno contribuito a creare questa situazione penosa e ora devono sostenere coloro che ne soffrono”, ha aggiunto Guterres. Che ha anche lanciato un appello ai governi affinché impongano tassazioni sugli extra-profitti centrati da numerose compagnie del settore energetico.
Anche la ragione della miopia dei governi è ben esplicitata dai numeri forniti dall’Adaptation gap report: gli autori spiegano infatti che finanziamenti sufficienti all’adattamento possono garantire resilienza e in particolare sostenere i gruppi di popolazione più sfavoriti. Ma soprattutto, ad esempio, “ogni miliardo di dollari investito nell’adattamento alle inondazioni costiere consente di ottenere una riduzione dei danni economici pari a 14 miliardi di dollari”. Allo stesso modo, “un investimento annuo di 16 miliardi di dollari nell’adattamento del settore agricolo permetterebbe a 78 milioni di persone di evitare fame e malnutrizione dovute ai cambiamenti climatici”.
Occorre trovare capitali e riorientare i flussi di denaro attuali
Come fare dunque per risolvere la questione e accrescere i finanziamenti? L’Unep propone una serie di piste, che coinvolgono sia i poteri pubblici che il settore privato. E che puntano a concedere capitali alle piccole e medie imprese, o a riorientare i flussi di denaro verso settori che garantiscano sviluppo a basse emissioni di CO2 e resilienti rispetto agli impatti del riscaldamento globale. “Le banche multilaterali per lo sviluppo dovrebbero allocare almeno il 50 per cento dei fondi necessari e modificare i loro modelli commerciali al fine di mobilitare molto di più i privati nella protezione delle comunità”, ha aggiunto ancora Guterres.
“Siamo in una situazione d’emergenza dal punto di vista dell’adattamento, e occorre agire di conseguenza”, ha concluso il segretario generale delle Nazioni Unite. La speranza è che dalla Cop28 possano arrivare risposte sia su questo fronte che su quello della mitigazione.
Finanza climatica, carbon credit, gender, mitigazione. La Cop29 si è chiusa risultati difficilmente catalogabili in maniera netta come positivi o negativi.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.