A Milano un murale intitolato “Respiro” ha l’obiettivo di dare un tocco di verde in più alla città e non solo.
Addio a Zaha Hadid, la signora dell’architettura
Criticata o osannata, pluripremiata e signora incontrastata del firmamento delle archistar mondiali da quasi trent’anni, Zaha Hadid è morta d’infarto in un ospedale di Miami, negli Stati Uniti, dove era ricoverata per una bronchite. La notizia, confermata nella serata del 31 marzo dal suo studio di architetti di New York, era circolata nella mattinata dello
Criticata o osannata, pluripremiata e signora incontrastata del firmamento delle archistar mondiali da quasi trent’anni, Zaha Hadid è morta d’infarto in un ospedale di Miami, negli Stati Uniti, dove era ricoverata per una bronchite. La notizia, confermata nella serata del 31 marzo dal suo studio di architetti di New York, era circolata nella mattinata dello stesso giorno. Per molte ore, infatti, in molti sui social network avevano pensato ad una bufala.
“È con grande tristezza che confermiamo che Zaha Hadid è morta improvvisamente a Miami nelle prime ore di questa mattina”, ha reso noto in un comunicato ufficiale lo studio Zaha Hadid Architects, uno dei più importanti a livello mondiale, in cui lavorano attualmente 246 architetti.
Le sue opere in tutto il mondo
Prima donna a vincere il prestigioso Pritzker prize nel 2004, equivalente del Nobel per l’Architettura, insignita dello Stirling (due volte) e della medaglia d’oro del Royal institute of british architects (Riba), Hadid era nata a Baghdad da una famiglia della buona borghesia irachena. Ha proseguito gli studi di matematica all’università americana di Beirut, in Libano, ma il suo viaggio nel mondo dell’architettura è cominciato nel 1972 presso l’Architectural association di Londra. Dalla capitale britannica, Hadid ha cominciato a progettare e realizzare in tutto il mondo opere innovative tra cui The Peak a Hong Kong (1983), il Kurfürstendamm di Berlino (1986) e la Cardiff Bay Opera House in Galles (1994).
Esempi dei suoi lavori visionari – una sintesi di architettura, arte e design – sono presenti ai quattro angoli del globo: da Hong Kong alla Germania all’Azerbaijan. Suoi anche il London Olympic Aquatic Centre, dove si tennero le Olimpiadi e Paralimpiadi di Londra del 2012, e il Trampolino di Bergisel e Innsbruck, in Austria, e la Guangzhou Opera House in Cina. In Italia, portano la sua firma il musei di arte contemporanea Maxxi di Roma, il Terminal marittimo di Salerno, la Stazione ferroviaria di Afragola e l’edificio Citylife di Milano. Personalità poliedrica, dal carattere inquieto e in costante ricerca di sperimentazione, nel corso della sua carriera Hadid ha firmato una collezione di calzature per Lacoste, ha collaborato in varie occasioni con Karl Lagerfeld e disegnato per Louis Vuitton, Chanel e Swarovski.
“Il mondo dell’architettura oggi ha perso una stella” ha commentato la presidente del Riba Jane Duncan, “nonostante la sua giovane età, l’eredità che Zaha ci lascia è formidabile. Un patrimonio di opere, dagli edifici ai mobili alle calzature alle automobili, che hanno stupito e appassionato persone in tutto il mondo”.
President of the @RIBA @JaneDuncanPRIBA talks fondly about her heroine #ZahaHadid and her legacy pic.twitter.com/m2E1Ovysyr — Rawan Hijazi (@rhijazi) 31 marzo 2016
Prima donna in un mondo di uomini
Prima donna in un mondo dominato da uomini, Hadid è stata anche, in passato, oggetto di critiche da parte di chi accusava le sue opere di sacrificare la funzionalità in favore dell’estetica. Talvolta, come nel caso dello stadio per le Olimpiadi di Tokyo del 2020, i suoi progetti sono stati rifiutati perché troppo estremi o costosi e di recente era stata al centro di accese polemiche legate alla costruzione dello stadio Al Wakrah, in Qatar, per i Mondiali di calcio del 2022.
Temperamento ribelle e focoso, che le era valso il soprannome di “Leonessa”, non ha mai mostrato segni di autocritica: “Sì, ho avuto successo – disse in un’intervista al Courrier de l’architecte, magazine francese di architettura, nel 2012 – ma la strada non è stata né facile, né coperta di rose. È stato il risultato di una dura lotta. All’inizio ero una macchina da lavoro: studiavo e progettavo di giorno e di notte”.
Alla ricerca di un’estetica nuova
Il suo lavoro in stile neo-futuristico si serviva di tecnologie innovative, forme architettoniche inaspettate, curve sinuose e una geometria frammentata tipiche del decostruzionismo. L’approdo a cui tendeva, era quello di un’estetica nuova, singolare, piena di personalità.
A chi le chiedeva “Perché non ci sono linee rette, angoli di 90 gradi nel tuo lavoro”, rispondeva “Semplicemente perché la vita non è una griglia. Prendete un paesaggio naturale, non c’è nulla di regolare o piatto, ma tutti trovano questi luoghi molto piacevoli e rilassanti. Penso che dovremmo cercare di ottenere questo con l’architettura, nelle nostre città. Di orribili edifici a basso costo se ne vedono fin troppi”.
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