Sette idee per vivere l’atmosfera natalizia tra lo shopping nei mercatini, passeggiate in borghi vestiti a festa e mirabili opere d’arte.
Affido culturale, così si combatte insieme la povertà educativa
Da Bari a Milano, il progetto di affido culturale mette in rete famiglie, scuole ed enti per offrire ai bambini in povertà educativa esperienze culturali.
Adam e Sirine non avevano mai frequentato un centro estivo. Wisdom, Freedom e Divine invece non avevano mai messo piede in una biblioteca. Anna non aveva idea che la sua città offrisse tanti laboratori creativi per i bambini della sua età. Poi un giorno le loro famiglie hanno avuto l’opportunità di partecipare a un’iniziativa molto speciale: quella dell’affido culturale. Un progetto – selezionato dall’impresa sociale Con i bambini, nell’ambito del Fondo di contrasto alla povertà educativa minorile – che affida a delle “famiglie risorsa” altre famiglie che, per ragioni diverse, non hanno l’opportunità di offrire ai propri figli delle esperienze culturali, come andare al cinema, a teatro o al museo.
L’idea è venuta a Ivan Esposito che, impegnato da anni a lavorare dietro le quinte di teatri per bambini, si era accorto che a partecipare agli spettacoli erano sempre le stesse famiglie. Un segnale evidente di un’ingiustizia sociale diffusa che penalizza tantissimi bambini e che chiama in causa tutta la comunità: dalle scuole, alle amministrazioni, dagli enti culturali ai comuni cittadini.
Affido culturale, come funziona
Da questa presa di coscienza, nell’aprile 2020 è partito il progetto di affido culturale. “Una sfida nella sfida” ammette Anna Carla Tredici, responsabile della comunicazione, riferendosi al periodo di grande incertezza e stasi che aveva segnato la prima ondata della pandemia. Ad inaugurare le prime sperimentazioni di affido, grazie all’adesione di 25 partner, sono state Napoli, Roma, Modena e Bari. “La scelta delle città è stata fatta sulla base di precisi fattori e requisiti”, prosegue la responsabile. “Da una parte la presenza di quartieri a rischio, con problemi di inclusività e integrazione; dall’altra la disponibilità di partner sul territorio, (come scuole, case famiglia e associazioni) che conoscessero la realtà locale e accettassero di aderire come garanti, stipulando dei patti educativi con le famiglie”.
Per entrare nel vivo, il progetto ha dovuto attendere l’estate 2021, quando famiglie risorsa e famiglie affidate sono state associate tra loro da operatori specializzati del terzo settore, per iniziare insieme questa nuova avventura. Tutto il programma viene gestito attraverso l’applicazione Affido culturale, dove le famiglie possono scegliere e prenotare le attività disponibili nella propria città. Ogni affidatario (che sia un single, una coppia o una famiglia con figli) ha a disposizione un portafoglio virtuale di e-ducati, con i quali può pagare gli ingressi a teatro, al museo o per qualunque altra attività disponibile. Ciascun bambino affidato ha diritto a tre biglietti gratuiti che potranno essere usati dai propri genitori o dagli altri bambini o membri della famiglia risorsa. “L’affido culturale è un progetto di scambio e relazione”, spiega Anna Carla Tredici. “Non è una semplice opera di beneficienza, ma un’opportunità offerta a tutta la società di creare una rete tra le persone, a beneficio del territorio”. Condividere la cultura e partecipare insieme agli eventi diventa così un modo per abbattere barriere linguistiche, culturali e anche fisiche, favorendo l’inclusione di famiglie immigrate o di bambini con disabilità che faticano a integrarsi o ad avere le stesse opportunità degli altri.
Storie di affido culturale
A nessuno è preclusa la possibilità di aderire all’affido culturale. Che si tratti di una famiglia, di una coppia o di una persona single, chiunque può mettersi a disposizione del progetto. A dimostrarlo è la variegata composizione che già dai primi mesi ha animato l’iniziativa, con circa 65 nuclei famigliari per ciascuna città, impegnati con grande partecipazione nelle prime attività. Tra di loro ci sono Alessandra e Sergio, genitori di Gabriele (8 anni), che hanno preso in affido due fratellini, Adam (8 anni) e Sirine (6 anni). La loro mamma è in Italia da sola e non ha il tempo e le possibilità di portare i figli a teatro, al museo o a partecipare ad altre attività. “Abbiamo iniziato a giugno con la proposta di far frequentare ai bambini un centro estivo che collabora con il progetto. Adam non aveva mai avuto l’opportunità di partecipare”, spiega Alessandra. “Avevo chiesto io di essere abbinata a questa famiglia che già conoscevamo. Sapevo che Adam aveva problemi di relazione e, siccome mio figlio va molto d’accordo con lui, ho pensato potesse essere una buona idea. In effetti grazie a questa iniziativa e a tutte le attività che abbiamo potuto fare insieme il bambino ha iniziato ad aprirsi di più. Anche sua mamma ha visto un cambiamento”. In pochi mesi le proposte di svago colte da Alessandra si sono rivelate occasioni preziose non solo di crescita culturale, ma di vera e propria integrazione, cresciuta nel modo più autentico all’interno di un rapporto reale. “Mio figlio è contento per il semplice fatto di poter fare qualcosa di bello insieme al suo amico Adam. I bambini hanno questa spontaneità, non si pongono tanti problemi”, prosegue Alessandra, intenzionata a continuare a seguire questa famiglia anche dopo la conclusione del progetto.
Simona ha 42 anni ed è single. L’ambito sociale le sta a cuore da sempre e da tempo rifletteva sulla possibilità dell’affido. “Quando ho saputo che a Modena partiva questo progetto di affido culturale e che era accessibile anche alle persone single come me, ho subito aderito”, spiega Simona che, esprimendo il desiderio di conoscere e confrontarsi con altre culture, è stata abbinata a una famiglia nigeriana con 5 figli. “A far parte del progetto sono i tre bambini più grandi, Wisdom di 12 anni, Freedom di 10 e Divine di 8”, ci spiega. “All’inizio sono andata a casa loro per conoscerli e conoscere i genitori e per capire quali fossero le loro esigenze primarie”, prosegue Simona che dall’estate scorsa accompagna i bambini quasi ogni weekend a frequentare biblioteche, teatri e laboratori. “Di solito con noi viene anche la loro mamma, che è molto ricettiva ed entusiasta di partecipare. All’inizio era un po’ timorosa, ma gli ambienti che abbiamo trovato sono stati sempre così accoglienti che tutti loro si sono sempre sentiti accettati”.
Meno impegnativo di un affido a tempo pieno, questo tipo di progetto permette di conciliare facilmente i propri impegni, offrendo il valore aggiunto della cultura e seminando nei più piccoli l’amore per tante forme d’arte che difficilmente avrebbero l’opportunità di conoscere. “Se lo si desidera, però, si può anche andare oltre tutto questo, creando relazioni più intime con le famiglie”, racconta Simona che con Kate ha creato un rapporto di amicizia, diventando per lei anche un importante punto di riferimento.
Fabrizia e Giovanni sono una coppia sui 40 anni, senza figli e con una formazione umanistica che li ha subito fatti sentire in sintonia con la proposta dell’affido culturale. “L’iniziativa mi ha subito incuriosita, perché sia per me che per mio marito la cultura è un aspetto centrale”, spiega Fabrizia. “Ci hanno affidato Anna, una bambina di origini ganesi di 12 anni che vive con la mamma e una sorella più grande e un fratello più piccolo. Essendo la figlia ‘di mezzo’ si trova nella condizione di non essere abbastanza grande per uscire con la sorella maggiore di 16 anni, né così piccola da potersi accontentare di stare sempre con la mamma e il fratellino. Aveva bisogno di socialità e di relazioni per sviluppare la propria personalità”. Anche in questo caso a rivelarsi fondamentale è stato l’approccio della mamma, molto aperto e collaborativo, che ha accolto i due coniugi come dei veri parenti. “Abbiamo scoperto un mondo nuovo e sperimentato l’approccio ganese della famiglia allargata, fatto di ampie relazioni e grande fiducia. La bambina ci ha subito chiesto se poteva consideraci come suoi ‘altri genitori’ e accoglie sempre tutto con grande entusiasmo. Ci siamo subito sentiti utili e contenti di poter fare questa esperienza che ci ha permesso di scoprire nuove realtà e di aprire nuovi orizzonti”.
L’affido culturale arriva anche a Milano
Dopo il successo registrato nelle prime città, l’affido culturale è arrivato anche a Milano. Una dimostrazione reale dell’impulso che l’iniziativa si proponeva di dare, ispirando altre realtà e città a mettersi in gioco concretamente. Nel capoluogo lombardo a cogliere lo spunto è stato il Municipio 8 con la sua presidente Giulia Pelucchi, in collaborazione con l’Associazione Mitades che da 12 anni sostiene a vario titolo la genitorialità.
“Abbiamo esportato l’affido culturale a Milano, chiamandolo Goccia a goccia affido culturale”, spiega Silvia Baldini, presidente di Aps Mitades. “Noi ci affidiamo alla cultura per aderire e godere della bellezza insieme e, goccia dopo goccia, creare relazione e comunità”.
Nella fase pilota, iniziata all’inizio del 2022, a Milano verranno coinvolte 25 famiglie affidatarie, come ci spiega Beatrice Radogna, responsabile comunicazione Aps Mitades. “Abbiamo intercettato i candidati tra i nostri progetti socio-educativi già attivi in Gallaratese e Quarto Oggiaro. Procediamo con degli incontri di approfondimento e percorsi di conoscenza e formazione con lo staff dell’associazione Mitades che offrirà un monitoraggio durante tutto l’arco del progetto”. Ad aderire finora sono state già diverse realtà culturali ed enti, come Spazio Teatro 89, Teatro del Buratto, Associazione Lop Lop, Manifatture Sonore di Andrea Stanzione Liutaio e Associazione Amici di Brera.
La durata del progetto per ora arriva fino a luglio 2022, con la speranza che nuovi fondi e partnership permettano proroghe e ampliamenti. “Siamo già in dialogo con altri Municipi”, aggiunge Beatrice Radogna, “speriamo di diffondere l’iniziativa all’intera città in modo coeso, attraverso la collaborazione con altri enti e realtà interessate che si occupano di minori”.
Il circolo vizioso della povertà educativa
Il progetto di affido culturale si inserisce in uno scenario globale complesso, in cui la povertà educativa è strettamente connessa a quella economica. Un tema così centrale da figurare al primo posto tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda Onu 2030, che punta a porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo. Ampiamente diffusa anche nella nostra società, la povertà educativa è identificata con quella in cui un bambino o un adolescente si trova privato del diritto all’apprendimento in senso lato, dalle opportunità culturali al diritto al gioco. Queste privazioni sono tanto più penalizzanti in quanto impediscono ai bambini di svincolarsi anche da quello stato di povertà economica in cui generalmente la povertà educativa si genera, in un circolo vizioso che si autoalimenta e che, di fatto, impedisce qualsiasi possibilità di crescita professionale e occupazionale per un’ampia fetta della popolazione.
Secondo i dati Istat, oggi, in Italia, 1 milione e 346 mila minori vivono in condizioni di povertà assoluta, tornata a crescere nel 2020 in seguito alla pandemia, dopo il miglioramento che aveva segnato il 2019. Si tratta del livello più elevato dal 2005 (inizio delle serie storiche). Uno scenario che, per di più, non sembrerebbe trovare adeguato supporto nelle istituzioni. Secondo i dati Eurostat, infatti, il nostro Paese tende a investire meno della media europea in istruzione. In rapporto al prodotto interno lordo, l’Italia spende infatti il 3,9 per cento del pil in istruzione, contro una media Ue del 4,7 per cento, e anche dal punto di vista della composizione della spesa sociale, l’Italia tende a destinare una quota inferiore rispetto agli altri Paesi europei al capitolo dedicato a minori e famiglie. Scelte che, a fronte del ragionamento fatto, potrebbero rivelarsi controproducenti per tutta la società.
È proprio in questo quadro che progetti come l’affido culturale offrono risposte concrete e immediate che possono davvero innescare meccanismi virtuosi e, a loro volta, essere d’esempio e ispirazione per tutta la società.
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