I referendum sulla giustizia proposti da Lega e Partito Radicale sono stati un flop: con il 20, 9 per cento, l’affluenza è stata la più bassa di sempre
Affluenza del 20,9 per cento per i referendum sulla giustizia: la più bassa di sempre
L’ultimo referendum che è riuscito a raggiungere il quorum risale al 2011, era su nucleare e acqua
Era abbastanza prevedibile: il rischio maggiore per i 5 quesiti referendari sulla giustizia su cui gli italiani erano chiamati a votare era l’astensionismo, e dunque il mancato raggiungimento del quorum. D’altronde, senza il traino dei referendum su cannabis ed eutanasia che godevano di un maggior interesse popolare, e con le amministrative solamente in pochi comuni italiani, raggiungere il 50 per cento più uno dei voti era una scommessa difficile da vincere.
Un record negativo per l’affluenza ai referendum
Certo però neanche nella peggiore delle ipotesi i due partiti proponenti, Lega e Partito Radicale, avrebbero immaginato che a recarsi alle urne sarebbe stato solo un italiano su cinque, con una affluenza pari al 20,9 per cento: si tratta infatti del record negativo in assoluto tra i 72 referendum abrogativi (erano 67 fino a ieri) che si sono svolti in Italia dal 1974, quando si tenne il primo sul divorzio. In quel caso votò addirittura l’88 per cento degli aventi diritto.
Prima di ieri, infatti, il triste primato della percentuale più bassa era toccato ai tre quesiti del 2009 relativi ad alcuni punti specifici della legge elettorale del tempo, che si fermarono al 23,21 per cento.
🗳 Affluenza al #referendum (1° quesito) per comune: in quelli in cui si è votato anche per le amministrative l'affluenza media è al 50,9%, in quelli senza amministrative è al 14,7%#MaratonaYouTrendpic.twitter.com/RnKRQcWOwU
Tra l’altro, anche le percentuali di vittoria dei sì nei singoli quesiti (pur non validi) non erano altissime, considerato che di solito nei referendum abrogativi va a votare quasi esclusivamente chi è a favore: i sì infatti valicano la soglia del 70 per cento nei quesiti sulla separazione delle funzioni dei magistrati, mentre sul diritto di voto agli avvocati nella valutazione dei magistrati e sull’abolizione delle firme per le candidature al Csm i no hanno raccolto addirittura più del 40 per cento.
La scarsa affluenza a un #referendum è sempre un problema per la democrazia. Il quorum va modificato, evitando che nei referendum abrogativi il No si trasformi nel partito del non voto, portando facilmente al fallimento di ogni referendum.@riccardomagi a @repubblicapic.twitter.com/enzJb1IkAT
È il segno, probabilmente, che il referendum ha un senso per gli italiani quando si è chiamati a scegliere su temi sensibili, etici, o di forte impatto emotivo: non a caso l’ultimo referendum che ha raggiunto il quorum è quello del 2011 contenente quesiti riguardanti il nucleare, il costo dell’acqua, l’attribuzione di servizi pubblici, il legittimo impedimento.
Rimane tutto com’era
Nulla di fatto dunque: in attesa della riforma organica del settore presentata dal ministro Marta Cartabia, la giustizia rimane così com’è.
Per quanto riguarda il quesito sulla riforma del Consiglio superiore della magistratura (Csm), rimane l’obbligo per un magistrato che voglia essere eletto, di trovare da 25 a 50 firme per presentare la candidatura.
Per quanto riguarda l’equa valutazione dei magistrati, non viene riconosciuto anche ai membri “laici”, cioè avvocati e professori, di partecipare attivamente alla valutazione dell’operato dei magistrati: solo i magistrati manterranno il compito di giudicare gli altri magistrati.
Bocciato anche il quesito sulla separazione delle carriere dei magistrati: non ci sarà l’obbligo di scegliere all’inizio della carriera quale funzione esercitare tra quella giudicante e quella requirente, e si potrà continuare a passare liberamente dall’una all’altra.
Tutto invariato anche per quanto riguarda la custodia cautelare: rimane la possibilità da parte del giudice di procedere alla privazione della libertà in ragione di una possibile “reiterazione del medesimo reato”, che invece i proponenti volevano cancellare in ragione di un presunto abuso dell’utilizzo di questa fattispecie.
Infine, rimane in vigore la legge Severino, approvata dal 2012 e dal nome dell’allora ministra della Giustizia, che prevede l’incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali in caso di condanna superiore ai due anni di reclusione.
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