L’Africa sta lottando contro le ondate di calore, ma molti paesi del continente non dispongono delle risorse economiche per mettere in sicurezza la popolazione.
Le immagini degli eventi estremi in Italia stanno facendo il giro del mondo: dai nubifragi che hanno colpito il nord, agli incendi che stanno mettendo in ginocchio la Sicilia. Italia, Spagna e Grecia sono su tutte le prime pagine dei maggiori mezzi d’informazione internazionali. Solo pochi giorni fa Roma, con i 42 gradi centigradi raggiunti, è stata definita la “città infernale” dal quotidiano britannico The Times. Eppure, nelle stesse ore, anche il Nordafrica era interessato da un’ondata di caldo straordinario iniziato ben prima dell’arrivo di Cerbero nell’Europa meridionale. Non solo, il Wise Voter Institute ha diffuso la classifica degli stati più caldi al mondo, tra i primi dieci, otto sono africani.
Le notizie che riguardano il caldo eccezionale in Nordafrica e nel continente in generale sono spesso trascurate. Alla base della poca attenzione a queste notizie c’è la percezione orientalista per cui gli africani siano più abituati a tollerare il caldo intenso, perché vivono, appunto, in Africa, che, nell’immaginario comune, è un territorio o desertico o tropicale, comunque con temperature elevate.
Tuttavia, questi preconcetti, fanno passare in secondo piano le notizie sulla vulnerabilità ai cambiamenti climatici di alcune regioni, che tendono a riscaldarsi a un ritmo più rapido di altre parti del pianeta.
La situazione degli incendi in Nordafrica
I Paesi della regione del Maghreb stanno affrontando una delle estati più aride e calde della loro storia. In Marocco si sono superati i 48 gradi in diverse aree del Paese e stanno drasticamente aumentando gli annegamenti nei bacini artificiali e nelle dighe del paese.
Almeno 34 persone sono rimaste uccise negli incendi che stanno devastando l’Algeria. Tra le vittime ci sono dieci militari che stavano cercando di tenere sotto controllo le fiamme a causa dei forti venti e delle temperature estive, hanno dichiarato lunedì i ministeri del governo.
#Wildfires claim 25 lives in #Algeria as a heatwave spreads across north #Africa and southern #Europe People take refuge on the beaches in #Béjaïa#Bouira#Jijel Wildfires have also been reported in Tunisia’s border city of Tabarka
Gli incendi, alcuni diffusi da forti venti, hanno attraversato foreste e aree agricole in 16 regioni, causando 97 roghi nel Paese nordafricano. Le aree più colpite sono quelle di Bejaia e Jijel – nella regione della Cabilia, a est di Algeri – e Bouira, a circa cento chilometri a sudest della capitale Algeri. I roghi scoppiati nell’est del Paese hanno intaccato anche la foresta della città tunisina di Tabarka, dove nei giorni scorsi le temperature hanno superato i 49 gradi. Più di 2.300 persone sono state evacuate e i vigili del fuoco di entrambi i paesi continuano in queste ore a lottare contro le fiamme.
In Tunisia, dove si sta affrontando una grave siccità già dallo scorso aprile, quando il governo ha emanato l’ordinanza della chiusura dell’acqua in tutto il paese per tutta l’estate, all’emergenza dei migranti, espulsi in massa e lasciati morire nel deserto, si somma anche quella climatica. Lunedì 24 luglio si sono superati i 50 gradi a Tunisi, gran parte del paese è rimasta senz’acqua e senza corrente.
La regione del Mediterraneo è un hot spot climatico, è tra le aree più colpite dal riscaldamento globale. Il Nordafrica e il Sudovest asiatico sono le aree del mondo che si stanno riscaldando a un ritmo doppio rispetto al resto del mondo, e le ondate di calore che per noi nell’Europa meridionale sono una novità. Negli ultimi anni i bollettini di allerta per temperature intorno ai 47 gradi sono diventati la norma in Nordafrica, anche se si tratta di scostamenti dalle medie stagionali che vanno dai 4 ai 10 gradi centigradi.
Le temperature da record registrate in tutta l’Africa
Il Nordafrica, il deserto del Sahara e il Sahel, una fascia semi-arida a nord della savana sudanese, e il Corno d’Africa sono alcune delle aree più vulnerabili perché hanno superfici terrestri più grandi rispetto al resto del continente e prive di vegetazione, il che significa che tendono a riscaldarsi più velocemente. Gli scienziati hanno attribuito le temperature senza precedenti a una combinazione di fattori, l’aumento della concentrazione di gas serra in atmosfera e al ritorno di El Niño, il fenomeno naturale per cui la superficie dell’oceano Pacifico centro-orientale.
Come il Maghreb, anche il Sahel si è riscaldato a un ritmo più veloce della media globale. Secondo una ricerca della Exeter University, il Burkina Faso e il Mali, entrambi nel Sahel dell’Africa occidentale, sono tra i Paesi destinati a diventare quasi inabitabili entro il 2080. I due Paesi sono quelli che il Wise Voter Institute ha classificato ai primi posti della classifica degli Stati più caldi del mondo.
La salute è una delle aree su cui l’aumento delle temperature in Africa avrà un impatto, secondo il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc), che fa capo alle Nazioni Unite. La mortalità e la morbilità – ossia la frequenza con cui si manifestano le malattie infettive a livello collettivo – aumenteranno con un ulteriore riscaldamento globale di oltre 2 gradi Celsius. Sull’impatto ambientale del riscaldamento globale le ricerche sono molteplici. Mancano, invece, dati esaustivi sulle conseguenze su persone e comunità.
Mentre l’ondata di calore del 2003 ha reso l’Europa consapevole della necessità di strumenti di monitoraggio e misurazione più efficaci, in Africa non è così. Le persone più vulnerabili sono quelle che pagano il prezzo più alto delle ondate di calore, ma non esistono statistiche su questa mortalità ulteriore.
Sebbene gli studi sull’impatto del caldo sulla salute siano limitati in Africa, una ricerca pubblicata l’anno scorso ha rilevato che i bambini di età inferiore ai 5 anni sono particolarmente vulnerabili al clima più caldo, in quanto meno capaci degli adulti di autoregolare la temperatura del proprio corpo. Dalla ricerca, dunque, emerge che la mortalità infantile legata alle ondate di calore è in aumento nell’Africa subsahariana a causa dei cambiamenti climatici.
Secondo Omar Baddour, esperto della World Meteorological Association, l’Africa rimane il continente con la rete di osservazione meno radicata e attiva. Anche se sono stati compiuti sforzi significativi ed è diventato relativamente facile installare stazioni meteorologiche automatizzate, è richiesta una manutenzione che non sempre è garantita. Non è sufficiente equipaggiare i Paesi, ma servono anche programmi di formazione e di sviluppo delle capacità per garantire che siano in grado di mantenere le apparecchiature, in modo tale da poter avere il maggior numero di dati possibili.
La crisi climatica non ha frontiere, ma impatta i territori in maniera differente. I paesi africani, colpevoli di circa il 4% delle emissioni totali di CO2, sono a corto di elettricità e di acqua. Nel frattempo, le nazioni del G20, con aria condizionata e accesso a strutture sanitarie funzionanti, producono l’80% delle emissioni mondiali. Minimizzare le notizie e trascurare le ricerche relative ai fenomeni estremi in Africa renderanno più complesso trovare delle azioni mitigatrici ai cambiamenti climatici, ma anche comprendere fenomeni strutturali come le migrazioni.
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