L’anno che sta per concludersi fa ben sperare per il futuro dell’energia solare. I dati globali sul fotovoltaico crescono, gli esempi positivi si moltiplicano. Sebbene resti molto lavoro da fare, seguire il sole ci manterrà sulla strada giusta.
L’agricoltura rigenerativa, e uno shampoo, contro i cambiamenti climatici
Grazie alla partnership con il Rodale institute, il gruppo Davines ha costruito il primo centro europeo di ricerca sull’agricoltura rigenerativa.
- L’agricoltura rigenerativa consente di risparmiare il 45% di energia, potenziando il raccolto del 40%.
- Il gruppo Davines ha stretto una partnership con il Rodale institute, non-profit statunitense che si occupa di agricoltura rigenerativa dagli anni Cinquanta.
- Insieme hanno costruito, nello stabilimento di Davines a Parma, il primo centro europeo per lo studio e la divulgazione di questo metodo di coltivazione.
Viviamo in un’epoca in cui i cambiamenti climatici corrono più velocemente di noi. Eppure, né le istituzioni né la classe politica riescono ad agire in fretta. In questo scenario, le iniziative spesso più innovative e la propulsione al cambiamento arrivano più dal settore privato che non dal pubblico. Esiste tutta una parte di imprenditoria che ha fatto della sostenibilità il suo core e che quindi si impegna a dare il suo contributo, al di là dei prodotti, con iniziative concrete. È il caso di Davines group, beauty company che è stata la prima a insistere sul concetto di sostenibilità e che oggi, quasi vent’anni dopo, grazie alla collaborazione con il Rodale institute ha creato il primo centro europeo di ricerca per quanto riguarda l’agricoltura biologica rigenerativa.
Il Rodale institute e l’agricoltura rigenerativa
Il Rodale institute è un’associazione non-profit fondata in Pennsylvania nel 1947 che attraverso la ricerca, la formazione degli agricoltori e la sensibilizzazione dei consumatori ha aperto la strada a quello che poi, negli anni Ottanta, sarebbe stato definito il metodo di agricoltura biologico rigenerativo. Oggi la partnership con il gruppo Davines ha portato alla costruzione del primo centro di studi Rodale institute al di fuori degli Stati Uniti.
Jerome Irving Rodale non era un agronomo, ma un visionario: credeva in un modo di coltivare il suolo che potesse portare alla produzione di frutta e verdura senza l’utilizzo di pesticidi né di qualunque altro tipo di prodotto derivante dall’industria chimica. “Un terreno in salute significa cibo in salute e anche persone in salute”: questo era il motto di Mr. Rodale. “Quello che abbiamo creato qui, nel nostro stabilimento di Parma, non è solo un terreno adibito a coltivare frutta e verdura da usare nella nostra mensa e piante che serviranno per i prodotti dei brand del gruppo Davines, ma è un centro di divulgazione aperto a tutti i produttori, della zona e non, che qui possono venire a studiare il metodo dell’agricoltura rigenerativa”, spiega Dario Fornara, research director del Davines group-Rodale institute European regenerative organic center (Eroc).
I benefici di questo metodo di coltivazione
“Qui adottiamo delle tecniche che si vanno a sommare a quelle della comune agricoltura organica, portandola a uno step successivo, sia in termini di bontà dei nutrienti, che di interazione con il carbonio. Nell’agricoltura rigenerativa, infatti, si parla di carbon sequestration: tutte le piante, attraverso la fotosintesi, utilizzano l’energia solare per assorbire l’anidride carbonica e trasformarla in zuccheri e biomassa. Con i metodi che utilizziamo qui è possibile fissare nel suolo l’anidride carbonica, sequestrandola di fatto dall’atmosfera. Questo non solo fa bene all’ambiente perché diminuisce la quantità di CO2 in atmosfera, ma è anche buono per il suolo che, in questo modo, assorbe molti più nutrienti”.
“Per coltivare noi produciamo inevitabilmente emissioni, ma attraverso le nostre tecniche le andiamo a intrappolare nuovamente nel terreno, quindi ci avviciniamo sempre più alla neutralità da un punto di vista delle carbon footprint. Questo è possibile grazie all’utilizzo di tutta quella biomassa che non diventa raccolto, e che noi utilizziamo come nutrimento per la terra. Il sistema integrato tra radici e batteri fa sì la biomassa venga mangiata, digerita, e il carbonio fissato nel terreno. Noi qui adottiamo delle tecniche che non sono obbligatorie rispetto all’agricoltura organica, ma sono essenziali per arrivare al risultato della carbon sequestration”.
Il risparmio di energia e la tutela della biodiversità
“Utilizziamo solo fertilizzanti organici: non impieghiamo erbicidi né pesticidi e pratichiamo un’intensa rotazione delle coltivazioni: questo fa sì che un raccolto ritorni nello stesso campo solo dopo molti anni, mentre nell’agricoltura convenzionale lo stesso tipo di raccolto rimane nello stesso campo tutto l’anno. Noi così facendo favoriamo il prosperare della biodiversità, mentre il metodo tradizionale la mette in crisi e la impoverisce. L’obiettivo è quello di far capire al maggior numero possibile di produttori come questo metodo possa essere rivoluzionario, ma per far questo servono dei dati: la scienza infatti si basa sulla statistica e parte della funzione del centro di Parma sarà quella di fornire questi dati attraverso la comparazione tra lotti coltivati con un metodo e con l’altro”.
“Abbiamo deciso di coltivare quelli che sono i prodotti tipici del delta del Po e del nord Italia con l’obiettivo sì di produrre cibo, fibre, biomassa e piante che possono essere utilizzate dall’industria cosmetica, ma anche di far vedere ai coltivatori come cambiare i loro metodi produttivi, mostrando loro le differenze con il metodo convenzionale. Qui abbiamo in totale 56 lotti, alcuni dei quali adibiti proprio alla comparazione. In decenni di ricerca sull’agricoltura rigenerativa è stato provato che questo tipo di procedimento consente di risparmiare il 45 per cento di energia rilasciando il 40 per cento di emissioni in meno, ma allo stesso tempo ha il potenziale di produrre il 40 per cento in più di raccolto. Cosa che, in tempo di siccità, ha una rilevanza per niente trascurabile. Inoltre, la frutta e la verdura così prodotta ha più nutrienti, perché l’agricoltura rigenerativa crea una sinergia tra la comunità microbica e le radici, quindi ci sarà una maggior quantità di nutrienti anche nel prodotto finale”.
L’impegno del gruppo Davines
Il percorso di Davines nel mondo della sostenibilità è iniziato nel 2005, proseguito nel 2014 con la collaborazione con il presidio Slow Food, con 1% for the Planet nel 2015 e con il raggiungimento della certificazione a B corp nel 2016. La partnership con il Rodale institute è al centro non solo del mecenatismo ambientale della società, ma è anche il fulcro della campagna We sustain beauty, la prima campagna socio-ambientale diffusa da un brand, e del prodotto manifesto lanciato a luglio in limited edition: We stand/for regeneration.
Si tratta di uno shampoo bagnoschiuma realizzato con il 94,2 per cento di ingredienti biodegradabili, l’81,8 per cento dei quali di origine naturale. Uno di essi, definito activist, è rappresentato dalle bucce di uva barbera coltivate, tramite agricoltura rigenerativa si intende, nella vicina vigna Cunial. La confezione, oltre ad essere realizzata in bio-plastica proveniente da fonti vegetali rinnovabili (certificata plastic neutral product dalla Plastic bank) riporta sull’etichetta non tanto benefici e modalità d’uso del prodotto, quanto il manifesto di Davines e il suo impegno nei confronti dell’ambiente.
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