La digitalizzazione è il tema del 16 novembre alla Cop29 di Baku. Perché non possiamo farne a meno, anche nelle strategie climatiche.
L’agricoltura chiede aiuto alle nuove tecnologie per affrontare i cambiamenti climatici
All’Agri data green summit 2024, organizzato da Xfarm, si è discusso di come tecnologia e intelligenza artificiale possano supportare l’agricoltura rigenerativa e sostenibile.
Droni, robot, sensori, big data. Ai tempi del cambiamento climatico, saranno questi gli strumenti della nuova agricoltura sostenibile e rigenerativa? A quanto emerge dalla terza edizione dell’Agri data green summit, organizzato il 23 ottobre da Xfarm, pare di sì. Gli eventi meteorologici estremi sono ormai una realtà sempre più frequente, e le aziende agricole devono poterne gestire i rischi con mezzi sofisticati. Non bastano gli strumenti assicurativi, che intervengono successivamente al danno e con tempi di risarcimento spesso lunghi, ma servono strumenti analitici, predittivi e nuove tecniche colturali. La tecnologia può aiutare e, paradossalmente, favorire metodi di coltivazione più naturali e con minor uso di chimica. L’integrazione tra dati raccolti dai droni o tramite le mappe satellitari e l’intelligenza artificiale può servire a stimare il rischio di inondazioni, a prevedere la resa dei raccolti, a monitorare la temperatura o il degrado del suolo.
“Il 2024 è stato un anno molto difficile per l’agricoltura italiana – esordisce Antonio Boschetti, direttore dell’Informatore Agrario, intervenuto al summit – per le condizioni climatiche che hanno portato un eccesso di pioggia e vere e proprie inondazioni al Nord. Ci sono stati ritardi e riduzione nei raccolti per grano duro, mais, olivo, mentre la guerra in Ucraina ha portato a un rialzo di utility e materie prime. Il bilancio agricolo è negativo da diversi anni e ormai gli effetti diretti e indiretti dei cambiamenti climatici sono la normalità. Software e strumenti tecnologici come i Dss, decision support system, sono una delle soluzioni, ma deve aumentarne la conoscenza in un settore che vede una quota molto limitata di nativi digitali”.
Il vero punto dell’introduzione della tecnologia in agricoltura è però il cambio di mentalità dai parametri tradizionali, che si stanno rivelando insufficienti, verso un approccio data driven. Quest’anno il 40 per cento del mais è stato seminato in ritardo, mentre la fioritura della vite in Trentino è anticipata di 30 giorni in 30 anni, rendendo necessarie tecniche colturali diverse, che proteggano i grappoli dalle alte temperature. Nel frattempo, la viticoltura si sposta sempre più al nord, come in Regno Unito, e in Polonia.
“In Emilia-Romagna le precipitazioni di maggio 2023 hanno raggiunto la metà della quantità di pioggia caduta in tutto l’anno – spiega Paolo Tarolli, ordinario di idraulica agraria all’Università degli Studi di Padova –. Viceversa, sul delta del Po rileviamo dei principi di micro-desertificazione con un elevato contenuto di sale nel suolo”. Le proiezioni dicono che, a fine secolo, le zone a clima tropicale potrebbero passare dal 17 al 23 per cento e quelle aride dal 25 al 35 per cento del totale.
“Sono scenari nuovi, con fenomeni che vanno monitorati – prosegue Tarolli –. L’intelligenza artificiale permette di elaborare i big data derivanti dal monitoraggio, che ha permesso di rilevare, per esempio attraverso mappe ad alta risoluzione, che dove c’è abbondanza di sostanza organica le colture hanno sofferto meno, quindi ne va favorita la presenza come forma di tutela contro il rischio siccità”. Le soluzioni sono tante, e in alcuni casi passano dalla riscoperta di tradizioni come, in viticoltura, i micro-invasi in collina, serbatoi che favoriscono la creazione di aree umide, trattenendo l’acqua piovana, così da rendere più resilienti i sistemi agricoli in pendenza”.
Il tema dei finanziamenti resta centrale in agricoltura
Le problematiche non si limitano alla vite, ma coinvolgono numerose filiere, come quella del riso, del mais, dei pascoli. “Negli ultimi anni hanno chiuso centinaia di piccole stalle – conferma Fabio Capitanio, associato di Medicina veterinaria all’Università Federico II di Napoli – con una perdita non solo economica, ma identitaria e di biodiversità del territorio nazionale. Il ruolo delle istituzioni è fondamentale per aiutare a gestire il rischio condividendo l’innovazione tecnologica e le conoscenze che ne derivano”.
Il pensiero va anche al bilancio della nuova Pac (Politica agricola comune) a breve in discussione, dalla quale si attendono leve finanziarie e facilitazioni nell’accesso al credito. “Gli investimenti in tecnologia sono una grande opportunità – commenta Annamaria Barrile, direttrice generale degli organi confederali di Confagricoltura – ma al limite del velleitario in un mondo fatto di piccole imprese: l’accelerazione data dal credito di imposta ha dimostrato quanto il problema dei finanziamenti e della possibilità di programmazione siano centrali nel settore”.
“Il nostro consorzio – assicura Luca Lovatti, R&D manager di Melinda – si fa carico delle spese di gestione del rischio, così da rendere economicamente sostenibile per le aziende aderenti sistemi innovativi di adattabilità al cambiamento climatico. La traduzione dei calcoli sui big data, tuttavia, deve essere resa accessibile con strumenti molto semplici per gli agricoltori, perché il cambio culturale in agricoltura è molto difficile”.
D’altronde, un modello basato sui big data non può che vedere trasparenza e condivisione come cardini di un nuovo modello di agricoltura: è la sfida di Andriani, che commercializza pasta di legumi a marchio Felicia e ha quasi completato la digitalizzazione della filiera mappando 5.000 ettari, che proprio dal summit lancia l’idea di una collaborazione di filiera tra cerealicoltori.
La Tea tra le soluzioni in sperimentazione
Nel frattempo, la ricerca muove passi avanti e alcune risposte arrivano dalle Tecniche di evoluzione assistita (Tea), ovvero senza inserimento di materiale genetico esterno. “Abbiamo iniziato la sperimentazione di RIS8imo, un nuovo tipo di riso che resiste meglio alle fitopatie, in particolare al brusone, che oggi richiede l’impiego di funghicidi – spiega Vittoria Francesca Brambilla dell’Università degli Studi di Milano -, mentre in Veneto stiamo piantando una vite che resiste alla peronospora. Sono colture che fino a poco tempo fa erano considerate ogm e quindi proibite, ma che consentono di creare varietà più resistenti alle malattie e alle condizioni ambientali di stress senza uso di pesticidi, agrofarmaci o maggior impiego d’acqua”.
Purtroppo il primo campo è stato oggetto di un episodio vandalico, ma alcune piantine sono sopravvissute, e la sperimentazione può continuare. L’ignoranza, invece, sembra ancora l’erbaccia più difficile da estirpare.
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