Il Cdm italiano approva la realizzazione di 13 nuovi impianti ad agrivoltaico nel sud Italia. Dall’altra parte continua a sostenere il gas fino al 2028.
L’Italia sblocca finanziamenti per nuovi impianti agrivoltaici. Obiettivo: installare più di un 1 GW entro il 2026.
Se da una parte l’Italia punta sulle rinnovabili, dall’altra continua a sostenere il gas, disattendendo il Patto di Glasgow.
C’è un argomento che mette d’accordo tutti: abbiamo bisogno di più energia da fonti rinnovabili se vogliamo raggiungere gli obiettivi climatici globali e ridurre le emissioni di gas serra. Sul come, però, non tutti concordano. Per esempio, fanno discutere i parchi eolici in quanto per molti soggetti – in primis i comitati territoriali – deturpano il paesaggio, così come i pannelli fotovoltaici a terra. All’interno di quest’ultimo dibattito, quello dei pannelli su campi, in molti sostengono che un compromesso valido sia quello dell’agrivoltaico (o agrovoltaico).
🧩Per un'Italia sempre più verde, pulita e con meno vincoli burocratici.
— Ministero Ambiente e Sicurezza Energetica (@MASE_IT) May 5, 2023
Autorizzati 13 progetti di agrivoltaico, tutti in Puglia e Basilicata
Una parte consistente dell’ultima tranche del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è dedicato proprio all’agrivoltaico. In particolare, il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha dato il via libera all’autorizzazione per la realizzazione di nuovi impianti di produzione di energia da agrivoltaico per una potenza complessiva di circa 600 megawatt (MW).
L’investimento di circa 1 miliardo di euro ha l’obiettivo di installare 1,04 gigawatt (GW) di nuova capacità entro il 30 giugno 2026. In particolare, il governo ha esaminato e appena approvato 13 procedimenti di valutazione di impatto ambientale (Via) per altrettanti impianti agrivoltaici. Tutti i progetti si trovano nel sud Italia, in particolare in Puglia e Basilicata, che beneficeranno di un iter velocizzato. La provincia maggiormente interessata dalle opere è quella di Foggia, seguita da Bari, Taranto, Brindisi e Potenza.
Eppure l’Italia continua a sostenere il gas, almeno fino al 2028
“Il risultato raggiunto oggi”, ha sottolineato il ministro Gilberto Pichetto “si inserisce nel percorso di velocizzazione delle procedure autorizzative avviato negli ultimi mesi dal ministero dell’Ambiente, che ci ha permesso di raggiungere già nel 2022 i 7 GW di nuovi impianti autorizzati. Il nostro obiettivo è di superare, a partire dal 2023, i 10 GW di impianti autorizzati e installati, al fine di produrre entro il 2030 i due terzi della nostra energia da fonti rinnovabili”.
Un impegno lodevole che però stona con la pratica: nonostante, infatti, il nostro paese abbia sottoscritto a Glasgow, durante la Cop26, una dichiarazione per mettere fine ai finanziamenti pubblici ai combustibili fossili entro il 31 dicembre del 2022, l’Italia ha disatteso tale impegno in quanto la Sace, società controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze, continuerà a finanziare all’estero progetti di estrazione di combustibili fossilialmeno fino al 2028.
“Le politiche di implementazione dell’Italia sono le più inadeguate tra quelle adottate fino a questo momento” è il commento dell’organizzazione ReCommon. La Sace italiana, infatti, si colloca al sesto posto globale e al primo in Europa tra i finanziatori pubblici dell’industria fossile. Tra il 2016 e il 2021, la società pubblica ha emesso assicurazioni sui progetti o garanzie sui prestiti per la realizzazione dei progetti nel settore del petrolio e del gas pari a 13,7 miliardi di euro, che rappresentano una fetta importante dei cosiddetti “sussidi ambientalmente dannosi” italiani.
Nessun impegno per mettere fine al trasporto e lo stoccaggio di gas
Per quanto la dichiarazione di Glasgow possa considerarsi un passaggio chiave nella lotta alla crisi climatica, si tratta pur sempre di un impegno volontario e pertanto non vincolante. Eppure, sette tra i principali paesi sostenitori dell’industria fossile attraverso soldi pubblici hanno adottato politiche che rispettano ampiamente la promessa fatta, dimostrando che il phase-out è possibile: stiamo parlando di Regno Unito, Francia, Canada, Finlandia, Svezia, Danimarca e Nuova Zelanda.
L’Italia, invece, ha aspettato marzo 2023 per diffondere pubblicamente – non dai canali ufficiali della Sace o del ministero, come fa notare ancora ReCommon, ma dai canali social della coalizione internazionale Export finance for future (E3f) – gli impegni di phase-out graduale adottati a gennaio 2023 (quindi oltre la scadenza sottoscritta in precedenza). Attraverso questo documento, si stabilisce che i progetti per esplorazione e produzione di gas potranno essere finanziati fino a gennaio 2026, e le deroghe presenti potrebbero posticipare la data ultima ancora più avanti.
ReCommon fa un esempio pratico: alcuni progetti potrebbero richiedere il supporto finanziario di Sace addirittura nel 2025. Le multinazionali proponenti, con il supporto di quelle costruttrici, potrebbero ultimarli nel 2030 e il gas prodotto arrivare in Italia dal 2031.
Per i progetti di trasporto e stoccaggio, invece, la data ultima non è menzionata affatto. Una formula che lascia adito a pensare che potremmo trasportare il gas proveniente dall’estero “per sempre”.
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