L’Arabia Saudita entra nel settore dei minerali critici e annuncia innovazioni estrattive con droni e AI. Ma parla anche di cattura e stoccaggio di CO2.
“Sono qui per confermare la forte attenzione con la quale l’Italia guarda al settore dei minerali critici su cui annuncio che ci sarà un focus anche nel programma della nostra presidenza G7 appena iniziata”. Così esordisce il ministro dell’Ambiente italiano, Gilberto Pichetto Fratin, all’inaugurazione dei lavori del Forum sui minerali del futuro (Fmf), apertosi il 10 gennaio a Riyadh, Arabia Saudita.
La sostenibilità ambientale e sociale dei materiali critici è necessaria dato che questi sono alla base di tante tecnologie pulite che favoriscono la transizione ecologica: rame, litio, nichel, cobalto e terre rare sono componenti fondamentali di turbine eoliche, pannelli solari e veicoli elettrici. “In questo settore strategico il futuro è già oggi, per questo sosteniamo con convinzione iniziative come questa che servono a costruire una cornice internazionale di riferimento sui minerali critici che sia integrata e sostenibile”, ha continuato Fratin.
Ma che cos’è il forum organizzato dalla monarchia saudita, in cosa consiste, perché ci partecipa l’Italia e chi altro c’è? Proviamo a rispondere a queste domande.
Che cos’è il Forum sui minerali del futuro
Il Future minerals forum è un’iniziativa che si tiene ogni anno nella capitale del regno saudita. Giunto alla terza edizione, nel 2024 i lavori si svolgono nelle giornate del 10 e 11 gennaio. L’obiettivo dichiarato del forum è quello di creare azioni per aumentare la cooperazione nel settore minerario, intraprendere percorsi di sostenibilità lungo l’intera catena del valore, dalle fasi di esplorazione a quelle di coltivazione delle miniere alla chiusura e ripristino ambientale e alle metodiche di economia circolare, sviluppando un percorso green nella produzione mineraria.
Un altro obiettivo è quello di creare un centro di eccellenza per incrementare le capacità dei singoli paesi. Tutto il dibattito è concentrato soprattutto sulle attività minerarie nella cosiddetta super-region che comprende Africa, Arabia Saudita/Medio Oriente e sud-ovest asiatico (quindi dal Kazakistan all’India). Inoltre, si parla di esplorazione mineraria con l’utilizzo estensivo delle nuove tecnologie, dai droni ai robot e all’intelligenza artificiale.
Il programma di questa edizione è stato annunciato a settembre 2023 dal ministro dell’Industria e Risorse Minerarie Bandar Alkhorayef, quindi l’evento è strettamente connesso alle attività e agli interessi del governo saudita. Lo si capisce anche dall’ampia presenza di figure istituzionali della monarchia guidata dalla famiglia Bin Salman, tra cui il ministro dell’Educazione, quello dei Trasporti e quello della Finanza. Tra gli ospiti, poi, ci sono vari rappresentanti dell’industria mineraria internazionale e della finanza, tra cui Goldman Sachs, per citarne uno.
Tra i finanziatori dell’evento spicca Saudi Aramco, la compagnia statale saudita, tra i più grandi produttori al mondo di combustibili fossili e responsabile, da sola, di quasi il 5 per cento delle emissioni di CO2 prodotte a livello globale (dati ClientEarth). Oltre alla Aramco, altri due grandi sponsor sono altre due società nazionali saudite, la società mineraria Saudi Mining Services Company (Esnad) e la banca nazionale saudita (Sbn). In poche parole, l’evento è totalmente sostenuto dalla monarchia araba.
L’Arabia Saudita cambia il modo di investire sui minerali critici
Alla kermesse saudita partecipano anche i responsabili di Vale, società brasiliana che è il primo e più grande socio dell’Arabia Saudita nel campo dei materiali critici. Infatti, con un accordo che vale circa 2,6 miliardi di dollari, la monarchia del Golfo ha stretto un patto commerciale con il gigante brasiliano gettando “le basi per un cambio di paradigma nel contesto degli investimenti globali nel settore dei minerali e dei metalli”, scriveva nell’agosto 2023 Alberto Prina Cerai, analista ed esperto di minerali critici. L’investimento, spiega Prina Cerai, dà a Ryhiad il 10 per cento degli interessi (che diventa quindi azionista di minoranza) per quanto concerne l’unità produttiva del colosso brasiliano che si occupa di nickel e rame, due ingredienti fondamentali per la decarbonizzazione ed elettrificazione di batterie, reti elettriche e generatori eolici.
In conseguenza all’accordo, Vale ha acquisito un valore di 26 miliardi di dollari, circa dieci volte il margine operativo lordo che gli analisti si aspettavano dall’unità produttiva nel corso del 2023. “Grazie all’imponente disponibilità di capitali, i sauditi stanno pagando oltre il dovuto, ma assicurandosi importanti stakes e acquisendo il know-how di una major mineraria globale”, conclude Prina Cerai. L’accordo consentirà di aumentare la produzione di rame dalle attuali 350mila tonnellate a 900mila all’anno, mentre quella di nichel da 175mila a circa 300mila tonnellate.
Un contratto analogo il fondo sovrano saudita potrebbe stringerlo con la Barrick Gold Corporation per investire in un’enorme miniera di rame in Pakistan. Al Forum, non a caso, partecipano i piani alti della Barrick e un padiglione è dedicato ad ospitare le società di settore pakistane.
Chi c’era e di cosa si è parlato al Forum saudita sui minerali
Si può dire che il Forum rappresenti sì un appuntamento divulgativo ma dato il parterre dei partecipanti e gli interessi dimostrati dall’Arabia Saudita nel campo dei minerali critici, è chiaro come sia anche un luogo dove vengono stretti accordi e partnership sul tema. Le delegazioni ministeriali erano più di 60: tra gli europei c’erano – oltre l’Italia – anche Finlandia, Regno Unito, Francia, Austria, Svezia, Danimarca, Germania, Bulgaria, Svizzera. E poi la presenza di Stati Uniti, India, Russia, Giappone, Australia e Cina.
Il Servizio Geologico d’Italia di Ispra ha inviato un nota dove, oltre a esprimere il proprio apprezzamento sugli aspetti innovativi espressi nel forum, dice di aver posto le basi per intraprendere dialoghi costruttivi con molti dei paesi della super-regione. Ispra ha inoltre evidenziato come durante il forum tutti abbiano sostenuto la necessità di stabilire un percorso green nella produzione mineraria (green mining, green metals, ecc.).
Infatti, l’uso estensivo di questi minerali è necessario per decarbonizzare l’economia, ma è altrettanto necessario che la loro estrazione e lavorazione segua una filiera trasparente e sostenibile. Purtroppo, sono diversi i progetti di estrazione di metalli critici che stanno devastando l’ambiente e le comunità locali (tra cui quelle dei popoli nativi, vedi il caso dell’Indonesia). Un contesto dal quale l’Italia deve prendere le distanze, se vuole perseguire una transizione sostenibile. Peccato, però, che il ministro si sia soffermato in modo vago e con poca concretezza su questi aspetti.
L’Italia punta sulla cattura e stoccaggio della CO2
Il ministro Pichetto Fratin ha detto che l’Italia è pronta a diventare “l’hub del Mediterraneo”, ponendosi come ponte tra Europa, Africa e Medio Oriente “per favorire una transizione energetica sicura e sostenibile” e ha parlato del “ruolo chiave” delle tecnologie pulite e a basse emissioni, tra le quali il ministro include, però, non solo rinnovabili e idrogeno ma anche le tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 (Ccs).
La Ccs è una tecnologia sulla quale l’Arabia Saudita sta puntando parecchi soldi ma che, come hanno dimostrato già diversi studi, non è ancora in grado di garantire la riduzione delle emissioni. L’ultimo di questi studi si intitola “Assessing the relative costs of high-CCS and low-CCS pathways to 1.5 degrees”, pubblicato dall’Oxford Smith school of enterprise and the environment (Ssee) dell’università di Oxford, e demolisce la concretezza delle tecnologie Ccs.
Insomma, la Ccs è una scorciatoia tecnologica, scelta da chi non intende abbandonare i combustibili fossili. Una soluzione, quindi, che piace tanto all’industria fossile, perché permetterebbe di continuare a produrre energia senza rinunciare a estrarre e bruciare gas e petrolio. Una “falsa” soluzione, insomma, alla quale l’Italia si è però allineata a Riyadh.
Il perché di questo allineamento va ricercato (anche) nel contesto geopolitico: in molti si sono accorti che dopo aver abbandonato il progetto della Nuova Via della Seta cinese (l’iniziativa commerciale proposta dalla Cina per incrementare gli scambi con l’Europa e con l’Italia in particolare), l’Italia si sta avvicinando con crescente interesse all’Arabia Saudita. D’altronde, la Cina è spesso stata additata dalle economie occidentali, Italia compresa, come un concorrente “sleale”, soprattutto nel campo dell’elettrificazione dei veicoli e delle tecnologie rinnovabili. Allinearsi agli interessi arabi, quindi, assume nel quadro economico una presa di parte ben precisa.
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