L’Alaska porta con sé una lunghissima tradizione mineraria. Era la fine dell’Ottocento quando i villaggi lungo il fiume Yukon, così come quelli del Klondike in Canada, vennero invasi di cercatori d’oro. C’è un progetto estrattivo, però, che sta destando timori e perplessità anche tra i più strenui difensori delle miniere. Perché rischia di cambiare volto per sempre alla cittadina di Haines, spazzando via il suo stile di vita profondamente connesso ai ritmi della natura.
Le esplorazioni minerarie in Alaska vanno avanti
Al centro del dibattito c’è il cosiddetto Palmer project, un giacimento di rame, zinco, argento, oro e barite che attualmente è nel pieno della sua fase esplorativa. La gestione del sito fa capo all’impresa locale Constantine North Inc ma il controllo finanziario è stato acquisito dal colosso giapponese Dowa. Una manovra che, stando al quotidiano Guardian, è indice della volontà di investire. L’area dista una cinquantina di chilometri da Haines, che conta poco più di 1.800 abitanti, e circa 25 chilometri da Klukwan, il cui nome significa “il villaggio che c’è sempre stato” nell’idioma del popolo indigeno Tlingit.
In Haines, Alaska, a massive mining project threatens a fragile ecosystem. “What we have here is very special, not just for us but for America and the world,” said Gershon Cohen with Earth Island's Alaska Clean Water Advocacy. By @dominicru@guardianhttps://t.co/9wCsaypqcL
— Earth Island Institute (@earthisland) June 22, 2021
Si teme per la spettacolare risalita dei salmoni
In una zona già visibilmente colpita dal riscaldamento globale, che vive le sue prime estati senza la consueta coltre di neve sulle montagne, una nuova miniera potrebbe dare il colpo di grazia ad alcuni fragili equilibri naturali. È il caso della spettacolare risalita dei salmoni che attrae i turisti nella stagione estiva ed è al centro di un’economia fiorente. Anche per via delle acque più calde, la loro popolazione si è già decimata, tant’è che si è deciso di annullare il tradizionale trofeo di pesca e ributtare in acqua gli esemplari catturati. Ora i cittadini temono l’inquinamento delle acque dovuto alla miniera, collocata proprio sotto il ghiacciaio che alimenta il fiume.
Le proteste degli abitanti di Haines
“Questo progetto è una minaccia seria e rilevante per il nostro popolo”, si sfoga Jones Hotch, residente del posto, intervistato dal Guardian. “I più giovani potrebbero dire: Siamo stati gli ultimi ad affumicare il pesce, inscatolarlo, raccogliere i mirtilli”. Per scongiurare che ciò accada, parte della popolazione locale sta cercando di battersi contro quello che viene descritto come “un incubo”.
Oltre al rischio di contaminazione delle acque, si prospettano anche radicali sconvolgimenti in un’Alaska che di per sé è ancora molto selvaggio, con i boschi popolati di grizzly e i villaggi fatti di case di legno che ciascuno costruisce da sé. La strada principale è stata ampliata per permettere ai camion di viaggiare ad alta velocità, e c’è in programma di ricostruire il molo per facilitare il trasporto del materiale.
I villaggi dell’Alaska sperano nel boom economico
Ad alcuni, però, il progetto minerario fa gola soprattutto per la promessa di creare 200 posti di lavoro a tempo pieno e altri 40 temporanei. Un buon numero per una comunità così piccola in cui il tasso di disoccupazione a gennaio superava il 14 per cento. A detta di Gershon Cohen, abitante della zona e ambientalista, questo presunto boom economico rischia di rivelarsi un fuoco fatuo. “C’è una possibilità molto concreta che questa miniera distrugga l’industria ittica di questa zona. Quando il pesce non ci sarà più, non ci saranno più aquile, orsi, turisti. Se la miniera sarà avviata, quanto durerà? Dieci anni? Cos’è in confronto a migliaia di anni di sostegno a questa comunità?”.
Il 29 ottobre 2018, le raffiche di vento della tempesta Vaia hanno raso al suolo 40 milioni di alberi in Triveneto. Una distruzione a cui si sono aggiunti gli effetti del bostrico, che però hanno trovato una comunità resiliente.
Continua ad aumentare il numero di sfollati nel mondo: 120 milioni, di cui un terzo sono rifugiati. Siria, Venezuela, Gaza, Myanmar le crisi più gravi.
Alcune buone notizie e qualche passo indietro nelle misure previste dal nuovo provvedimento del Consiglio dei ministri, in attesa del testo definitivo.