La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
Si è conclusa il 2 novembre la Cop16 sulla biodiversità, in Colombia. Nonostante le speranze, non arrivano grandi risultati. Ancora una volta.
Alessandra Mascaro ci parla del suo amore per gli scimpanzé. Con un avvertimento: “Limitarsi alla tutela delle specie chiave non è sufficiente”.
I principali mezzi di informazione nazionali e internazionali hanno recentemente riportato la scoperta che gli scimpanzé utilizzano degli insetti per curare le ferite, non solo le proprie ma anche quelle dei loro compagni. A compiere questa straordinaria scoperta è stata la ricercatrice italiana Alessandra Mascaro.
Qual è stato il suo percorso per arrivare a studiare gli scimpanzé in Africa?
Ho iniziato la mia carriera universitaria a Bologna, dove mi sono laureata in Scienze naturali. Lì ho svolto il mio tirocinio nel Centro tutela e ricerca fauna esotica e selvatica di Monte Adone, Sasso Marconi. Come molti di quelli che si affacciano alle scienze naturali, ero affascinata dai leoni. Ero andata infatti per studiare loro, ma poi mi sono innamorata degli scimpanzé. Dopodiché mi sono trasferita a Padova, dove mi sono laureata in Biologia evoluzionistica. Per la tesi, ho contattato l’Università di Torino per partecipare al loro progetto di ricerca in Madagascar, nella foresta di Maromizaha. Lì mi sono concentrata su uno studio di bio-acustica su Propithecus diadema, una specie di sifaka [lemuri, ndr]. Poi mi sono messa in gioco, sono partita. Ho trovato un annuncio di Tobias Deschner, primatologo al Max Planck institute, per un progetto di primatologia sugli scimpanzé e un mese dopo ero già là.
Cosa studiate all’Ozouga chimpanzee project?
Nel 2017, anche se il centro è più datato, gran parte dei maschi adulti del gruppo era abituato alla presenza degli osservatori. Ovvero, abbiamo potuto seguirli e studiarli senza spaventarli. Così è stato possibile seguire gli individui focali e raccogliere i dati. L’Ozouga chimpanzee project studia un po’ di tutto, ci sono diversi progetti di ricerca. Ad esempio, uno studio molto importante e famoso riguarda la predazione delle testuggini, con una tecnica specifica per aprirle. Oppure, osservato solo qui, è l’utilizzo di strumenti per estrarre il miele di api che costruiscono nidi sottoterra. Altri studi ancora riguardano la caccia. Praticamente ci occupiamo di tutto. Ciascuna comunità di scimpanzé ha il suo set di comportamenti, alcuni molto diversi, alcuni condivisi, altri ancora delle vere e proprie novità.
Che rapporto c’è tra voi e gli scimpanzé?
Noi dobbiamo essere dei fantasmi. Non possiamo in alcun modo creare un’interazione per diversi motivi: principalmente perché influenza il comportamento e quindi condiziona la raccolta dei dati; dopodiché, può essere molto rischioso poiché ti coinvolgerebbero nelle loro dinamiche di gruppo, nei displays, nei litigi e via dicendo. Loro sanno che noi siamo lì, come dei fantasmi che li osservano, e che non sorridono. Se ci guardano, ad esempio, voltiamo lo sguardo. Lo stesso succede quando i maschi fanno i loro displays, si alzano in piedi, si gonfiano e ti vengono incontro. Fa anche un po’ paura, perché cinquanta chilogrammi di scimpanzé che ti vengono addosso possono incutere timore; allora si rimane calmi e si guarda altrove, io mi guardo le mani. Per precauzione manteniamo sempre la distanza di sicurezza di minimo otto metri, anche quando camminiamo insieme. Camminare con loro ti fa sentire un po’ parte del gruppo, anche se non lo sei. Loro ti conoscono, sanno chi sei. Per questo motivo a volte esistono anche delle antipatie e delle simpatie: con alcuni ricercatori sono più liberi e tranquilli, con altri invece sono più attenti e sospettosi.
La sua scoperta ha fatto il giro del mondo. Prima di entrare nel dettaglio, cosa si prova a fare una scoperta di questa portata?
Da sempre ho avuto un occhio attento e curioso, ma non avrei mai pensato che la mia osservazione potesse fare il giro del mondo. Il giorno che è uscito l’articolo c’è stata una vera e propria esplosione di notizie, ne hanno parlato tutti. Ho realizzato il mio sogno, stare con gli scimpanzé, dove mi sento bene, e spero di farlo tutta la vita. Riuscire a fare una scoperta del genere è un po’ inspiegabile, perché è veramente troppo grande. Abbiamo mosso un enorme albero sui comportamenti pro-sociali e sull’empatia degli animali. Non è stato quindi solo l’atto della medicazione. Adesso spero di essere all’altezza per poter andare avanti. Lo sapevo che mi piaceva, ma arrivare a questo livello è grandissimo.
Era una giornata come tutte le altre, tra osservazioni e raccolta dei dati, poi un comportamento inatteso. Cos’è successo quel giorno nella foresta?
La famiglia di Suzee è indubbiamente la mia prediletta. Quando Suzee si unisce al gruppo, i miei colleghi mi avvisano alla radio. Lei è la madre a cui ho visto fare la medicazione la prima volta. Suzee ha una dinamica familiare molto interessante, è una super mamma. Lascia liberi i suoi figli di scoprire il mondo, non li tiene per il piedino. Li lascia esplorare e poi li va a riprendere. Il rapporto mamma e piccoli mi ha sempre affascinato, è un’altra mia grande passione. Quando filmai l’applicazione di un insetto per la prima volta, sapevo che il giorno prima Sia, il figlio adolescente, era stato ferito a un piede. E come tutte le volte, collezionavo i dati e filmavo. All’inizio non avevo fatto molto caso all’intera sequenza, anche perché alcuni momenti erano simili ad altri già visti, come l’atto di strappare delle foglie.
Quello che mi incuriosì era che Suzee teneva in mano il piede del figlio e continuava ad avvicinarsi alla ferita. Alla sera, tornata al centro di ricerca, avevo ancora in mente la cosa strana che avevo visto. Riguardai il video, credo almeno venti volte. Chiamai subito Lara, mia carissima amica e co-autrice dell’articolo. Poi tutti gli altri. C’era chi diceva che non era nulla e chi era molto sorpreso. Il problema negli scimpanzé è che a volte mostrano un comportamento e poi chissà quando lo rivedi. La fortuna invece ha voluto che, poco più di una settimana dopo, io e Lara abbiamo visto e filmato nuovamente quel comportamento. Probabilmente, la ragione per cui nessuno lo aveva ancora notato è perché l’intera sequenza si svolge molto rapidamente e basta un secondo di distrazione per perderlo, e finisci per pensare che magari si stanno solamente leccando la ferita.
A livello comportamentale, è più sorprendente la medicazione o l’altruismo?
È difficile dirlo perché entrambi gli aspetti hanno un impatto importante su future ricerche, tanto nel campo medico quanto in quello sociale. Indubbiamente, la pro-socialità ha attirato l’attenzione di molti. Il mio primo filmato riguardava una mamma che curava il figlio e a livello di fitness è molto più spiegabile. La cosa incredibile si verificò quando Lara filmò altri individui applicare l’insetto sulla ferita di Littlegrey, un maschio adulto. Nel video si sente infatti Lara dire “incroyable, incroyable”. Si vedeva Carol, una femmina adulta, che portava l’insetto e lo metteva sulla ferita; Thea e Ngonde, maschi adulti, che toccavano con il dito e Littlegrey che si lasciava fare tutto. Questi individui non sono parenti per via materna, e questa scoperta è stata il vero boom della ricerca. Vedere un animale diverso dall’uomo curare le proprie ferite e quelle di altri è una cosa sorprendente, del tutto nuova. Metterlo tra le labbra, schiacciarlo (perché non è masticarlo) e metterlo sulla ferita. Hanno utilizzato una risorsa a fini potenzialmente medici, e questa è scienza. Si potrebbe parlare di scimpanzé dottori perché sono riusciti a comprendere il problema di un loro compagno e adottare un comportamento apparentemente finalizzato a risolverlo, tutti insieme.
Siete riusciti a scoprire quale insetto, o quali insetti, vengono usati?
Tassonomicamente non lo sappiamo ancora, ma ci stiamo lavorando. Identificare la specie è molto difficile per diversi motivi; in primo luogo la manipolazione: durante l’uso, infatti, lo mettono in bocca, lo schiacciano tra le labbra, lo appoggiano, lo riprendono, lo rimettono in bocca. Questa sequenza la ripetono svariate volte e dell’insetto non rimane quasi nulla. Poi, una volta finito, lo buttano sul letto della foresta, ed è come cercare un ago in un pagliaio. Negli ultimi mesi abbiamo massimizzato il protocollo, li seguiamo dal primo all’ultimo giorno finché la ferita non guarisce completamente. In questo modo li seguiamo durante tutto il percorso di guarigione. In più, stiamo utilizzando delle fotocamere ad alta risoluzione in modo da massimizzare le possibilità di filmarlo durante l’uso. Comunque vada è molto difficile, ma sono confidente che ci riusciremo.
Cosa significa fare il ricercatore oggi e quanto è importante questo lavoro per proteggere la biodiversità e la salvaguardia delle specie?
Bisogna scommettere su sé stessi. Inizialmente parti dal volontariato per arricchire il tuo curriculum e avere abbastanza esperienza per salire di grado. Devi avere molta passione. Io lavoro in foresta, un ambiente molto complesso e che necessita di molta attenzione. Ad esempio, tutti i giorni lavoriamo circondati da elefanti di foresta e non puoi mai rilassarti veramente. Sei concentrato sul tuo scimpanzé e contemporaneamente devi stare attento a tutto quello che ti circonda, perché un elefante potrebbe caricarti da un momento all’altro. È rischioso e se non sei in forma fisica, o non hai un buon livello motivazionale, crolli. Ho visto persone abbandonare per la paura.
I ricercatori oggi necessitano di stimoli in più, prima di tutto economici, perché se non hai una famiglia alle spalle o delle idee di risparmio è molto difficile. Proteggere la natura non significa solo tutelare le specie chiave che tutti conoscono, ma bisogna salvaguardare l’intero habitat, affinché tutte le dinamiche dell’ecosistema funzionino. Purtroppo, viviamo in una società dove ci sono bambini che non hanno mai visto una gallina: è difficile che riescano a capire tutto questo. Il mondo intero è da proteggere, non solo lo scimpanzé.
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