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Alessandra Rosa, Aci. Lavoriamo per favorire una mobilità integrata e sostenibile
Orientare le persone verso scelte più consapevoli è una priorità. La parola ad Alessandra Rosa, Direttore delle attività associative dell’Aci.
L’Automobile Club d’Italia (Aci) è la più grande libera associazione di cittadini esistente in Italia, che conta oltre un milione di famiglie. Una realtà storica, fondata nel lontano 1905, che negli ultimi anni ha modificato la propria offerta in una direzione più orientata alla mobilità integrata e sostenibile. Allontanandosi dal semplice terreno del soccorso stradale, spiega a LifeGate Alessandra Rosa, direttore delle attività associative, l’Aci vuole “indirizzare le persone verso scelte più consapevoli e meno dannose per l’ambiente”. Ecco come.
Qual è l’elemento che caratterizza maggiormente Aci?
L’elemento che ci caratterizza più di ogni altro è quello di offrire prodotti destinati non alle automobili, ma alle persone. Aci non associa delle targhe (che pure teniamo nel nostro database per alcune specifiche prestazioni) ma delle persone, che possono godere delle agevolazioni a bordo di qualunque mezzo si trovino per esigenze di sicurezza e di benessere, elementi che sono diventati ancora più centrali in tempo di pandemia.
A proposito di pandemia, come si è evoluta negli ultimi anni l’offerta associativa?
I risultati associativi conseguiti negli ultimi tre anni sono decisamente buoni, soprattutto in riferimento all’anno appena trascorso. Ciò è stato effetto di un lavoro teso a semplificare l’offerta attraverso tre prodotti: un entry level (Aci Club), un prodotto intermedio (Aci Sistema) e un top di gamma. È su quest’ultimo, denominato Aci Gold Premium, che abbiamo concentrato maggiormente la nostra attenzione: questo perché, se i prodotti generici sono sempre più facilmente sostituibili, solo quelli unici riescono a fidelizzare i clienti. Abbiamo quindi arricchito l’Aci Gold Premium di una serie di nuove opportunità, pur mantenendo il prezzo invariato, nell’ottica di prendere per mano gli associati in un percorso di mobilità ampio e integrato. Dal rimborso per interventi di manodopera al video-consulto medico, vogliamo insomma allontanarci dal terreno del semplice soccorso stradale, costruendo un prodotto diverso che funzioni da vero e proprio passe-partout per la mobilità.
Si va verso un concetto di mobilità nel senso più ampio del termine, non incentrata solo su quella automobilistica?
Decisamente sì, in considerazione dell’aumento dei servizi in sharing (che pure operano solo nei centri urbani medio-grandi) e di un approccio integrato alla mobilità che consideri anche i mezzi pubblici, le biciclette, i monopattini e persino gli spostamenti a piedi. Seguendo questo percorso abbiamo deciso di estendere il soccorso stradale anche alle biciclette, e di allargare il servizio di tutela legale ai sinistri occorsi non solo a bordo delle auto ma anche su bici elettriche e tradizionali, sui monopattini e per gli spostamenti a piedi. La risposta degli utenti è stata ottima, a dimostrazione del fatto che le persone sono disposte anche a spendere di più, a patto di avere un servizio più completo.
Che tipo di riscontri trovano nei decisori politici queste vostre istanze rispetto a un nuovo concetto di mobilità?
I decisori politici dovrebbero avere un approccio più sistemico e meno settoriale sul tema, evitando misure ideologiche che, limitando la mobilità individuale, finiscono per creare disagi senza ottenere benefici tangibili: penso, ad esempio, alla chiusura dei centri storici alle auto con motori Euro 6. Come Aci stiamo cercando di guardare non solo alla mobilità su quattro ruote ma ai “movers”, con un approccio sistemico e interdisciplinare che indirizzi le persone verso scelte più consapevoli e meno dannose per l’ambiente, senza per questo penalizzarli.
Tra le varie funzioni dell’Aci c’è la gestione del Pubblico registro automobilistico. Qual è la fotografia del parco circolante in Italia?
Il quadro è piuttosto desolante: su 40 milioni di auto in circolazione, 22 hanno ancora motorizzazioni comprese tra l’Euro 0 e l’Euro 4; solo le auto Euro 0 sono circa 3 milioni e 600 mila, pari al 9,1 per cento del totale. Servono quindi politiche che favoriscano lo svecchiamento di un parco circolante che è tra i più vecchi d’Europa. Ma tutto ciò necessita di un approccio graduale, all’insegna della contaminazione dei mezzi di trasporto e dei carburanti. Altrimenti il rischio è che una piccola fascia della popolazione, quella più abbiente, finisca per rottamare un’auto Euro 6 per acquistare un’elettrica, mentre le strade continuano ad essere invase da mezzi altamente inquinanti.
Bisogna quindi partire dallo svecchiamento del parco auto circolante, prima ancora dell’elettrico?
L’elettrico è senza dubbio il futuro ma ci vuole un approccio graduale, anche per salvaguardare un comparto che impiega oltre 1,5 milioni di lavoratori, generando un fatturato commisurabile al 20 per cento del Prodotto interno lordo italiano. Bisogna affrontare i grandi temi della rete di ricarica, ancora insufficiente, e del rischio dell’esclusione sociale di buona parte della popolazione che, al momento, non può permettersi l’acquisto di un’auto elettrica.
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