Dopo un mese di razionamenti, sono stati completati i lavori per la condotta provvisoria che porterà l’acqua dal fiume alla diga di Camastra, ma c’è preoccupazione per i livelli di inquinamento.
Alex Bellini. Dai fiumi agli oceani, voglio documentare il viaggio che fa la plastica
Alex Bellini con la sua nuova avventura vuole ripercorrere il percorso che fa la plastica navigando i dieci fiumi che riversano più plastica nel nostro grande e unico oceano.
Un video che racconta il problema e la minaccia della plastica per i nostri mari, che altro non sono che un unico grande oceano. Un video per dirci che ognuno di noi può fare qualcosa di concreto ogni giorno per ridurre il consumo di plastica. Un video che anticipa la prossima avventura di Alex Bellini, 10 Rivers 1 Ocean in partenza nel 2019. Abbiamo visto il video, ci è piaciuto, e così abbiamo deciso di intervistare l’avventuriero ed esploratore italiano per conoscere la sua prossima impresa e capire cosa lo spinge nella difesa del Pianeta.
Tre anni e mezzo su una barca in plastica riciclata per percorrere i dieci fiumi da cui arriva quasi la totalità dell’inquinamento della plastica in mare con l’obiettivo di favorire un nuovo senso di comprensione e rispetto per il nostro Pianeta.
La tua prossima avventura 10 Rivers 1 Ocean ripercorrere lo stesso viaggio che fa una bottiglia di plastica dal fiume all’Oceano Pacifico. Perché hai scelto questo tema?
Voglio raccontare il viaggio della plastica, dai fiumi al mare. Il problema della plastica è un tema a cui in molti siamo sensibili, ma che pochi ne conoscono l’origine. Navigando i 10 fiumi posso raccontare di come l’80 per cento della plastica che popola e inquina i nostri oceani abbia origine dai fiumi.
Quando si parla di plastica credo sia necessario ridefinire il concetto di gruppo, siamo tutti responsabili dell’inquinamento da plastica e le vittime sono i nostri figli che si ritrovano le microplastiche nel piatto.
Allo stesso modo l’oceano è uno solo, la vecchia definizione di Atlantico, Pacifico, Indiano è ormai superata. Siamo immersi in un unico grande oceano, ciò che oggi inquina il Mar della Cina in poco tempo potremmo trovarlo nel Mediterraneo per effetto della circolazione termoalina oceanica che crea spostamenti delle masse d’acqua.
Quando partirete per 10 Rivers 1 Ocean?
La partenza è prevista entro i primi due/tre mesi del 2019. La data non è ancora stata fissata, stiamo dialogando con le istituzioni locali in Cina per avere tutti i permessi necessari. La differenza culturale mi mette un po’ in guardia, non vorrei che il mio viaggio fosse frainteso in quella che è la sua reale missione di sensibilizzare il mondo al problema della plastica, per questo vorrei il mio progetto arrivasse anche a livello istituzionale nei paesi dove andrò.
Navigherò con un’imbarcazione che sto costruendo, realizzata in plastica riciclata; io e il mio team abbiamo stimato di proseguire l’avventura con un ritmo di tre fiumi all’anno per terminare a metà del 2022.
Sarà quindi un’avventura piuttosto lunga…
Proprio come non possiamo risolvere il problema della plastica in un giorno, allo stesso modo non possiamo pensare di creare un progetto che è di un impatto così importante in un solo giorno. Saranno tre anni di impegno. Assieme al mio team, mia moglie e la mia famiglia, vogliamo dare un messaggio molto concreto. Questo viaggio ci dà la possibilità di entrare in contatto con persone che già stanno mettendo in atto soluzioni e insieme possiamo diventare agenti di cambiamento.
Perché tra tutte le problematiche che, immagino, hai incontrato nei tuoi viaggi hai deciso di fare un video per denunciare l’inquinamento da plastica?
Ho scelto la plastica perché mi rendo conto che l’essere umano, per quanto sofisticato, è ancora spinto da stimoli molto basici. Siamo esseri viventi semplici che ci attiviamo e ci disattiviamo in base a dinamiche semplici, è inutile fare delle grandi teorie, piuttosto è necessario parlare di problematiche concrete di cui le persone riescono a riconoscerne l’effetto quotidiano. La plastica è uno di questi. Proprio perché il messaggio deve essere molto chiaro e comprensibile da tutti, ho deciso di concentrarmi sul problema plastica, consapevole che è solamente una delle tante minacce che hanno un impatto negativo sul modo, ma è anche quello che più facilmente possiamo cercare di ridurre, basta solo modificare abitudini molto elementari per avere un riscontro concreto.
Cosa dovremmo fare per attivare la coscienza globale in merito al problema della plastica?
Ci sono due cose che vanno dette. Personalmente non sono dell’idea che l’economia circolare sia una soluzione. In Italia non ci sono ancora né l’intelligenza, né l’infrastruttura per intraprendere un’economia circolare. Ridurre il consumo della plastica è l’unica via perseguibile. Il secondo tema, che è poi la premessa, è la necessità di conoscere, informarsi, sapere esattamente che cosa sta succedendo. Senza avere conoscenza non possiamo comprendere, e se non comprendiamo non possiamo agire. L’unica arma di difesa è la conoscenza.
Detto questo, è necessario recuperare una forma di responsabilità personale, noi possiamo veramente cambiare le sorti del mondo. Dobbiamo salvare il mondo, se non lo facciamo noi non lo farà nessun altro. Ad esempio c’è ancora qualcuno che crede che servire il caffè in una tazzina di plastica vada bene, ma per fortuna ci sono persone che sono convinte che dobbiamo salvarci da soli e attivamente stanno portando avanti la loro piccola campagna. Ogni battagli contro la plastica oggi ha la possibilità di diventare sempre più grande, perché non c’è più un “noi e un loro” tra chi inquina e chi subisce l’inquinamento, ma siamo tutti coinvolti. Dobbiamo creare le connessioni, gruppi di lavoro attorno a questo problema, perché solo assieme possiamo farcela.
Questa non è solo una bottiglietta di plastica. Questa è la manifestazione delle nostre abitudini che devono cambiare. #10rivers10cean @OneOceanFound pic.twitter.com/lCMtu9M7tX
— Alex Bellini (@AlexBellini1) 18 dicembre 2018
Quali azioni possiamo intraprendere per contrastare l’invasione della plastica?
Io ho un’idea molto chiara di cosa si debba fare. Vivo in Inghilterra dove tre quarti dei bambini delle scuole elementari passano meno tempo all’aria aperta dei detenuti. È un indicatore del fatto che stiamo perdendo il contatto con la natura e se lo perdiamo, perdiamo anche la capacità di riconoscere come l’essere umano e la natura per convivere pacificamente debbano vivere in connessione, non in dominio uno sull’altro. Abbiamo passato secoli dominando la natura, questa è la nostra tendenza, non solo volgiamo stare comodi, vogliamo dominare sulle altre specie viventi perché abbiamo l’intelligenza e la stupidità per poterlo fare.
Se vogliamo ritrovare il dialogo con la natura dobbiamo anche ritrovare il piacere di entrare in contatto con la natura, questo è l’anello debole. Mai come oggi siamo stati distanti dalla natura, dobbiamo ricreare la connessione dell’essere umano con la natura, anche solo per renderci conto che le nostre azioni hanno delle conseguenze dirette sul Pianeta. Nel momento in cui l’essere umano e la natura saranno due elementi completamente separati sarà la fine.
Perché hai deciso di fare l’avventuriero?
Per rispondere a questa domanda si deve andare in dietro fino ai tempi dell’università, quando frequentavo la facoltà di scienze bancarie e iniziavo ad affacciarmi al mondo del lavoro. La mia vita sembrava proiettata verso una destinazione ben distante rispetto a quella attuale.
Sono nato e cresciuto quarant’anni fa in un paese di montagna, a l’Aprica, e ho avuto sempre un legame molto forte con la natura, che purtroppo negli anni dell’università stavo perdendo. In un periodo di crisi di identità non sapevo più risponde a domande semplici come: chi sono? Che cosa amo di più della vita? Era evidente che il cuore mi chiedeva di fare delle cose, mentre con la testa avevo deciso di farne altre. Così a 20 anni ho deciso di interrompere i miei studi universitari per dedicarmi a vivere delle esperienze, talvolta estreme, con lo scopo ultimo di conoscere me stesso. Vivere l’avventura non come forma di esibizione, ma come forma di autoesplorazione.
Nel corso del tempo, in questi 20 anni, mi sono reso conto di come l’avventura possa diventare un forte veicolo di condivisione di storie e di metafore e di come la mia missione abbia un valore aggiunto se riesco a darle un senso ancora più nobile dell’avventura stessa. L’avventura non diventa il fine ultimo, ma lo strumento attraverso il quale posso raccontare i messaggi che sono più importanti per me.
Cosa ci prospetta il futuro?
Per molto tempo l’essere umano ha vissuto le varie epoche che si sono susseguite come una la continuazione dell’altra. Oggi il futuro che ci si prospetta non è la successione dell’oggi, ma è la conseguenza del nostro presente. Se vogliamo vivere in un futuro sostenibile dobbiamo agire adesso, perché il futuro è la conseguenza delle nostre azioni nel presente. Questa è la grande differenza tra le epoche passate e la nostra epoca.
Possiamo farcela?
Io sono dell’idea che non sia mai troppo tardi, ma dobbiamo agire ora e non aspettare che lo faccia qualcuno al posto nostro. Nel farlo dobbiamo ritrovare un senso di connettività, pensare di agire tutti insieme, su grande scala, e farlo ora. Da oggi dobbiamo smettere di consumare prodotti in plastica, dobbiamo ricominciare a meravigliarsi se qualcuno ci propone imballaggi in plastica, a partire dalle bottigliette per arrivare alle postate. Dobbiamo recuperare uno sguardo un po’ “ignorante”, molto semplice, come quello dei bambini che si meravigliano delle cose. Se smettiamo di meravigliarci della diffusione della plastica, smettiamo anche di porci delle domande e allora avremo perso la nostra battaglia.
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