La ong olandese ha annunciato che il suo prototipo, grazie anche alle recenti migliorie, sta catturando i detriti di plastica del Pacific Trash Vortex.
Alex Bellini a remi nel Pacific trash vortex: “Una zuppa di plastica, ecco cosa ho trovato”
L’esploratore italiano Alex Bellini ha navigato con una piccola barca a remi in mezzo all’isola di plastica nell’oceano Pacifico. Lo abbiamo incontrato al ritorno dalla sua spedizione.
Soppesa ogni parola Alex Bellini, l’esploratore e divulgatore italiano impegnato con il suo progetto 10 Rivers 1 Ocean a sensibilizzare sul tema della plastica e del consumo responsabile. Riflette su ogni risposta, ripensa a quello che ha visto, alle sensazioni che ha provato durante la spedizione nel Pacific trash vortex, la zona di accumulo della plastica che si trova nell’oceano Pacifico (Great pacific garbage patch, Gpgp), ma anche alle moltissime storie che ha vissuto navigando lungo i fiumi più inquinati del mondo. Lo abbiamo incontrato a Genova durante l’Ocean summit, la prima di una serie di conferenze organizzate dalla regata velica intorno al mondo The ocean race che mirano a trovare soluzioni per un mare pulito creando sinergie tra innovatori provenienti da diversi settori e facendo leva sul potere dello sport.
“Quella è una zona morta, non ho incontrato praticamente alcuna forma di vita animale, mentre ero esposto senza filtri alla violenza dell’azione dell’uomo sull’ambiente”, spiega Bellini, che chiarisce che il Gpgp non è un’isola di plastica ma piuttosto una zuppa, composta per la maggior parte da miliardi di piccoli frammenti grandi come un’unghia, in cui si incontrano sporadicamente grosse reti, cassette e boe. “Mentre stavo in quel luogo desolante, mentre osservavo quello che raccoglievo con il retino, come se fosse materia aliena, avevo la sensazione che in realtà un’altra volta qualcuno di quei pezzettini fosse già passato tra le mie mani”, riflette. “E mi chiedevo: ma ho fatto davvero tutto il possibile per evitare che arrivasse fin qui? O preso dall’ottimismo e dalla convinzione che qualcuno si sarebbe occupato di questo rifiuto ho contribuito a fargli compiere il viaggio che l’ha portato fin qua?”.
La sostenibilità deve diventare qualcosa di desiderabile
Sono domande importanti, che responsabilizzano. Alex riflette sul meccanismo del consumo, suggerisce che bisogna acquistare da produttori che assolvono a una responsabilità sociale e ambientale, magari da quelli identificati dalla denominazione B Corp. “La responsabilità è sia dei produttori sia dei consumatori e oggi, a differenza di qualche anno fa, abbiamo la possibilità di scegliere”, dice Bellini. “Nonostante questo finiamo sempre per valutare il costo di un prodotto solo in termini economici e non in termini dell’impatto che si genererà quando ce ne sbarazzeremo: è come se, pur sapendo qual è la scelta giusta da fare, qualcosa nel meccanismo di scelta si inceppasse”.
È così quindi che dobbiamo andare avanti, facendo leva sulle potenzialità di successo e non sugli aspetti negativi. “L’ottimismo e la fiducia nel futuro premiano sempre più del senso di emergenza o del senso di colpa: la paura paralizza”, spiega.
Nella sua analisi Bellini approfondisce il fenomeno del consumo: “La crisi ambientale è una sfaccettatura della più complessa crisi psicologica, morale, sociale, individuale e collettiva che stiamo vivendo”, afferma, interrogandosi sul perché compriamo, sul nostro bisogno di circondarci di oggetti. Che cosa ci manca? Due cose, dice: “Il senso di controllo, perché chi ha autocontrollo non è un buon consumatore; e il senso d’identità, così che lasciamo che siano le cose ad identificarci”.
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Prima di partire per quest’ultima spedizione, intervistando i passanti a San Francisco, Bellini si è reso conto che non basta informare, perché la conoscenza non si riflette necessariamente sui comportamenti delle persone. E quindi come avviare il cambiamento nella direzione giusta? Bellini risponde con un concetto molto bello, che a LifeGate cerchiamo di portare avanti da un pezzo: “Bisogna che tutto torni nei ranghi dell’ottimismo, bisogna rendere la sostenibilità qualcosa di desiderabile”. Aggiunge anche: “D’altra parte, sfido chiunque sia stato in un luogo come il Gpgp a tenere aperta la porta dell’ottimismo”.
C’è un nuovo illuminismo, ma abbiamo comportamenti contraddittori
Siamo esseri complessi e ci comportiamo spesso in modo contraddittorio, spiega, citando studi che mostrano come adottando soluzioni ecologiche ci sentiamo legittimati ad inquinare di più. È come se sapessimo di avere un credito, quindi controbilanciamo concedendoci comportamenti che vanno in senso opposto.
Nonostante questa crisi, Bellini è convinto che questo sia un buon momento per parlare di sostenibilità perché ci sono barlumi di un nuovo illuminismo, sta nascendo una nuova consapevolezza, un nuovo cogito ergo sum. “Abbiamo ricominciato a pensare con la nostra testa, ci stiamo accorgendo che quello che ci raccontavano che ci avrebbe reso felici – il consumismo, il possedere – non ci sta rendendo persone migliori”.
L’idea che si è fatto il nostro esploratore, dopo aver visitato i luoghi più inquinati del Pianeta, è che non sarà possibile togliere tutta la plastica del mare, anche se ci sono iniziative che ci provano: “L’unica soluzione al problema ambientale è quella di non produrre più rifiuti e scarti“. E non affidarsi alla tecnologia o alla speranza in un miracolo che risolverà tutto: “Bisogna che cambino le persone, non si può pensare di cambiare il mondo se non cambia chi ci vive”.
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