Gli abitanti di un villaggio si riuniscono mentre il fumo sale da un incendio sulle colline boscose della regione della Cabilia, a est di Algeri, il 12 agosto 2021. Ryad Kramdi, AFP
Gli devastanti incendi estivi che hanno colpito l’Algeria sono causati da crisi climatica, lassismo internazionale e mancanza di investimenti.
Gli abitanti di un villaggio si riuniscono mentre il fumo sale da un incendio sulle colline boscose della regione della Cabilia, a est di Algeri, il 12 agosto 2021. Ryad Kramdi, AFP
Gli incendi estivi sono sempre stati un dato di fatto in Algeria. Ma gli incendi di quest’estate sono stati i più estesi e devastanti che il Paese ha vissuto dalla sua indipendenza nel 1962.
Gli incendi in Algeria ad agosto 2021
Dal 9 agosto, più di 70 incendi sono stati registrati nella regione della Cabilia. La provincia più colpita è stata Tizi Ouzou. Migliaia di famiglie si sono trovate per strada e hanno dovuto trasferirsi in hotel, ostelli e scuole riconvertite per fornire alloggi di emergenza.
Fin dall’inizio della crisi, è apparso evidente che i vigili del fuoco e i volontari da soli non sarebbero stati in grado di spegnere gli incendi, quindi il governo algerino ha dispiegato l’esercito nella regione.
I 90 morti, fino ad ora accertati, tra cui 28 soldati, sono un numero senza precedenti, significativamente più alto di quelli registrati in altri Paesi della regione che hanno subito incendi simili. Ma mentre l’Algeria cerca di guarire le sue ferite e sostenere i sopravvissuti nella ricostruzione delle loro vite, alcune importanti domande continuano a occupare la psiche nazionale.
La teoria degli incendiari
Il presidente Tebboune, così come il suo ministro degli Interni, Kamel Beldjoud, insistono sul fatto che dietro questa devastazione ci sia una matrice dolosa. Sebbene le autorità non abbiano ancora fornito alcuna prova per queste affermazioni, diverse persone, presumibilmente collegate agli incendi, sono già state arrestate.
Il clima di sfiducia e paranoia, creato dalla convinzione di una matrice dolosa, ha avuto terribili conseguenze. Nella città di Larbaa Nath Irathen, una folla inferocita ha prelevato con la forza da un furgone della polizia un uomo sospettato di aver appiccato un incendio e lo ha linciato nella piazza principale della città. In seguito è stato rivelato che la vittima era l’artista e attivista Djamel Bensmail, giunto nella regione per offrire aiuti umanitari alla popolazione locale.
La “teoria degli incendiari” ha portato anche a mettere da parte un fattore che senza dubbio ha avuto un ruolo di primo piano: la crisi climatica. In effetti, i cambiamenti climatici stanno intensificando la siccità e creando le condizioni perfette affinché gli incendi si diffondano e causino danni ambientali, materiali e umani senza precedenti in tutta la regione.
La crisi climatica
In Algeria, foreste e macchia mediterranea occupano una superficie totale di circa 4 milioni di ettari. Ciò rende una parte enorme del Paese suscettibile al fuoco. Tra il 1876 e il 2005 si stima che ogni anno siano bruciati quasi 40mila ettari, che rappresentano circa l’1 per cento di tutti i boschi esistenti nel Paese. Invece nel periodo che va dal 1985 al 2010, l’Algeria ha registrato 42.555 incendi che hanno bruciato una superficie totale di 910.640 ettari. Le proiezioni sui cambiamenti climatici e le variazioni stimate del rischio di incendi boschivi per i decenni futuri (2030-2060) indicano che l’intera regione del Maghreb sarà tra le aree più colpite della terra.
Una situazione che si completa con la forte progressione della desertificazione. Il deserto del Sahara, che costituisce circa l’80% della superficie del Paese, si sta ingrandendo. È cresciuto del 10 per cento nell’ultimo secolo, secondo il Journal of Climate, pubblicato dalla società meteorologica americana.
Mancanza di investimenti
Ma ciò che è avvenuto nel mese di agosto in Algeria non può essere spiegato solo con la crisi climatica. La Turchia e la Grecia hanno registrato un numero di vittime significativamente inferiore rispetto al Paese nordafricano, a fronte di incendi altrettanto diffusi e intensi. La relativa indifferenza della comunità internazionale per la situazione in Algeria e la mancanza di tecnologie e attrezzature antincendio aggiornate nel Paese sono state finora presentate come le cause principali.
In effetti, se questa tragedia ha dimostrato chiaramente da una parte le mancanze di investimento del governo algerino verso servizi antincendi e forestali, dall’altra parte ha evidenziato la lentezza degli aiuti internazionali.
All’inizio della crisi, il re del Marocco Mohammed VI si è offerto di aiutare le autorità algerine nei loro sforzi, dichiarando di avere due aerei antincendio in attesa dell’approvazione da Algeri. Ma la situazione politica tesa tra i due Paesi ha avuto un ruolo determinante nel rifiuto dell’offerta da parte del governo di Algeri che si è così trovato ad affrontare la crisi in zone impervie senza aerei antincendio.
Ed è così che l’Algeria si è rivolta all’Unione europea per avere almeno due mezzi. Una richiesta approvata da Bruxelles, a patto di aspettare che gli aerei si liberassero degli impegni in Grecia e Turchia. Una risposta giudicata come un segnale delle priorità europee nel Mediterraneo.
Mancanza di investimenti, crisi climatica e secondarietà nello scacchiere mediterraneo: tutti fattori che potrebbero acuire la già estrema fragilità economica, politica e sociale che da anni vive il Paese del Maghreb.
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