La campagna Vote for animals, promossa da Lav e altre organizzazioni, mira a far assumere a candidati e partiti un impegno maggiore sul tema dei diritti animali.
Gli allevamenti estensivi non sono la soluzione
Gli allevamenti estensivi vengono spesso percepiti come la soluzione all’impatto dell’industria della carne. Ma non è così.
Se c’è una cosa che sempre più report ribadiscono è che la lotta ai cambiamenti climatici passa anche dalla nostra alimentazione. E visto che i bovini sono gli animali — tra quelli che alleviamo — che hanno un impatto maggiore sull’ambiente, il nemico di questa lotta ha preso sempre più le sembianze di una mucca.
Perché ci si accanisce sulle mucche
Sappiamo ormai tutti molto bene che tra una bistecca di manzo e una di tofu c’è una differenza abissale in termini di emissioni di gas serra, consumo di suolo e di acqua. Ad oggi, la produzione di carne bovina emette il 90 per cento di gas serra in più dei sostituti vegetali alla carne. In termini di consumo d’acqua, una risorsa sempre più preziosa e rara, ogni chilo di manzo richiede oltre 15mila litri d’acqua, ogni bicchiere di latte vaccino ne consuma 120, mentre per produrne uno di soia o di avena ne bastano meno di 10.
Certo, diversi tipi di allevamento possono impattare diversamente sull’ambiente, ma che sia intensivo o estensivo, l’allevamento industriale di bovini non può che avere conseguenze negative sull’ambiente. In Italia, ad esempio, dove la maggior parte di questi animali è rinchiusa in stabilimenti, i bovini consumano mangimi provenienti da seminativi irrigati, fertilizzati e irrorati con pesticidi, perciò consumano indirettamente un’enorme quantità di acqua dolce.
Tutti i rischi degli allevamenti estensivi
Gli allevamenti estensivi invece — nonostante abbiano un impatto minore sulle acque cosiddette “blu” perché dipende soprattutto dalle precipitazioni (definite acque “verdi”) — hanno un’impronta ecologica altissima. Arcinoto è l’esempio dell’Amazzonia. La creazione di nuovi pascoli è una delle cause principali della deforestazione in quest’area e si calcola che i bovini allevati nella foresta amazzonica bruchino sul 63 per cento di tutte le terre deforestate.
Gli enormi incendi che vengono appiccati per far largo all’allevamento di bovini, o alle colture di soia per gli allevamenti intensivi di polli e maiali, producono quantità enormi di gas serra, provocano la morte delle specie che vivono nella foresta e distruggono l’habitat di quelli che sopravvivono. Inoltre, secondo uno studio pubblicato su Nature, se i prati e le praterie “vergini” hanno la capacità di stoccare gas serra, quelli utilizzati per il pascolo degli animali sono fonti di emissioni e favoriscono quindi il riscaldamento globale.
Non sono le mucche ad essere nemiche del Pianeta
Insomma, che siano estensivi o intensivi, gli allevamenti di bovini hanno un impatto enorme sull’ambiente, ma non sono le mucche in sé a essere “nemiche” del Pianeta. Piuttosto, ciò che è indubbiamente insostenibile, è il fatto che in Occidente dal dopoguerra in poi si sia deciso di abbandonare i legumi in favore delle proteine animali e quindi di allevare, far riprodurre e macellare milioni e milioni di mucche, bovini e manzi.
In Italia, ad esempio, si trovano 140mila stabilimenti con oltre 6 milioni di capi. La maggior parte si trova in Lombardia (1,5 milioni), seguita da Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna. I consumi pro capite di carne bovina e di latte nel Paese fortunatamente sono in calo, ma si attestano ancora a circa 17 chili e 46 chili all’anno rispettivamente. Quello di formaggio è stabile ed equivale a circa 23 chili a testa.
Numeri ancora molto elevati, ma per fortuna crescono quelli dei prodotti a base vegetale, e secondi i dati del Rapporto Coop 2021, sempre più italiani si impegnano a diminuire il loro impatto sull’ambiente tramite le loro scelte alimentari. È sempre più chiaro quindi che se vogliamo cambiare davvero il futuro del Pianeta dobbiamo intraprendere azioni coraggiose e che l’allevamento di animali è insostenibile.
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