L’allevamento di bestiame è la causa principale della deforestazione dell’Amazzonia in Brasile secondo un’inchiesta di Global Witness.
La multinazionale Jbs, che produce carne e pellami, sfrutta enormi allevamenti irregolari creati eliminando la vegetazione.
Nonostante le promesse, l’azienda continua a invadere le zone protette e a maltrattare i lavoratori.
Fra le cause principali della deforestazione dell’Amazzonia in Brasile c’è l’allevamento di bestiame. Le aree per animali create illegamente, nonché le fattorie e i mattatoi regolari ma con fornitori non tracciabili, provocano ingenti danni alla vasta foresta sudamericana. La conferma arriva da un’inchiesta dell’organizzazione ambientalista Global Witness che ha portato alla luce l’impatto negativo, dovuto agli allevamenti, nella foresta amazzonica. Furti di legname e appropriazione indebita di materie prime restano problemi gravi, ma il ruolo delle aree sfruttate per allevamenti di bestiame era stato sottovalutato. È la ditta brasiliana Jbs a essere considerata l’artefice principale della deforestazione in Amazzonia: nei campi fuorilegge riconducibili all’azienda vengono allevati animali per la produzione di carne e cuoio successivamente venduti in tutto il mondo. Fra le compagnie coinvolte ci sono anche delle imprese italiane secondo il dettagliato report.
Il bestiame nella foresta sperduta
Le analisi condotte dall’associazione con sede a Londra hanno dimostrato che la carne bovina è la principale causa della deforestazione amazzonica. Gli allevamenti irregolari in Brasile coprono ormai un’area di terra grande quanto la Svezia, quattro volte maggiore di quella sfruttata per produrre olio di palma, il secondo prodotto più distruttivo. Nello stato di Parà, nel nordest del Brasile, il 70 per cento della foresta è ora popolato da bovini che si trovano in allevamenti illegali creati abbattendo la vegetazione. Jbs, la cui carne finisce nei supermercati degli Stati Uniti e in altre parti del mondo, è il principale acquirente: secondo gli ultimi dati disponibili, la ditta si rifornisce da 144 ranch irregolari.
Inoltre, Jbs non è riuscita a dimostrare la legalità di altri 470 ranch presenti nella sua catena di approvvigionamento, grandi quanto 40mila campi da calcio, che si trovano all’interno dell’Amazzonia. In risposta, la multinazionale brasiliana ha affermato di aver istituito un nuovo sistema per il monitoraggio di questi fornitori e di aver aperto 15 uffici per la sostenibilità in tutto il Brasile al fine di aiutare gli allevatori a rispettare le leggi per l’ambiente. Si tratta di sforzi inefficaci e probabile greenwashing, sostiene Global Witness: la famiglia brasiliana Seronni, proprietaria di numerosi ranch da cui si rifornisce Jbs, continua a operare irregolarmente e a distruggere ampie aree verdi amazzoniche come dimostrato dai dati satellitari e dalle informazioni provenienti dai tribunali brasiliani.
At COP26, banks and investors pledged to tackle #deforestation.
Yet at the same time they were backing beef giant JBS to the tune of almost $1bn despite its links to widespread forest destruction and rights abuses in Brazil 🇧🇷
Anche i lavoratori impiegati negli allevamenti irregolari vengono sfruttati. Global Witness riferisce che gli operai sono obbligati a bere, fare il bagno e pulire i loro utensili usando l’acqua sporca di pozze stagnanti colme di letame di vacca. Di notte sono costretti a dormire con animali da cortile, senza acqua corrente, né elettricità; devono lavorare 17 ore al giorno e non hanno ricevuto alcuna protezione contro le sostanze chimiche tossiche utilizzate nella fattoria, né alcun dispositivo di protezione durante il funzionamento di macchinari pesanti. I salari spesso non sono stati pagati e molte persone sono state maltrattate per essersi opposte allo sfruttamento. In breve, sono stati trattati come schiavi.
Almeno due ditte italiane sono coinvolte: il gruppo Mastrotto, che fornisce cuoio ad aziende quali Volkswagen, Toyota e Ikea, nel 2019 ha importato oltre 200mila chilogrammi di pelle bovina da una conceria affiliata a Jbs di Marabá nello stato di Pará. I macelli locali, secondo un’indagine dei pubblici ministeri brasiliani, acquistano migliaia di bovini da allevamenti irregolari sorti tramite la deforestazione illegale. Per tutto il 2020, Jbs ha inoltre esportato pelle da questi fornitori a un’azienda italiana di sua proprietà, la Conceria Priante.
L’impatto sul clima dell’industria della carne
Lo sfruttamento dell’Amazzonia per la produzione di carne rientra nel più ampio problema delle emissioni negative prodotte dalle principali industrie legate agli allevamenti. Si stima che 20 aziende produttrici di carne e latticini al mondo, fra cui Jbs, sarebbero responsabili di più emissioni nocive nell’atmosfera di quelle della Germania, del Regno Unito o della Francia. Uno studio ha concluso che il Sudamerica è il continente con la più grande quota di emissioni di origine animale; i gas nocivi dell’industria, quindi, alimentano i cambiamenti climatici. Ad oggi, nessun governo richiede ai produttori di carne di documentare le loro emissioni di gas serra o di standardizzare i loro obiettivi di riduzione delle stesse. Il settore si affida alle autodichiarazioni che però non possono essere sufficienti, come dimostra l’inchiesta di Global Witness.
Infine, la deforestazione amazzonica potrebbe peggiorare poiché l’amministrazione guidata da Jair Bolsonaro cerca di legalizzare l’appropriazione di terreni all’interno della foresta, consentendo così ad aziende come Jbs di continuare ad acquistare da allevatori che danneggiano l’ambiente. Il fallimento delle aziende e del governo nel bloccare gli allevatori illegali e il continuo sostegno da parte dei principali finanziatori e importatori certifica che sono necessarie leggi e interventi molto più rigorosi per fermare la deforestazione del polmone verde della Terra e ridurre gli effetti sul clima degli allevamenti di bestiame.
Un’inchiesta giornalistica ha denunciato che il colosso Jbs avrebbe acquistato soia e mais da coltivazioni su terreni deforestati illegalmente per nutrire polli esportati in tutto il mondo.
La moratoria per proteggere la foresta amazzonica dalle coltivazioni di soia è stata ritenuta come una vittoria. Nonostante ciò, ha alcuni punti deboli.
“Questo murale è una protesta, è un grido d’aiuto”. Così lo street artist Mundano descrive la sua ultima opera, realizzata con le ceneri dell’Amazzonia.
Dal 2008 a oggi 31 raid di polizia hanno salvato 333 persone in condizioni di schiavitù nelle miniere brasiliane. Ora le operazioni sono più difficili a causa di Bolsonaro.