Dal mischiglio della Basilicata alla zucca malon del Friuli al cappero di Selargius, in Sardegna: i presìdi Slow Food che valorizzano prodotti dimenticati, ma di fondamentale valore per la biodiversità, il territorio e le comunità.
La transizione agroecologica degli allevamenti intensivi è necessaria. E possibile
Se ne è discusso a un evento a Roma, a partire dalla proposta di legge per andare oltre gli allevamenti intensivi. Gli interventi di produttori, medici, veterinari, studiosi e politici.
- La proposta di legge per la transizione degli allevamenti intensivi è pubblicata e in attesa di essere discussa dal Parlamento.
- Intanto, un evento a Roma ha alimentato il dibattito sociale con gli interventi di produttori, medici e veterinari, ricercatori e politici.
- Un altro modello di allevamento è necessario per la salute del Pianeta, gli animali e le persone: l’agroecologia lo rende possibile.
Consumano e impoveriscono il suolo, inquinano l’acqua, emettono gas serra, riducono la biodiversità, causano sofferenza negli animali, aumentano il rischio di epidemie e provocano la formazione di particolato: gli allevamenti intensivi sono un modello di produzione insostenibile per l’ambiente, gli animali e le persone. Del perché e di come superare questo sistema produttivo si è parlato il 24 ottobre durante un dibattito organizzato a Roma dalle associazioni ambientaliste Greenpeace, Wwf Italia, Isde Medici per l’Ambiente, Lipu e Terra!, promotrici della proposta di legge AC 1760 “per la progressiva transizione agroecologica degli allevamenti intensivi”, che è stata pubblicata sul sito della Camera dei deputati il 23 luglio scorso, con le firme di 21 parlamentari di cinque diversi gruppi politici.
Stop a nuovi allevamenti, fondo di riconversione, agroecologia: cosa propone la legge per la transizione degli allevamenti intensivi
Obiettivo dell’evento è tenere alta l’attenzione sul tema e arrivare presto a una calendarizzazione della discussione della proposta in Parlamento. Il testo di legge propone nell’immediato una moratoria all’apertura di nuovi allevamenti intensivi e all’aumento del numero di animali allevati in quelli già esistenti. Per incoraggiare la transizione ecologica delle grandi e medie aziende, prevede inoltre un piano di riconversione del comparto finanziato con un fondo dedicato, e punta a rendere protagoniste le piccole aziende agricole, in favore di un modello basato su tecniche agroecologiche, su un uso efficiente delle risorse e sull’accesso a un cibo sano e di qualità, sulla creazione di filiere che garantiscano il giusto compenso a lavoratori e produttori.
Una mozione a disposizione dei comuni, il caso di Viterbo
In occasione della conferenza, è stata lanciata una mozione a disposizione dei Consigli comunali italiani per rafforzare la partecipazione delle comunità locali nella gestione dei territori che vivono le ricadute ambientali e socio-sanitarie degli allevamenti intensivi. Un esempio è il comune di Viterbo, un territorio dove l’agricoltura è un valore aggiunto, ma che oggi è alle prese con l’espansione degli allevamenti intensivi avicoli: in una frazione del paese si contano oltre un milione di polli, 387 per abitante. “Speriamo che un’eventuale legge ci possa dare gli strumenti per fare una programmazione territoriale perché le norme urbanistiche non bastano a regolamentare e limitare gli allevamenti intensivi”, ha detto la sindaca Chiara Frontini. “Al momento ci siamo rimboccati le maniche e stiamo redigendo con l’Ordine degli agronomi e l’università un protocollo condiviso che promuova un modello di sviluppo economico sostenibile per l’ambiente e la biodiversità”.
Un esempio concreto di agroecologia e i suoi vantaggi
Anna Federici, dell’azienda agricola Boccea di Roma, ha raccontato la sua esperienza concreta: “Il passaggio all’agroecologia nella mia azienda mi è sembrata l’unica strada possibile. Si tratta di un approccio sistemico in equilibrio con le risorse del territorio, che funziona quanto più è autosufficiente e capace di fare rete con gli altri agricoltori. Coltiviamo cereali per l’alimentazione umana e in parte per gli animali, abbiamo dei terreni dedicati al pascolo dove è visibile come il suolo sia diventato una spugna ricca di sostanze organiche e humus. È un sistema che richiede tempo, ma non necessariamente, quando è a regime, più risorse. Oggi ci sono leggi che, ad esempio, non ci permettono di fare il compost come andrebbe fatto, servirebbero fondi per le recinzioni, per la gestione delle acque, per la formazione su competenze trasversali”.
“Un altro modello di allevamento è possibile”, ha spiegato Elia Marabotto, veterinario. “Quello agroecologico si adatta all’ecosistema locale, è basato sul rispetto dell’etologia e della fisiologia degli animali, favorisce la fertilità del suolo che così riesce a stoccare il carbonio e a trattenere l’acqua, unisce la produzione zootecnica a quella agricola creando aziende più resilienti perché diversifica le fonti di reddito. Il nutrimento degli animali è costituito da foraggi locali e non da soia di importazione che, una volta entrata nella composizione dei liquami, cambia l’equilibrio ecosistemico; dall’allevamento agroecologico si ottengono poi prodotti di derivazione animali più nutrienti, più ricchi di carotenoidi, vitamina E, antiossidanti e acidi grassi saturi”.
Sovraconsumo e spreco alimentare: due questioni da considerare per la transizione degli allevamenti intensivi
Coma ha sottolineato Laura Reali, dirigente Isde Italia – Associazione italiana medici per l’ambiente e presidente Ecpcp (Confederazione europea dei pediatri delle cure primarie) “gli animali allevati intensivamente non possono essere sani e possono restituirci solo una carne piena di antibiotici, pesticidi e integratori, sostanze che possono arrivare a chi la consuma, con un aumento di patologie. Inoltre, non abbiamo bisogno di tutta questa carne prodotta oggi: le quantità suggerite per il fabbisogno di un bambino sono ad esempio di 30 g di proteine al giorno”.
Una questione di sovrapproduzione e sovraconsumo che si collega anche al problema dello spreco alimentare, posto da Silvio Franco, docente di economia delle risorse naturali e dell’ambiente presso l’Università della Tuscia: “Quello della sicurezza alimentare è un falso tema se consideriamo che oggi sprechiamo un terzo del cibo prodotto nel mondo e che se lo recuperassimo sfameremmo più persone. Evitiamo gli sprechi invece che aumentare la produttività: queste sono le misure serie da prendere”. Franco ha anche posto la questione di utilizzare indicatori di impatto specifici per l’agricoltura: “L’azienda agricola è l’unica che ha il capitale naturale all’interno del capitale dell’impresa, serve un bilancio ecologico tra risorse e impatto”.
All’evento sono intervenuti anche Michela Vittoria Brambilla, presidente intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e la tutela dell’ambiente, ed Eleonora Evi, componente VIII Commissione, Camera dei deputati, che hanno parlato della necessità di affrontare questi temi, che sono attualmente assenti dall’agenda politica, con coraggio e senza girarsi dall’altra parte. Altri interventi sono stati quelli di Emilio Borrelli, deputato Avs, Alessandro Caramiello, Pianeta 2050 M5S, Roberto Colombero, presidente Uncem (Unione nazionale comuni comunità enti montani) Piemonte e sindaco di Marmora (Cn), Famiano Crucianelli, presidente del biodistretto della via Amerina e delle Forre. In rappresentanza delle associazioni erano presenti Federica Luoni, responsabile agricoltura Lipu, Ilaria Scarpetta, ufficio istituzionale Wwf Italia, e Fabio Ciconte, direttore Associazione Terra!.
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