Le novità introdotte dal governo per contenere la pandemia in Italia, a partire dal green pass rafforzato, o super green pass.
Dai visoni ai maiali. Gli allevamenti intensivi possono diventare i luoghi ideali per la mutazione dei virus
Gli allevamenti intensivi potrebbero favorire una mutazione del coronavirus. Una scoperta che giunge a poco tempo dalla realizzazione di un vaccino.
Editoriale a cura di Greta di Fiore, comunicazione di Animal Equality Italia
Recentemente è andato in onda alla trasmissione Le Iene un servizio realizzato con la collaborazione di Lav Italia che tenta di rispondere alla domanda: in Italia c’è il rischio di sviluppare una nuova mutazione del coronavirus nei visoni?
La mutazione del virus nei visoni in Danimarca
In Danimarca è stato dato l’ordine di abbattere l’intera popolazione di visoni allevati per le loro pellicce dopo che gli animali di alcuni allevamenti sono risultati positivi alla Covid-19 e portatori di una sua nuova mutazione, e dopo che 12 persone sono state trovate positive a questa nuova mutazione.
La Danimarca ha preferito ordinare l’abbattimento dell’intera popolazione di visoni, parliamo di oltre 17 milioni di animali innocenti, piuttosto che rischiare di essere complice della diffusione di una mutazione del Sars-Cov-2. Nonostante questo abbattimento sia tragico e di inumana violenza, questa vicenda potrebbe segnare la tanto agognata fine di questa industria crudele e superficiale, sia nel paese scandinavo che in altri. E in questo, non possiamo che trovare conforto.
La mutazione riscontrata nei visoni danesi, e che ha portato a questa decisione estrema, riguarda la proteina Spike, quella che il virus utilizza per entrare nelle cellule e che può renderlo più contagioso, rischiando così di rendere meno efficaci i vaccini a cui stiamo lavorando per frenare l’avanzata del virus.
I rischi di una nuova mutazione negli allevamenti di visoni
E in Italia? Nel nostro paese ci sono ancora 8 allevamenti di visoni attivi per la produzione di pelliccia, per un totale di circa 60mila animali ogni anno.
Ad agosto in uno di questi allevamenti sono stati riscontrati proprio dalla Lav degli animali positivi al coronavirus, ma la segnalazione all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) è stata fatta solo a ottobre. Ma se in Olanda dopo la segnalazione del primo contagio di Covid in un allevamento di visoni, sono stati testati tutti gli animali, in Italia sono stati controllati solo i visoni dell’allevamento dove è stata trovata la positività.
Il rischio di una nuova mutazione esiste davvero, perché quando il virus entra in un allevamento di visoni, portato da addetti o operatori positivi, gli animali che si infettano iniziano a produrre anticorpi e la pressione immunitaria spinge il virus a modificarsi.
I visoni potrebbero non essere l’unico problema
In Danimarca, dove è stata ordinata l’uccisione dell’intera popolazione di visoni, alcuni esperti si interrogano sulla possibilità di un passaggio del virus in altre specie di animali allevati.
Hans Jørn Kolmos, professore di microbiologia clinica all’Università della Danimarca meridionale ha esortato pubblicamente il Ministro dell’agricoltura e della pesca Mogens Jensen a effettuare una ricerca campionata sui maiali danesi perché non si sa se anche i suini possono essere contagiati dalla Covid-19 e ci sono alcune ricerche allarmanti in merito.
È davvero possibile che l’infezione si diffonda e muti negli allevamenti di maiali?
Ancora non ci sono certezze a riguardo perché non ci sono studi sufficienti. Finora sono stati condotti dei test su minuscola scala: su 14 maiali in Germania e 5 maiali in Cina nessun animale è stato contagiato, mentre in uno studio canadese con 16 maiali, un terzo di loro è risultato positivo.
La cosa più sensata, come spiega il professore, sarebbe iniziare a fare uno screening sistematico dei maiali in fase di pre-macellazione per individuare eventuali positività al virus, avanzando l’ipotesi che il contagio fra i maiali possa essere la ragione dietro i focolai di Covid-19 tra gli operatori di macelli di tutto il mondo. La comunità scientifica, come sottolineato dal professor Kolmos, sta facendo pressioni da oltre sei mesi per sollecitare le istituzioni e dare il via a questa ricerca.
Perché ancora nessuno si è mosso in questa direzione? Forse ciò che frena le istituzioni è la paura di vedere un intero settore danneggiato da questa ricerca e di una ricaduta anche molto grave in termini economici per l’industria, fino ad arrivare, nel caso più estremo, ad una vera e propria disfatta per l’industria, come sta succedendo per il settore delle pellicce.
Il rischio è quello di intervenire quando sarà troppo tardi
Ancora una volta, la difesa degli interessi economici dell’industria della carne, oltre che a schiacciare il benessere degli animali, viene anteposta alla tutela salute umana. E questo è intollerabile.
Come sempre il problema è proprio questo: aspettare ad intervenire quando ormai è troppo tardi. Sono anni che esperti da tutte le parti del mondo evidenziano quali rischi comporta per la salute il modo in cui alleviamo e sfruttiamo milioni di animali.
Rinchiudiamo in condizioni pessime milioni di animali, li stremiamo, portiamo il loro sistema immunitario a cedere e creiamo delle polveriere di virus pronti ad esplodere.
Secondo gli esperti, infatti, uno dei principali fattori di rischio epidemiologico è attualmente il sistema convenzionale di allevamento. Particolarmente pericolosi a questo proposito sono gli allevamenti intensivi, dove viene confinata la stragrande maggioranza degli animali destinati al consumo umano.
Il virus Sars-Cov-2 è solo l’ultimo di una lista crescente di malattie, tra cui l’Ebola, la Mers e la Sars, la cui diffusione dagli animali all’uomo è stata intensificata dalla pressione umana e dall’impatto sull’ambiente e ora – proprio nel momento in cui il vaccino sembra essere pronto ad essere rilasciato – scopriamo che gli allevamenti intensivi possono essere i luoghi ideali per la mutazione di questo stesso virus che cerchiamo di combattere.
Il nostro modello di consumi e il nostro stile alimentare hanno un impatto diretto sulla salute pubblica, sul nostro Pianeta. E questo mette a rischio il nostro futuro.
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