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Emilia-Romagna di nuovo nel fango: colpa di territori fragili, crisi climatica e consumo di suolo
L’ennesima alluvione in Emilia-Romagna è un segnale della crisi climatica sempre più presente, aggravata da urbanizzazione e consumo di suolo.
Interi comuni quasi sommersi in poche ore. L’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna tra il 19 e il 20 ottobre 2024 ha messo ancora una volta in evidenza la vulnerabilità del territorio di fronte a fenomeni climatici sempre più intensi e frequenti.
È la quinta volta in meno di due anni, infatti, che le stesse località vengono travolte da precipitazioni estreme. Episodi simili si erano già verificati a maggio 2023, quando ad essere devastate furono le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Bologna, in particolare la sua zona pedecollinare, e più recentemente il 3 e 4 ottobre scorsi, a causa della tempesta Boris.
Questa volta è toccato alla città metropolitana di Bologna
Questa volta, il territorio di Bologna e la sua area metropolitana hanno subito i danni maggiori. Comuni come Pianoro, Monterenzio, Idice e San Lazzaro di Savena sono stati colpiti duramente dalle esondazioni dei fiumi Savena, Zena e Idice, mentre i torrenti affluenti del fiume Reno, in parte tombati nel secolo scorso per far spazio alle costruzioni e che oggi scorrono sotto il suolo in alcune zone della città di Bologna, sono letteralmente esplosi a causa della pressione accumulata nei condotti sotterranei.
Un ragazzo di vent’anni è morto, travolto dalla piena del torrente Zena, mentre 3.500 persone sono state evacuate nella provincia di Bologna, con cinquecento sfollati solo nel comune del capoluogo. Almeno 15mila edifici sono rimasti senza elettricità, alcuni per più di ventiquattro ore; le strade sono state chiuse e decine di frane hanno interessato la zona appenninica.
I dati record: la pioggia di due mesi in poche ore
Dopo una giornata di allerta rossa, in cui la pioggia ha alternato momenti di calma a rovesci più intensi, la situazione è diventata drammatica intorno alle 19 di sabato. Le precipitazioni sono diventate incessanti, con una linea di rovesci che si è bloccata sulle prime colline e sulla media montagna. Si è trattato di fenomeni simili a temporali estivi, ma a differenza di questi, che hanno generalmente breve durata, le piogge hanno mantenuto la stessa intensità per ore.
Così, gli accumuli registrati tra le 6 di sabato e la stessa ora di domenica 20 ottobre hanno raggiunto valori estremamente elevati, con punte tra 160 e 180 millimetri nell’area metropolitana bolognese. A Bologna San Luca, si sono raggiunti i 148,5 millimetri di pioggia in ventiquattro ore: un valore vicino al record storico del 1928 (150 millimetri). Come ha sottolineato Arpae, “particolarmente preoccupante è stata l’intensità delle precipitazioni, con picchi di oltre 30 millimetri/ora e accumuli di cento millimetri in appena quattro ore”. Il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, ha ribadito: “In sei ore su Bologna è caduta la quantità di acqua che dovrebbe scendere in due mesi autunnali”.
Una slavina d’acqua
I livelli di pioggia caduti in poche ore spiegano già di per sé le gravi conseguenze che si sono verificate, ma ad aggravare ulteriormente la situazione è stato il suolo delle colline intorno a Bologna, già saturo a causa di un mese particolarmente piovoso. Come ha dichiarato Irene Priolo, presidente facente funzione dell’Emilia-Romagna, Bologna è stata colpita da una vera e propria “slavina d’acqua” che il terreno non è riuscito a trattenere. Di conseguenza, l’acqua non solo ha esondato dai fiumi, ma è anche fuoriuscita dai tombini e dagli scoli della città, scoperchiando anche alcune tombature dei fiumi sotterranei.
Un esempio emblematico è quello del torrente Ravone, che attraversa Bologna interrato nel quadrante ovest, il cui idrometro ha segnato 3,14 metri, superando il precedente massimo di 2,54 metri registrato a maggio 2023, prima di essere completamente sommerso dalla piena. La pressione dell’acqua ha fatto esplodere il condotto sotterraneo in diversi punti, come in via Saragozza e via Andrea Costa, mentre è tracimato nei tratti a cielo aperto. Il risultato è stato devastante: intere attività commerciali sono state spazzate via dal fango, causando danni per milioni di euro.
Perché le alluvioni colpiscono l’Emilia-Romagna?
Le cinque alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna tra il maggio 2023 e l’ottobre 2024 sono il risultato di un insieme di fattori territoriali e climatici. Da un lato, il rischio idrogeologico della regione è particolarmente elevato a causa della presenza di numerosi fiumi e torrenti, oltre che per le condizioni morfologiche del territorio. Secondo l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), il 45,6 per cento della superficie della regione è classificata a rischio allagamenti in caso di scenari di pericolosità media: una percentuale ben superiore alla media nazionale (la seconda regione più a rischio è la Calabria, con il 17,2 per cento). Nella provincia di Bologna, il rischio si attesta intorno al 50 per cento, con oltre il 60 per cento della popolazione esposta a potenziali alluvioni.
Dall’altra parte, sebbene le perturbazioni autunnali siano fenomeni storici, i cambiamenti climatici ne hanno amplificato sia la frequenza che l’intensità. Le depressioni che attraversano la regione trovano oggi una maggiore quantità di energia disponibile nell’atmosfera a causa delle temperature in aumento. Secondo il servizio europeo Copernicus, l’estate del 2024 è stata la terza più calda mai registrata, con temperature del mare Adriatico superiori di 3-4 gradi rispetto alla norma, nonché record toccati nel resto del bacino del Mediterraneo. In questo modo, i cicloni possono accumulare ulteriore energia, rendendo i fenomeni meteorologici non solo più intensi, ma anche più frequenti, e riducendo il tempo di recupero del territorio.
Gli interventi non più rimandabili
Gli eventi estremi che colpiscono l’Emilia-Romagna, e non solo, richiedono azioni strutturali e politiche radicali per garantire la sicurezza e affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici. Non si può più rispondere con soluzioni temporanee o limitate: è necessario un approccio che integri adattamento e mitigazione per affrontare la crisi in maniera sostenibile e duratura.
La messa in sicurezza del territorio, di cui si sta parlando enormemente in queste ore, non deve limitarsi solo a interventi strutturali come l’ampliamento delle condotte sotterranee o il rafforzamento degli argini dei fiumi, ma deve passare anche attraverso l’implementazione di sistemi di allerta rapida. Come ha sottolineato Federico Grazzini, meteorologo e capo previsore del Servizio-idro-meteo-clima (Simc) dell’Arpae, è cruciale che la popolazione sia consapevole dei rischi e preparata ad affrontare le emergenze: la divulgazione e la formazione della cittadinanza sono componenti fondamentali della prevenzione, poiché sapere cosa fare in caso di emergenza può fare la differenza tra sicurezza e disastro.
Un altro problema chiave riguarda il consumo di suolo. L’ultimo rapporto Ispra ha rilevato che in Italia nel 2022 sono stati persi circa 19,4 ettari di suolo al giorno, il livello più alto registrato dal 2012, con l’Emilia-Romagna quarta regione in Italia per incremento netto di suolo consumato. È piuttosto evidente che negli ultimi decenni, il nostro territorio abbia subito profonde trasformazioni. L’espansione urbana ha portato all’antropizzazione di vaste aree, con l’aumento di infrastrutture e edifici che hanno progressivamente occupato spazi naturali. k
Queste modifiche hanno alterato l’equilibrio naturale del territorio, riducendo la capacità di assorbimento del suolo e aumentando i rischi idrogeologici. Questo dato mette in evidenza la necessità di un ripensamento radicale del modello urbanistico delle nostre città ed economico.
Gestire in modo sostenibile i fiumi è altrettanto essenziale. Oltre all’ampliamento degli alvei, è importante evitare pratiche dannose come il taglio indiscriminato della vegetazione ripariale sulle sponde emerse dei fiumi o gli scavi eccessivi negli alvei. Interventi come quelli sul torrente Ravone, che includono risagomature e operazioni di pulizia, devono essere pianificati con una visione a lungo termine, integrando tecniche di ingegneria naturalistica per favorire l’adattamento ai cambiamenti climatici. Insomma, l’urgenza di una pianificazione coordinata, che coinvolga governi, cittadini e imprese, si fa sempre più evidente: per garantire la resilienza delle nostre comunità, i nostri territori devono prepararsi a un futuro in cui eventi climatici estremi diventeranno sempre più frequenti.
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