Dopo l’alluvione nelle Marche, il geologo Endro Martini avvisa la politica: “Adesso è il momento di investire in piani di manutenzione e in un cambio culturale”.
“A dicembre 2019 per il fiume Misa è stato fatto un contratto di fiume e un programma di azione che prevedeva tante cose. Sono state realizzate? No. Per ora sono partiti solo i lavori per la cassa di espansione (un’opera idraulica che riduce la portata durante le piene di un corso d’acqua tramite lo stoccaggio temporaneo, ndr), è stata fatta un po’ di manutenzione gentile, sono rafforzati gli argini ed è stato fatto il nuovo ponte a Senigallia, ma se poi arriva giù l’ira di Dio…”.
Endro Martini, geologo, è coordinatore per la Società italiana di geologia ambientale dei contratti di fiume, uno strumento introdotto dalcodice dell’ambiente nel 2006 attraverso cui si affronta la gestione di un fiume chiamando a raccolta tutti gli stakeholder, pubblici e privati, definendo un preciso programma di pianificazione per la salvaguardia dal rischio idraulico.
Oltre a essere stato presidente del comitato promotore di Italy water forum 2024, il più importante evento internazionale nel settore dell’acqua, che riunisce comunità scientifica, imprese, mondo della cooperazione e società civile per confrontarsi attorno alle sfide globali dell’acqua (la candidatura italiana ha chiuso al secondo posto, battuta dall’Indonesia), è un grande conoscitore dei fiumi marchigiani, tra cui il Misa e il Burano protagonisti della tragica alluvione dei giorni scorsi. E nell’intervista rilasciata a Lifegate avvisa: gli eventi di Senigallia e dintorni forse non erano prevedibile né evitabili, è vero, ma solo perché in Italia non si fa adeguata prevenzione.
Davvero non poteva esserci un sistema di allerta più efficace nelle Marche? Questo di Senigallia, con 420 millimetri di acqua in 4-6 ore, praticamente un terzo o la metà di quanto normalmente piove in un anno, è stato evento eccezionale, al limite di uno di quello che uno si può attendere. Chi ha una età come la mia ricorderà l’alluvione del 1996 in Versilia (con 440 millimetri di pioggia in appena 8 ore, e 13 vittime, ndr): dopo periodi siccitosi questa tipologia di fenomeni si può scatenare. I meteorologi sono in grado di preannunciare l’arrivo di una perturbazione di dimensioni importanti, ma quando si creano fenomeni autorigeneranti (un temperale che si auto-alimenta a causa del contrasto tra due masse d’aria con caratteristiche termiche differenti, una calda e umida e l’altra fredda e secca, come avvenuto nelle Marche, ndr) diventa complicato fare una previsione centrata: la tecnologia, pur avanzata, non è ancora in grado.
Visti i danni e le perdite, allora, non è il caso di agire sulla prevenzione del dissesto? Ho letto una indagine dell’Ance, i costruttori edili, che stimava un media di 2,5 miliardi annui di danni causati in Italia da alluvioni, frane e terremoti, che nel nostro Paese di certo non ci mancano… Molto serenamente mi sento di augurarmi che il nuovo Parlamento a Camere riunite e col governo formato, qualunque esso sia, dedichi una o più giornate a riflettere su come contrastarli e mitigarli. Quando nel 1989 uscì la legge per la difesa del suolo, si stabilirono interventi urgenti triennali. Parliamo tanto di crisi economiche e di mancanza di lavoro: ebbene, un investimento pubblico, anche cofinanziato dal privato e dall’Europa, che metta 2-3 miliardi l’anno in cantiere per fare opere grosse, ma anche di manutenzione gentile (le normali operazione di pulizia degli scoli e di sfalcio, che non necessitano dell’utilizzo di mezzi e infrastrutture, ndr) interventi eco-compatibili, significa creare lavoro e gestire il rischio con uno sviluppo sostenibile. Possiamo continuare a fare la conta dei soccorsi, dei danni e delle vittime? Abbiamo 500 fiumi: se non ora, quando?
Siamo arrivati al punto di non ritorno? Il nostro territorio non è più in grado di accogliere eventi della metà della portato di questo, figuriamoci se in prospettiva questi eventi si ripeteranno. Oggi li chiamano Medicane, sono in tutto e per tutto dei piccoli uragani. La manutenzione è importante, deve essere continua e va saputa fare, ma da sola non basta: c’è un problema di ecosistema da mantenere e preservare.
In che modo? Per esempio bisogna trattenere l’acqua quando ne arriva troppa, e magari conservarla, per poi restituirla quando l’acqua non c’è. Veniamo da 5 mesi di siccità, i fiumi marchigiani erano secchi, non ci scorreva l’acqua. Quando improvvisamente si sono scatenati dal cielo quei millimetri di pioggia è arrivata un’onda di piena che ha travolto tutto, anche il cantiere della cassa di espansione ha subito danni enormi.
Questo significa adattamento ai cambiamenti climatici: eppure il piano nazionale è fermo da qualche anno, così come la legge sul consumo del suolo. La cura e la gestione del territorio non può essere fatta con la stessa mentalità con cui abbiamo creato i problemi che dobbiamo risolvere adesso. C’è bisogno di un momento di riflessione sull’onda dell’emergenza: per questo dico che il nuovo Parlamento deve dedicare uno o due giorni per ascoltare tutti gli esperti, prendere delle decisioni, andare nel bilancio dello stato e trovare le risorse.
C’è in questo momento una consultazione europea sulla gestione del suolo: se non capiamo che prevenire significa risparmiare… Da giovedì scorso sono passati diversi giorni, l’emergenza quanto ci è costata tra elicotteri, volontari, sistemi di aiuto? Probabilmente stiamo tra i 20 e 40 milioni di euro: non è meglio mettere questi soldi sul territorio per mitigare questi eventi o dobbiamo sempre aspettare il dopo?
Parla di un vero cambiamento culturale? Parlo da una parte di investimenti pubblici, dall’altra di una rivoluzione culturale dall’alto. Che passa anche da una adeguata informazione al cittadino. Bisogna che i messaggi di allerta arrivino direttamente sui cellulari delle persone, e non solo al sindaco del piccolo Comune, che è l’ultima ruota del carro e il primo che viene messo in croce quando ha poco per intervenire… E poi l’autoprotezione: io non devo scendere in garage a controllare la macchina quando piove, devo salire al piano di sopra. Non devo attraversare un sottopasso, col rischio di rimanerci bloccato. Serve maggiore informazione alle persone. Negli alberghi sulle porte ci sono i cartelli con le istruzioni in caso di incendio. Ecco: in ogni casa in una zona a rischio alluvione ci dovrebbe essere un cartello con scritto cosa fare in caso di allerta meteo.
Possiamo farcela a fare questo cambio di passo, possibilmente in breve tempo? Obama diceva ‘yes we can‘, qualcuno disse ‘volere è potere’. Se si vuole si può fare, si può cominciare subito. Ricordate il Bisagno, il torrente che esondò nel genovese nel 2014? Lì hanno fatto un piano di intervento, i lavori ora si stanno completando. Ci vuole una programmazione di lungo periodo e piano triennali di manutenzione. Bisogna cominciare subito, ma lo possiamo fare.
Il 29 ottobre 2018, le raffiche di vento della tempesta Vaia hanno raso al suolo 40 milioni di alberi in Triveneto. Una distruzione a cui si sono aggiunti gli effetti del bostrico, che però hanno trovato una comunità resiliente.
Continua ad aumentare il numero di sfollati nel mondo: 120 milioni, di cui un terzo sono rifugiati. Siria, Venezuela, Gaza, Myanmar le crisi più gravi.
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