In preda allo sconforto verrebbe da pensare che la convivenza tra uomini e grandi predatori sia definitivamente fallita. Tuttavia non ci si può né ci si deve arrendere.
Proprio sabato scorso sono stato in Abruzzo con un mio amico. Verso le 19.30, dopo oltre due ore di appostamento e quando ormai non ci speravo più perché la luce stava iniziando a scemare, da un canalone è risalito un grosso maschio. L’abbiamo osservato per diversi minuti, si è fermato a mangiare bacche di ramno. Il suo mantello alla luce del tramonto sembrava quasi dorato, è stato molto bello. Quest’anno ho visto tre orsi, quello di sabato, uno un paio di mesi fa, ma la prima era stata Amarena, a fine maggio. Ero in Abruzzo con la mia compagna e i bambini e, dopo avermi sentito parlare così tanto di orsi, hanno insistito per fare una capatina a Villalago, e lì siamo riusciti a vederla. Mi mancherà.
Chi era l’orsa Amarena
Amarena, una femmina di orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus), era conosciuta e amata da tutti, ambasciatrice della sua specie presso la nostra. Un ponte tra il mondo antico e immutabile delle foreste ed il nostro, in perpetua trasformazione e sempre più incapace di comunicare con le sue radici. Amarena, ancora più importante, era una delle femmine più prolifiche della storia del Parco nazionale d’Abruzzo, mamma di due cuccioli e protagonista tre anni fa di una cucciolata portentosa, quattro piccoli, uno dei quali era Juan Carrito, vittima di un incidente stradale lo scorso 23 gennaio.
Amarena era, e non è più, poiché nella serata del 31 agosto, verso le 23, un uomo le ha sparato uccidendola, privandoci di questo fantastico animale e inferendo a questa sottospecie endemica dell’Italia centrale, uno dei mammiferi più rari del pianeta, la cui popolazione oscilla tra i 50 e i 60 esemplari, un danno incalcolabile. È evidente che qualsiasi individuo morto prematuramente, in una popolazione così ridotta, costituisca una grave perdita. Se a morire è una femmina in età riproduttiva, anzi la femmina che negli ultimi anni ha messo al mondo più cuccioli, l’evento assume i contorni di una tragedia.
Giustizia per l’assassinio di Amarena
Amarena è morta la sera, alla periferia di San Benedetto dei Marsi, fuori dai confini del parco, a causa di un colpo di fucile esploso da Andrea Leombruni, 56enne di San Benedetto dei Marsi. La dinamica è ancora da accertare e sono in corso le indagini da parte delle forze dell’ordine. Ma guardando le decine di video girati in questi anni ad Amarena, che attraversa placida piazze e cortili, si può escludere categoricamente che l’uomo abbia sparato per difendersi. “Amarena – ha scritto l’associazione Salviamo l’orso – non ha mai costituito un pericolo per l’uomo come anche le sue immagini di nemmeno tre giorni fa girate a San Sebastiano dei Marsi hanno mostrato senza alcun dubbio”.
La stessa associazione, che da anni è concretamente impegnata nella conservazione del raro plantigrado, ha annunciato azioni legali. “Useremo tutti i nostri avvocati e tutto il tempo ed il denaro di cui ci sarà bisogno per far sì che rimpianga amaramente ciò che ha fatto. Lo faremo perché un orso non vale una gallina, perché un orso è specie protetta in Europa, in Italia, in Abruzzo e dunque anche a San Benedetto dei Marsi. Chiederemo al sig. Andrea Leombruni un risarcimento milionario che lo costringa a passare i prossimi anni tra avvocati e aule di tribunale, e se Dio vuole alla fine di questo lungo procedimento utilizzeremo il suo denaro per aiutare i nostri orsi”.
Che futuro per i cuccioli di Amarena
La morte di Amarena rappresenta un altro chiodo nella bara di una sottospecie fragile, rarissima e inestimabile, l’ultimo orso dell’Appennino, relitto di una grande fauna ormai scomparsa. La morte dell’orsa riguarda inoltre i suoi due cuccioli, fuggiti dopo gli spari. Al momento il personale del Parco è impegnato a individuare i due orsetti e a valutare come intervenire per salvarli, ma il loro futuro è quantomeno incerto.
Di chi è la colpa?
La responsabilità della morte di Amarena è certamente di chi ha premuto il grilletto, ma va condivisa. In primis con le istituzioni. La campagna di odio contro i grandi carnivori, rintuzzata da buona parte della classe politica dopo la tragica e sfortunata morte di Andrea Papi, runner ucciso da un orso in Trentino lo scorso aprile, viene usata per racimolare consensi.
I carnivori sono il mostro da sbattere in prima pagina, non passa giorno che il politico di turno non ne parli a sproposito auspicandone la rimozione e, pertanto, legittimando in qualche modo gli atti criminali poi commessi dai singoli cittadini.
Cattura dell'orsa JJ4, il Presidente della Provincia di Trento Maurizio Fugatti: "abbiamo inoltrato al Tar la documentazione integrativa richiesta per procedere con l'abbattimento" #orsa#JJ4#Fugatti#localteampic.twitter.com/c113MI8uge
Dopo la morte di Papi il presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti (che nel 2011 aveva organizzato per la Lega nord un banchetto a base di carne di orso, poi bloccato dalle forze dell’ordine per mancanza delle obbligatorie certificazioni di provenienza), aveva immediatamente disposto l’uccisione dell’orsa “colpevole” e di altri 50 esemplari.
La sentenza di morte per l’orsa Jj4 è stata però revocata dal Consiglio di Stato, che ha sospeso l’ordine di abbattimento perché sarebbe “sproporzionato e non coerente con le normative sovrannazionali e nazionali”. L’animale è attualmente detenuto nel Centro di recupero fauna Alpina di Casteller, a Trento.
Lo scorso 28 agosto il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha consegnato al Consiglio dei ministri una lettera dei sindaci del Trentino che chiedono al governo centrale una modifica nella gestione dei carnivori, chiedendo più autonomia e, in sostanza, la possibilità di uccidere orsi e lupi a piacimento, senza prendere in considerazione il parere all’Ispra.
Il sentiero della convivenza
Quello avvenuto a San Benedetto dei Marsi è, innanzitutto, un attentato alla biodiversità, ad una sottospecie unica e iconica, ma anche ai nostri sogni. Alle speranze di chi, come chi scrive, dedica ore ed ore, di viaggio, studio e interminabili appostamenti per poter ammirare da lontano, in religioso silenzio, questa silvana divinità pagana. È un’esperienza indescrivibile trovarsi al cospetto di un simile animale, esperienza che, in un futuro prossimo, non sarà più possibile vivere. Cosa racconteremo ai nostri figli, quando ci chiederanno perché non ci sono più orsi in Appennino?
In preda allo sconforto verrebbe da pensare che la convivenza tra uomini e grandi predatori sia definitivamente fallita. Tuttavia non ci si può né ci si deve arrendere, e segnali positivi e passi avanti in tal senso si percepiscono. Solo pochi giorni fa, nel cuore della Marsica, una guida ambientale di grande esperienza, che collabora ad attività di censimento di animali selvatici con il Parco Nazionale d’Abruzzo e con il Parco della Maiella, ci riferiva che negli ultimi anni qualcosa sembra essere cambiato. Le persone sembrano essere diventate più tolleranti e disposte a convivere con l’orso.
Però questo processo, che va costantemente alimentato e richiede concrete opere di sensibilizzazione e divulgazione, è graduale e necessita di tempo.
Il tempo, però, potrebbe non essere sufficiente e per l’orso bruno marsicano potrebbe essere troppo tardi. La scomparsa di questa rara ed endemica sottospecie di plantigrado, oltre a lasciare un vuoto incolmabile nella nostra biodiversità e nei nostri cuori, sarebbe una sconfitta per tutti.
Addio, Amarena
Amarena era un simbolo, ma non era una mascotte. Basta guardare il documentarioIl mio vicino è un orso, di Mattia Cialoni, per rendersi conto di come le popolazioni dei paesi vicino i quali si muoveva l’avessero accolta e accettata. Il cortometraggio racconta proprio le vicende di Amarena e dei suoi cuccioli e del rapporto che si instaura con gli abitanti di Villalago, divenuti rappresentanti di una convivenza tra uomo e orso, mostrando che coesistere pacificamente è possibile. E l’orsa, dal canto suo, dava a questi luoghi un risalto e un prestigio che viceversa non avrebbero.
Quando gli orsi marsicani saranno estinti, e ne potrà osservare solo qualche esemplare impagliato in un museo, questi luoghi meravigliosi manterranno sì numerose attrattive, ma avranno perso irrimediabilmente quell’alone di magia e mistero, che solo un animale carismatico come l’orso può infondere.
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