Si è concluso il vertice per l’Amazzonia organizzato a Belém dal Brasile. La cooperazione è ripartita, ma mancano le azioni per fermare la deforestazione.
I paesi che hanno la fortuna di avere l’Amazzonia entro i propri confini sono tornati a cooperare dopo 14 anni.
Lula ha chiesto di agire in fretta per raggiungere la deforestazione zero.
Ma i paesi hanno firmato “solo” una dichiarazione d’intenti in vista della Cop30 di Belém.
Non si sono messi d’accordo su modalità e interventi per azzerare il tasso di deforestazione in Amazzonia da qui a fine decennio, però sono tornati a incontrarsi dopo più di un decennio per parlare di clima, biodiversità e proteggere la foresta che li unisce. E questa è già una notizia. Oltre al calo della deforestazione nel suo paese (pari al 42 per cento nei primi sette mesi del 2023), quindi, uno dei risultati più importanti del ritorno di Luiz Inácio Lula da Silva alla presidenza del Brasile è l’aver ridato linfa alla cooperazione interna, tra popoli, ed internazionale, tra stati.
Cosa rappresenta l’Amazzonia, oggi
Martedì 8 e mercoledì 9 agosto (Giornata mondiale dei popoli indigeni) i leader degli otto paesi che fanno parte dell’Amazon cooperation treaty organization (Acto) – Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela – si sono riuniti a Belém, in Brasile, la stessa città che ospiterà i lavori della Cop30, la conferenza sul clima del 2025. E l’hanno fatto anche per cercare di trovare una linea comune in vista della prossima conferenza, la Cop28 che si terrà a novembre a Dubai. Oltre agli otto stati dell’Acto, c’erano anche rappresentanti di altre foreste primarie del mondo: dai presidenti della Repubblica Democratica del Congo e della Repubblica del Congo a un emissario della presidenza indonesia, fino all’ambasciatore francese in Brasile, come rappresentanza del territorio della Guyana francese. E poi un emissario della Norvegia, che attualmente è il maggior contribuente del fondo per l’Amazzonia (Amazon fund).
Último dia da Cúpula da Amazônia. Recebemos hoje os representantes dos dois Congos, da Indonésia, que, junto com os países amazônicos, concentram as florestas tropicais do mundo. Também estão presentes os representantes de São Vicente e Granadinas, da França, da Noruega, dos… pic.twitter.com/jSBHfjq35S
Per dare una prospettiva concreta di ciò di cui gli otto leader hanno discusso, facciamo un passo indietro. Non è un caso se l’Amazzonia è definita il polmone verde del pianeta: si sviluppa su un’area (6,7 milioni di chilometri quadrati) grande due volte l’India e due terzi della sua superficie si estende proprio in Brasile, mentre l’altro terzo è suddiviso tra gli altri sette stati dell’Acto, più la Guyana francese. La foresta, secondo il sistema economico imposto dai paesi industrializzati, per secoli è stata guardata con gli occhi di chi ha fame di risorse per alimentare una forma di sviluppo senza controllo. Uno sfruttamento dettato da colonizzatori affamati che avevano ben poca attenzione per la sostenibilità e per i diritti dei popoli indigeni che abitano l’Amazzonia da secoli.
“La foresta ci unisce. È tempo di rivolgerci al cuore del nostro continente e consolidare la nostra identità amazzonica una volta per tutte”, ha dichiarato il presidente brasiliano Lula durante il vertice di Belém. “Questo sistema internazionale non è stato creato con noi, per anni siamo stati trattati come gregari, come fossimo semplici fornitori di materie prime. Una transizione giusta ci darà la possibilità di cambiare tutto ciò”, ha proseguito Lula.
Cosa prevede la dichiarazione di Belém
Tante, belle parole. Poi nei fatti quello che si è riusciti a fare è firmare la Dichiarazione di Belém per “promuovere un’agenda comune sull’Amazzonia”. Si tratta di un documento di 113 punti in cui la cooperazione è la parola chiave e che dà vita a un’alleanza per contrastare la deforestazione ed evitare “che si raggiunga il punto di non ritorno”, cioè che venga superata quella soglia di deforestazione tale per cui non sarà più possibile tornare indietro, trasformando l’Amazzonia in una sorta di savana che rilascerà grandi quantità di gas serra. Da polmone in grado di contrastare il riscaldamento globale, si trasformerà in un’ulteriore fonte di gas serra.
Un’alleanza che dovrebbe anche promuovere “il rispetto degli obiettivi nazionali, inclusi quelli volti all’azzeramento della deforestazione attraverso l’eliminazione del taglio illegali di alberi e rafforzando la legislazione in tal senso”, si legge nella nota. Insomma, tante parole utili a ristabilire la normalità dopo anni di lassismo se non perfino di collusione con le organizzazioni criminali che, sotto la presidenza di Jair Bolsonaro, hanno trovato terreno fertile per portare avanti le loro attività. I paesi che avrebbero impedito l’introduzione di obiettivi più stringenti, come l’adozione di una moratoria sull’estrazione di combustibili fossili, sono Guyana, Suriname e Bolivia. I rappresentanti di questi paesi avrebbero anche abbandonato i lavori per mostrare il loro disaccordo su un obiettivo, secondo quanto dichiarato dalla Cnn.
Siamo solo all’inizio di un percorso che però non può essere lento. La scienza, infatti, ha più volte ribadito che dai primi anni Duemila, oltre il 75 per cento della foresta vergine ha perso la sua stabilità, la sua “resilienza”. E più passa il tempo, più la foresta ha bisogno di tempo per riprendersi dagli incendi o dai periodi di siccità. Bisogna agire subito e in fretta.
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