La campagna Vote for animals, promossa da Lav e altre organizzazioni, mira a far assumere a candidati e partiti un impegno maggiore sul tema dei diritti animali.
La verità sui cani rimasti in Afghanistan dopo il ritiro delle truppe statunitensi
Circa 130 cani di compagnie private sono stati lasciati in Afghanistan, ma un rifugio locale sta cercando di cambiare le cose.
Il 30 agosto 2021, dopo quasi 20 anni di presenza militare sul campo, gli Stati Uniti hanno completato il ritiro dall’Afghanistan lasciando il Paese, nuovamente, nelle mani dei talebani. Le operazioni di evacuazione si sono svolte in un clima di disordine e allarme, e in meno di due settimane gli Stati Uniti hanno portato fuori dal Paese 120 mila persone tra soldati, cittadini americani e afghani che hanno collaborato con le forze occidentali per sconfiggere, senza successo, il regime estremista e i movimenti terroristi presenti sul territorio.
Se quindi la maggior parte dei cittadini americani sono riusciti a lasciare il Paese – meno di 200 persone non sono ancora rientrate, secondo quanto riportato dal presidente Joe Biden – non si può dire lo stesso dei loro animali domestici e dei contract working dogs, i cani di proprietà delle compagnie private che operavano in Afghanistan e collaboravano con le forze presenti sul campo, tra cui anche l’esercito Usa. Molti di questi animali si trovano ancora in Afghanistan, e dopo la partenza dei soldati sembra difficile che possano essere portati in salvo. I volontari di un rifugio locale, però, non si danno per vinti e continuano a cercare soluzioni per evacuare gli animali.
La foto origine del dibattito sull’abbandono dei cani in Afghanistan
Il dibattito intorno a questo tema è nato con la pubblicazione di una foto, diventata virale sui social, che mostra una serie di gabbie per cani abbandonate all’aeroporto Hamid Karzai di Kabul. Inizialmente si pensava che gli animali fossero di proprietà dell’esercito Usa, ma il dipartimento della Difesa ha prontamente smentito.
La foto è stata pubblicata il 30 agosto dal deputato repubblicano della North Carolina Madison Cawthorn sulla sua pagina Instagram. Questa ritrae un elicottero dell’esercito con una decina di gabbie che, secondo Cawthorn, contenevano altrettanti contract service dogs abbandonati a Kabul. Nella didascalia del post Cawthorn ha scritto: “Ho un cane che apparteneva alla Difesa ed è il mio migliore amico. Non potrei immaginare di abbandonarlo da nessuna parte, queste sono persone orribili”.
Come ricostruito dal sito FactCheck.org, l’immagine ha iniziato a circolare online e la notizia è stata ripresa su Twitter anche dal primogenito di Donald Trump, Donald Trump Jr. Nel giro di poche ore, l’opinione pubblica è insorta per condannare la decisione di abbandonare gli animali che hanno affiancato i soldati americani in numerose operazioni militari.
Il 30 agosto, per esempio, l’organizzazione American Humane – che dal 1877 si occupa di tutelare la salute degli animali – ha pubblicato un duro comunicato stampa in cui condanna la presunta decisione del governo americano di lasciare indietro i contract working dogs, esponendoli al rischio di essere “torturati e uccisi dai nostri nemici”. Le cose, però, sono più complicate di così.
La risposta del Pentagono e il ruolo del Kabul Small Animal Rescue
Il Pentagono ha prontamente risposto per chiarire la situazione: il 31 agosto il suo addetto stampa, John Kirby, ha scritto su Twitter che “l’esercito americano non ha lasciato alcun animale nelle gabbie all’aeroporto internazionale Hamid Karzai”. Kirby ha aggiunto che la foto ritraeva “animali sotto la responsabilità del Kabul Small Animal Rescue” (Ksar) un rifugio per animali locale gestito dall’americana Charlotte Maxwell-Jones. L’informazione è stata confermata anche al Washington Post da Eric Pahon, un portavoce del Dipartimento della Difesa.
Gli animali rimasti in Afghanistan quindi non sono di proprietà dell’esercito americano, ma di compagnie private che forniscono supporto ai vari enti presenti nel Paese, tra cui anche i soldati Usa. Tecnicamente, il dipartimento della Difesa non ha obblighi nei loro confronti e sono le singole compagnie che dovrebbero occuparsi del benessere dei loro animali. Dovrebbero, appunto.
Dopo l’evacuazione delle forze occidentali sembra infatti che il Ksar sia l’unica entità ancora presente sul campo che si sta muovendo per portare in salvo gli animali. Il 31 agosto la Società per la prevenzione delle crudeltà sugli animali (Spca) ha pubblicato un comunicato stampa in cui chiarisce la situazione di Maxwell-Jones e del suo rifugio.
Al 30 agosto il rifugio aveva sotto la sua sorveglianza circa 130 cani, tra cui vari animali domestici che appartenevano agli americani e 46 contract working dogs che lavoravano con l’esercito. Quello stesso giorno Maxwell-Jones si è recata all’aeroporto di Kabul per cercare di far imbarcare gli animali su un volo in partenza, ma il permesso è stato negato. La responsabile del rifugio è anzi stata costretta a lasciare la maggior parte degli animali all’interno dell’aeroporto, “trasformando quelli che erano stati messi in salvo, in cani randagi”.
Gli ostacoli principali per evacuare i cani dall’Afghanistan
L’evacuazione degli animali rimasti a Kabul presenta diversi problemi. Il primo consiste in un divieto messo in atto il 14 giugno dai Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (Cdc), che impedisce di far entrare negli Stati Uniti animali provenienti da Paesi considerati a rischio per la diffusione della rabbia, tra i quali rientra anche l’Afghanistan.
Il secondo ostacolo riguarda invece i volontari del rifugio: come riportato dal magazine Stars and Stripes, mentre Maxwell-Jones ha cittadinanza americana gli altri lavoratori sono afghani, e alcuni non hanno ancora ottenuto i documenti necessari per entrare negli Stati Uniti.
Inoltre, sempre secondo Stars and Stripes, nelle ultime settimane Ksar ha ricevuto circa 700 mila dollari in donazioni per finanziare l’evacuazione degli animali. Maxwell-Jones ha cercato di affittare una serie di voli privati, ma nessuno è mai riuscito ad atterrare a Kabul o a ricevere il permesso per entrare, dopo l’eventuale decollo, in un Paese terzo rispetto agli Stati Uniti e all’Afghanistan.
Un uomo corre con il suo cane a Kabul © Daniel Berehulak/Getty Images
La situazione attuale
Gli ultimi aggiornamenti dalle organizzazioni direttamente coinvolte nelle operazioni di recupero – Ksar in primo luogo, ma anche Spca o il dipartimento della Difesa americano – risalgono ai primi di settembre.
Sappiamo che l’esercito statunitense ha effettivamente evacuato tutti gli animali sotto la sua diretta responsabilità, ma non si è occupato dei contract working dogs che, pur lavorando in alcuni casi a stretto contatto con i soldati, sono di proprietà di compagnie private esterne all’esercito.
Charlotte Maxwell-Jones, responsabile del Kabul Small Animal Rescue, stava cercando di portare in salvo circa 130 animali, ma il 30 agosto è stata obbligata ad abbandonare la maggior parte di questi all’interno dell’aeroporto Hamid Kharzai di Kabul.
Il 4 agosto LifeGate ha contattato Maxwell-Jones, che si è detta non disponibile per un’intervista. Nonostante le difficoltà il rifugio sta ancora lavorando per portare in salvo gli animali abbandonanti dalle compagnie private che avrebbero dovuto prendersene cura.
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