La direttiva Women on boards prevede un’equa rappresentanza dei generi nei consigli di amministrazione delle società europee quotate in Borsa.
È ancora piuttosto raro, però, che una donna venga scelta come amministratrice delegata di una grande azienda.
In Italia ci sono alcune recenti nomine di grande rilievo, come Giuseppina Di Foggia, l’unica donna alla guida di una società partecipata statale.
Per qualche settimana, protagonista delle cronache politiche nostrane è stato il rinnovo dei vertici delle società partecipate dello Stato. D’altra parte, le poltrone in scadenza nell’arco di qualche mese sono ben 610 in 105 diverse società. Dopo tante indiscrezioni, il 13 aprile la presidente del Consiglio Giorgia Meloniha annunciato i nomi. C’è anche quello di Giuseppina Di Foggia, scelta come amministratrice delegata di Terna. Di Foggia diventa, così, l’unica donna a guidare un’azienda italiana tra le prime 50 per capitalizzazione a Piazza Affari.
Cosa prevede la direttiva europea Women on boards
Facciamo un passo indietro. Nei consigli di amministrazione (cda) delle società europee quotate in Borsa devono sedere sia uomini sia donne, in misura equa. Per la precisione, entro la fine di giugno 2026 il 40 per cento dei posti di amministratore senza incarichi esecutivi e il 33 per cento di tutti i posti di amministratore devono essere occupati dal sesso sottorappresentato. Cioè, nella quasi totalità dei casi, le donne. È quanto prevede la direttiva Women on boards, approvata in via definitiva dal Parlamento europeo nel 2022 dopo un iter durato un decennio.
Una misura coraggiosa, perché prevede – tra le altre cose – che gli organi giudiziari possano sciogliere i cda delle società inadempienti. Una misura, al tempo stesso, parziale, perché si applica soltanto alle società con più di 250 dipendenti. In Italia sono 4.187 su 4,4 milioni.
🎯 El objetivo: + equilibrio en la toma de decisiones.
👣 El camino: procedimientos + transparentes, objetivos vinculantes y penalizaciones en caso de no cumplimiento.
L’Unione europea impone le donne nei consigli di amministrazione
Oggi, un posto su tre nei cda delle grandi aziende quotate europee è occupato da una donna, con visibili differenze tra paese e paese. Lo fa sapere l’European institute for gender equality. D’altra parte, finora soltanto nove stati su 27 avevano scelto di imporre quote di genere.
Tra loro c’è l’Italia, con la legge Golfo Mosca (legge 120/2011). Quando è stata approvata, il 28 giugno 2011, le società quotate erano 272 e avevano in totale 2.815 consiglieri: 2.646 uomini e 169 donne. In termini percentuali, erano il 6 per cento. Dieci anni dopo, il 41 per cento degli incarichi di amministrazione nelle società quotate era ricoperto da una donna (dati Consob). Si può dire, per riprendere una fortunata metafora, che il soffitto di cristallo sia stato sfondato? Non del tutto. La stessa Consob, infatti, fa sapere che soltanto 16 società quotate a fine 2021 avevano una donna come amministratrice delegata. In termini di valore di mercato, rappresentano poco più del 2 per cento del totale.
Giuseppina Di Foggia è la prima amministratrice delegata di una partecipata statale
Ecco il motivo per cui la nomina di Giuseppina Di Foggia come amministratrice delegata di Terna è una notizia. Una notizia che peraltro era stata esplicitamente promessa dalla premier Giorgia Meloni, in occasione dell’8 marzo. “La sfida non è quante donne siedono in un consiglio di amministrazione. La sfida è quando avremo il primo amministratore delegato di una società partecipata statale donna, perché, ve lo annuncio, è uno degli obiettivi che mi do».
Romana, ingegnera, Di Foggia ha costruito la sua carriera nel mondo delle telecomunicazioni, prima per Alcatel-Lucent e poi per Nokia Italia, di cui è amministratrice delegata e vicepresidente dal 2020. Passa quindi al settore dell’energia prendendo il posto di Stefano Donnarumma come ad di Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale. Con una capitalizzazione di mercato di 15,6 miliardi di euro, Terna è al dodicesimo posto nella graduatoria delle maggiori imprese quotate italiane. Era dai tempi di Marisa Bellisario, amministratrice delegata di Italtel del 1982, che una donna non era a capo di una società controllata dallo Stato.
Nomine, Giuseppina Di Foggia nuovo ad di Terna: è la prima donna alla guida di un colosso di Stato https://t.co/hq0niNdNNW
Un segnale che, senza dubbio, ha una sua importanza. E può essere l’occasione per scorrere l’elenco delle grandi imprese italiane, quotate e non, e notare quali hanno scelto di essere guidate da una donna.
Tra le pioniere c’è senza dubbio la novarese Novamont, leader nel campo delle bioplastiche, che fin dai suoi esordi nel 2005 ha come amministratrice delegata Catia Bastioli. Henkel, multinazionale chimica tedesca con 145 anni di storia alle spalle, si è voluta dotare di una policy ad hoc. “Oggi le donne rappresentano il 39 per cento del management di Henkel e vogliamo arrivare al 50 per cento entro il 2025. Nei percorsi di selezione abbiamo deciso di avere sempre il 50 per cento di candidati uomini e il 50 per cento di donne. Alla fine è la persona con le giuste competenze, attitudini ed esperienza ad avere il posto, ma donne e uomini hanno le stesse opportunità, in un’ottica di vera equità”, commenta a LifeGate Mara Panajia, fresca di nomina come presidente e ad di Henkel Italia dopo oltre vent’anni in azienda.
“L’empowerment femminile è uno degli impegni di Coop trasversale a tutta la sua storia. Decenni fa magari non era questo il termine utilizzato, ma in una realtà in cui l’occupazione è stata per lo più a predominanza femminile, il ruolo della donna, la sua realizzazione e la possibilità di una equilibrata integrazione tra impegno lavorativo e impegno familiare sono sempre stati un tema di dibattito e uno stimolo al miglioramento”, spiega a LifeGate l’amministratrice delegata di Coop ItaliaMaura Latini. Da qui la campagna Close the gap che si articola all’esterno di Coop, ma anche al suo interno. Le donne nei ruoli direttivi sono il 34 per cento, una percentuale in crescita. Nelle cooperative associate, le socie volontarie sono il 52,6 per cento e le donne in cda sono il 41,5 per cento.
In Microsoft Italia, la prima ad donna è stata nominata nel 2017. È Silvia Candiani e, quando le viene chiesto di dare consigli alle giovani, di solito ne sceglie due: studiare le discipline tecnico-scientifiche e avere il coraggio di buttarsi, di osare. Tra le top manager italiane più note c’è anche Cristina Scocchia che, dopo aver guidato il piano di rilancio del brand di cosmetici Kiko, nel 2022 è stata nominata amministratrice delegata di Illycaffè.
Se le donne sono al vertice, le imprese innovano di più
Ma perché la presenza di donne al vertice delle aziende merita di essere studiata o, addirittura, incentivata? Per un motivo culturale, senza dubbio. Come ci tiene a ribadire la sociolinguista Vera Gheno, il fatto stesso che di norma si parli di amministratore delegato, o di rettore o avvocato, al maschile, non nasce dal rispetto di presunte regole grammaticali. Il femminile esiste ma, semplicemente, la cultura da cui veniamo dà per scontato che questi ruoli di prestigio spettino agli uomini.
C’è poi un secondo motivo, di carattere pratico. Una delle principali società di consulenza globali, Bcg, nel 2018 ha svolto uno studio su 1.700 aziende in otto paesi. Valutando sia la diversity all’interno della squadra manageriale (cioè la presenza di persone con caratteristiche diverse, in termini di genere e non solo), sia la percentuale del fatturato che deriva da prodotti e servizi lanciati nei tre anni precedenti. I risultati mostrano una correlazione positiva, e statisticamente significativa, tra la diversità e la capacità di innovare. Ciò significa che “queste aziende sono più capaci di adattarsi velocemente ai cambiamenti nella domanda da parte dei clienti”.
A sostegno di Time’s up, iniziativa a difesa delle vittime di molestie sessuali sul lavoro, Condé Nast e Ebay hanno messo all’asta degli abiti indossati durante i Golden Globe 2018.
A una società giusta, equa, capace di crescere, si arriva in tanti modi. Uno di questi è garantire che l’economia – intesa come possibilità di carriera, iniziativa imprenditoriale, distribuzione della ricchezza e così via – non sia più solo “una cosa da uomini”. Eppure, ancora nel 2017, se si parla di economia al femminile in
La parità di genere non è “solo” un pilastro sociale e civile. Anche il mondo della finanza è sempre più attento a riconoscere – e premiare – chi garantisce a uomini e donne gli stessi diritti e le stesse responsabilità. Ne è la prova la scelta di Bloomberg di fondare il Financial Services Gender-Equality Index,