Le guerre scatenate dagli stati ci riportano a prima del 1945 e la tecnologia digitale favorisce le discriminazioni: non ci resta che la mobilitazione dal basso.
Guerre innescate da governi nazionali sconvolgono l’era del diritto internazionale e le popolazioni civili coinvolte nei conflitti ne pagano il prezzo più alto: l’allarme di Amnesty International del nuovo rapporto sui diritti umani.
L’intelligenza artificiale, in rapido mutamento, non è governata e crea terreno fertile per razzismo, discriminazione e divisione in un anno importante dal punto di vista elettorale.
La risposta è dal basso: una mobilitazione popolare senza precedenti per chiedere protezione dei diritti umani e rispetto per l’umanità.
Russia e Israele restano i casi più lampanti, ma non ci sono solo loro: i governi di alcuni tra i più potenti stati del pianeta hanno di fatto riportato l’orologio della storia a prima del 1945, all’epoca delle guerre e delle invasioni lanciate dalle nazioni, scardinando il diritto internazionale e costringendo le popolazioni civili a pagare il prezzo più alto. Inoltre, l’intelligenza artificiale, in rapido mutamento, è lasciata libera di creare terreno fertile per razzismo, discriminazione e divisioni, soprattutto in un anno importante dal punto di vista elettorale come il 2024. La buona notizia? È che di fronte a tutto questo, c’è una mobilitazione popolare senza precedenti, locale e globale al contempo, per chiedere protezione dei diritti umani e rispetto per l’umanità.
Questo è il quadro disegnato dal rapporto 2023-2024 di Amnesty International, pubblicato in Italia da Infinito Edizioni, sulla situazione dei diritti umani a livello globale e in ciascuno del 155 paesi cui l’organizzazione non governativa ha accesso.
Un rapporto, quello di Amnesty International, che lega indissolubilmente il collasso del primato del diritto al rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale e il dominio delle big tech, che sta scardinando regole e paradigmi, anche informativi: senza una regolamentazione di questi sviluppi, avvisa il rapporto di Amnesty International, il mondo rischia un “sovraccarico” di violazioni dei diritti umani. “Il nostro rapporto presenta un fosco quadro di repressione dei diritti umani e di prolifica violazione delle regole internazionali proprio mentre la disuguaglianza globale si acuisce, le superpotenze gareggiano per la supremazia e il cambiamento climatico è in aumento”, spiega Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International. Risultato: “L’ordine mondiale basato sul diritto è sul punto di crollare”.
L’ordine mondiale basato sul diritto è sul punto di crollare
Agnès Callamard
L’allarme di Amnesty International: gli stati si fanno beffe del diritto
Il rapporto 2023-2024 di Amnesty International presenta una cruda analisi del tradimento dei principali diritti umani da parte di leader e istituzioni. Di fronte ai molteplici conflitti, l’azione di molti potenti stati ha ulteriormente danneggiato la credibilità dell’azione multilaterale e ha compromesso l’ordine mondiale basato sul diritto, stabilito per la prima volta nel 1945. Nel conflitto che ha caratterizzato il 2023 e che non mostra segnali di fine, accusa Amnesty International, Israele si è fatto beffe del diritto internazionale a Gaza, da dove continuano ad arrivare prove di crimini di guerra. Ma il rapporto punta il dito anche “sullo sfacciato uso del potere di veto, da parte degli Usa”, per paralizzare per mesi il Consiglio di sicurezza su un’assai necessaria risoluzione per il cessate il fuoco, proprio mentre gli stessi Usa continuano a fornire a Israele munizioni usate per commettere quelli che con ogni probabilità si configurano come crimini di guerra.
Sotto accusa sono anche i “grotteschi doppi standard“ di stati europei come Germania e Regno Unito, che hanno giustamente protestato contro i crimini di guerra della Russia e di Hamas ma contemporaneamente hanno rafforzato l’operato di Israele e il ruolo delle autorità statunitensi nel conflitto in Medio Oriente.
Considerazioni che suonano come un evidente atto d’accusa verso istituzioni come le Nazioni Unite: “La sconcertante mancanza d’azione della comunità internazionale nel proteggere dalle uccisioni migliaia di civili della Striscia di Gaza, tra i quali una percentuale di minorenni orribilmente alta, ha reso patentemente chiaro che proprio le istituzioni create per proteggere i civili e far rispettare i diritti umani non servono più allo scopo. Nel 2023 abbiamo avuto la conferma che molti potenti stati stanno abbandonando i valori costitutivi di umanità e universalità al centro della Dichiarazione universale dei diritti umani”,commenta Callamard. Servirebbe insomma riformare il Consiglio di sicurezza dell’Onu in modo che gli stati membri permanenti non possano brandire il loro incontrollato potere di veto e impedire così la protezione dei civili a vantaggio delle loro alleanze geopolitiche.
L’Ucraina, il Myanmar, il Sudan
Il rapporto documenta inoltre la flagrante violazione delle regole da parte delle forze russe nel corso della loro perdurante invasione su vasta scala dell’Ucraina, che perdura ormai dal 2022, ma si concentra anche su guerre molto meno coperte dai media e dall’attenzione dell’Occidente: il Myanmar dove l’esercito e le milizie alleate hanno condotto attacchi contro i civili che hanno causato, solo nel 2023, oltre mille morti, con il sostegno finanziario e militare dalla Cina.
2/2 Earlier in the afternoon, in the same part of #Kakhovka FPV drones attacked a car with Russian military personnel inside.
Some locals reported three drones – and the car smashed into the market there. pic.twitter.com/cYCq2ZZwkB
Il Sudan dove le due parti in conflitto – le Forze armate sudanesi e le Forze di supporto rapido – hanno dimostrato ben poca attenzione per il diritto internazionale umanitario: qui i morti, solo nel 2023, sono stati 12mila e questo conflitto ha prodotto la più grande crisi di sfollati al mondo, con oltre otto milioni di persone costrette alla fuga e una carestia imminente.
La tecnologia usata per discriminare
Le violazioni dei diritti umani, di ogni tipo e a ogni latitudine, hanno secondo Amnesty International un unico comune denominatore: l’uso distorto delle tecnologie, vecchie e nuove, sempre più utilizzate come armi per aiutare forze politiche repressive a diffondere disinformazione, aizzare una comunità contro l’altra e attaccare le minoranze. Alcuni stati – tra i quali Argentina, Brasile, India e Regno Unito – stanno facendo sempre più ricorso alle tecnologie di riconoscimento facciale per controllare le proteste di piazza così come gli eventi sportivi e per discriminare le comunità marginalizzate, soprattutto le persone migranti e rifugiate. Costretto da un’azione giudiziaria di Amnesty International, nel 2023 il dipartimento di Polizia di New York per esempio ha reso noto come avesse usato la tecnologia per sorvegliare le proteste del movimento Black lives matter.
L’uso del riconoscimento facciale non è mai stato così opprimente come in Cisgiordania, accusa Amnesty, dove è stato impiegato dalle forze israeliane per rafforzare le limitazioni alla libertà di movimento e contribuire a mantenere in piedi il sistema dell’apartheid.
Università, Israele e BigTech
A distanza di un mese, l'#Italia scopre il progetto #Nimbus, di cui parlo da più di un anno su Matrice Digitale, dove Google fornisce un cloud ad Israele per il riconoscimento facciale di tutta la striscia di #Gaza
In Serbia, l’introduzione di un sistema semiautomatico di previdenza sociale ha causato la fine dell’assistenza per migliaia di persone che ne avevano un bisogno vitale, soprattutto le comunità rom e le persone con disabilità, a dimostrazione di come un’automazione priva di controlli possa esacerbare le disuguaglianze.
Riconoscimento facciale, software di raccolta dati e sistemi biometrici e algoritmici utilizzati per prendere decisioni sull’ammissione o meno di migranti alle procedure di asilo, di recente adottate anche dall’Unione Europea, secondo Amnesty contribuiscono anche “a disumanizzare la gestione del fenomeno migratorio e il controllo delle frontiere, rafforzando la discriminazione, il razzismo e la sorveglianza sproporzionata e illegale ai danni delle persone razzializzate”.
Gli spyware, utilizzati in molto paesi per spiare e controllare giornalisti e attivisti, e la rapida crescita dell’intelligenza artificiale generativa ha trasformato il livello di minaccia posto dalla gamma di tecnologie già esistenti: i tentativi di regolamentazione sono rimasti ampiamente al palo, secondo Amnesty International, a parte l’adozione, nel febbraio 2024, del Digital Service Act da parte dell’Unione Europea, sebbene incompleto e imperfetto. Nel 2023 Amnesty International ha denunciato come gli algoritmi di Facebook abbiano favorito la violenza etnica durante il conflitto armato in Etiopia: un esempio da manuale di come la tecnologia venga usata come arma per aizzare le comunità una contro l’altra, soprattutto in tempi di instabilità.
La disinformazione ai tempi delle elezioni
L’organizzazione per i diritti umani prevede che questi problemi aumenteranno in un anno elettorale così importante come il 2024, dato che il modello di business basato sulla sorveglianza domina le principali piattaforme social come Facebook, Instagram, Tiktok e Youtube, agendo dunque come un catalizzatore di violazioni dei diritti umani nel contesto elettorale.
In questo senso grande preoccupazione è riposta per le elezioni presidenziali di novembre negli Stati Uniti. “Le piattaforme social amplificano e diffondono odio, discriminazione e disinformazione grazie ad algoritmi ottimizzati per massimizzare l’ingaggio prima di ogni altra cosa. Creano un ciclo di feedback pericoloso, soprattutto in tempi di maggiore sensibilità politica. Questi strumenti possono generare immagini, audio e video sintetici nel giro di pochi secondi e colpire pubblici specifici in grandi numeri ma le leggi elettorali ancora non sono ancora adeguate a queste minacce. Finora abbiamo ascoltato troppe chiacchiere e visto poche azioni”, ha stigmatizzato Callamard.
Le mobilitazioni e il diritto alla protesta
Ma laddove molti governi non si sono attenuti al diritto internazionale, altri hanno chiesto alle istituzioni internazionali di attuarlo. “Laddove leader di spessore mondiale non si sono schierati dalla parte dei diritti umani, abbiamo visto persone entusiaste marciare, protestare e pretendere un futuro di maggiore speranza”, sottolinea Callamard. A cominciare dal conflitto tra Israele e Hamas che ha generato proteste in ogni parte del mondo, con richieste – levatesi ben prima che molti governi le facessero proprie – di un cessate il fuoco per porre fine all’indicibile sofferenza dei palestinesi di Gaza e di ritorno in libertà di tutti gli ostaggi nelle mani di Hamas e di altri gruppi armati.
Altrove, in molti Stati degli Usa, in Polonia e in El Salvador e perfino in Italia, le persone sono scese in strada per rivendicare il diritto all’aborto mentre si scatenava un attacco contro la giustizia di genere. A Taiwan, il movimento #MeToo e altre organizzazioni della società civile che chiedevano la fine della violenza sessuale online hanno spinto il governo a emendare la Legge sulla prevenzione del crimine di aggressione sessuale. In tutto il mondo altri giovani si sono aggregati al movimento Fridays for Future per chiedere un’equa e rapida uscita dal fossile, l’ultima volta solamente pochi giorni fa.
Dopo anni di campagne, quattro difensori dei diritti umani della Turchia – Taner Kiliç, İdil Eser, Özlem Dalkiran e Günal Kurşun – condannati nel luglio 2020 sulla base di accuse false, sono stati finalmente assolti. E ancora un altro di tanti esempi: in Afghanistan, a ottobre, l’attivista per il diritto allo studio Matiullah Wesa è stato scarcerato dopo aver trascorso sette mesi in carcere solo per aver promosso il diritto delle ragazze all’istruzione e aver criticato le politiche dei talebani di escluderle dalla scuola secondaria. “Il diritto di protesta è fondamentale per fare luce sulle violazioni dei diritti umani e sulle responsabilità di chi governa. Le persone hanno reso abbondantemente chiaro che vogliono i diritti umani: sta ai governi mostrare che le stanno ascoltando”, ha sottolineato Callamard. Proprio sul diritto alla protesta, del resto è incentrata una delle più recenti campagne globali di Amnesty International.
Secondo Amnesty alcuni diritti in Italia, nel 2023, hanno subito contrazioni: dall’aborto alla libertà di espressione, passando per quelli dei migranti.
Ramy Shaath si trova in carcere da oltre due anni e mezzo per le sue attività di opposizione politica al regime. Ora la procura egiziana ha disposto la scarcerazione.
I giovani dei Fridays for Future sono stati nominati ambasciatori della coscienza per il 2019 da Amnesty International, “per la determinazione con cui ci stanno obbligando a confrontarci con la realtà della crisi climatica”.
In tutta l’Etiopia si sono svolte proteste contro il governo per chiedere riforme politiche. La polizia ha sparato sulla folla dando vita ad un massacro.