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Amor proprio, felicità apparente
I “Pensieri” di Pascal costituiscono un punto di riferimento sulla condizione dell’uomo: una sorta di enigma, nella sua inquietudine e ambivalenza, sospeso tra caduta e redenzione, bene e male.
Pascal, come pochi altri filosofi moderni, ha saputo scandagliare
l’anima umana con straordinaria sensibilità esistenziale e
acume psicologico, così come si evince da questo intenso
passo, dove il Nostro analizza l’amor proprio come origine del
male, dell’occultamento della verità, della felicità
solo apparente.
L’amore eccessivo di sé si delinea come la passione negativa
più devastante per l’uomo, che finisce per disconoscere la
sua originaria condizione di finitezza e imperfezione, pensando di
progettare la propria felicità, chiaramente solo fittizia,
sulle false lusinghe e i menzogneri apprezzamenti degli altri.
Ma leggiamo il passo in questione:
“La natura dell’amor proprio e di questo “io” umano è di non
amare che sé e di non considerare che sé. Ma come
farà? Non può impedire che questo oggetto del suo
amore non sia pieno di difetti e di miserie: vuole essere grande e
si vede meschino; vuole essere felice e si vede miserabile; vuole
essere perfetto e si vede pieno d’imperfezioni; vuole essere
l’oggetto dell’amore e della stima degli uomini e vede che i suoi
difetti non meritano che la loro avversione e il loro disprezzo.
Questa difficoltà in cui si imbatte provoca in lui la
più ingiusta e criminosa passione che si possa immaginare;
perché egli concepisce un odio mortale contro questa
verità che lo rimprovera e lo convince dei suoi difetti.
Desidererebbe annientarla e, non potendo distruggerla in se stessa,
la distrugge, in quanto può, nella conoscenza sua e in
quella degli altri, cioè mette tutto il suo impegno nel
coprire i propri difetti agli altri e a se stesso e non può
tollerare che glieli vengano mostrati né che vengano
mostrati ad altri …. Noi non vogliamo che gli altri ci ingannino,
non riteniamo giusto che essi vogliano essere stimati da noi,
più di quanto meritano; non è quindi giusto neppure
che noi li inganniamo e che pretendiamo che essi ci stimino
più di quanto non meritiamo”.
Fabio Gabrielli
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