Amundi e International finance corporation (Ifc) monitorano la crescita dei green bond nei paesi emergenti. E lanciano una strategia da 2 miliardi di dollari.
La ripresa post-Covid dev’essere una ripresa verde e sostenibile. Lo affermano a una voce le principali istituzioni politiche ed economiche mondiali, dalla Commissione europea al Fondo monetario internazionale. Va da sé che ogni progetto ambientale ha bisogno di essere finanziato, e tra gli strumenti più efficaci e affermati per farlo ci sono i green bond, cioè le cosiddette obbligazioni verdi. A testimoniare il loro successo sono i numeri: nel 2020 le emissioni nei mercati emergenti hanno raggiunto i 40 miliardi di dollari e potrebbero tagliare il traguardo dei 100 miliardi entro il 2023.
Cosa dice lo studio sui green bond nei mercati emergenti
Queste stime sono state elaborate da Amundi, il primo asset manager europeo fra i primi 10 operatori a livello mondiale, insieme a International finance corporation (Ifc), organizzazione che fa parte del gruppo della Banca mondiale. Era il 2018 quando queste due realtà hanno iniziato a lavorare fianco a fianco per documentare la crescita degli investimenti in green bond nei mercati emergenti. L’ultimo aggiornamento, relativo al 2020, ha riservato parecchie sorprese.
Anche in un anno complesso segnato dallo scoppio della pandemia da coronavirus, a livello globale le emissioni di green bond hanno toccato i 280 miliardi di dollari. Arrivando così a superare la soglia simbolica dei mille miliardi dal 2007 in poi. Nei paesi emergenti le obbligazioni verdi sono state 174, per un ammontare complessivo di 40 miliardi di dollari da parte di 101 emittenti.
Lo strapotere della Cina e i nuovi ingressi
Nella prima metà dell’anno la Cina ha subìto le conseguenze della crisi sanitaria che, a sua volta, ha fatto sì che il governo incoraggiasse l’emissione di obbligazioni strettamente legate alla pandemia, più che a progetti ambientali. Il rimbalzo dei mesi successivi le ha fatto comunque raggiungere un totale di 18 miliardi di dollari di emissioni: molto meno rispetto ai 30 miliardi degli anni precedenti, ma abbastanza per riconfermarsi come il maggiore emittente tra i Paesi emergenti. A completare il podio sono Cile e Repubblica Ceca, seppure attestandosi su un ordine di grandezza ben diverso: 3,8 miliardi il primo, 2,5 la seconda.
Sette gli Stati che nel 2020 hanno fatto il loro debutto in questo comparto: Armenia, Egitto, Georgia, Ungheria, Kazakistan, Romania e Arabia Saudita. L’Egitto si è accaparrato diversi record, attestandosi come il primo paese arabo e del nord Africa a lanciare sul mercato un’obbligazione verde. Nello specifico, si tratta di un bond sovrano a cinque anni dal valore di 750 milioni di dollari, i cui proventi verranno reinvestiti nelle energie rinnovabili, nella protezione delle zone costiere e nelle infrastrutture per ottimizzare i consumi idrici.
Bisogna incoraggiare gli investimenti verdi
La Cop26 di Glasgow ha ribadito come l’azzeramento delle emissioni nette di gas serra sia una necessità impellente a cui nessuno può sottrarsi: ci sarà dunque enorme spazio per una crescita ulteriore del mercato dei green bond, perché bisognerà riconfigurare radicalmente il nostro intero sistema economico, dall’energia ai trasporti, dall’agricoltura all’industria. “I mercati finanziari sono destinati a svolgere un ruolo chiave nel supportare progetti sostenibili e le prospettive per le emissioni di obbligazioni verdi nei mercati emergenti rimangono solide”, conferma Yerlan Syzdykov, Global Head of Emerging Markets di Amundi.
Perché i flussi di capitale si indirizzino verso la transizione ecologica, mette però bene in chiaro il report, serve una forte spinta da parte delle istituzioni. Sicuramente la tassonomia europea sulla finanza verde avrà un ruolo fondamentale, perché aiuterà a fare chiarezza in un settore che ha assistito a una crescita vertiginosa nell’arco di appena un decennio. Così come sarà cruciale una più vasta applicazione delle raccomandazioni della Task force on climate-related financial disclosure per la rendicontazione dei rischi finanziari legati ai cambiamenti climatici. Serviranno inoltre politiche fiscali ad hoc. Ma ne varrà la pena, perché i benefici si ripercuoteranno sulla società nel suo insieme. “Gli investimenti per lo sviluppo sostenibile sono urgenti e necessari per ridurre le conseguenze sociali ed economiche profondamente negative della pandemia”, sottolinea Jean Pierre Lacombe, Director of Global Macro & Market Research di Ifc.
La nuova strategia di Amundi e Ifc
Ed è proprio in occasione della Cop26 di Glasgow che Amundi e Ifc hanno annunciato la nascita di un nuovo fondo volto ad affrontare la duplice sfida dei cambiamenti climatici e delle disuguaglianze, esacerbate dalla pandemia. La strategia si chiama Build-back-better emerging markets sustainable transaction, è gestita da Amundi e ha una durata decennale. Il suo intento è quello di mobilitare fino a 2 miliardi di dollari di investimenti privati in obbligazioni sostenibili emesse da aziende e società finanziarie nei paesi in via di sviluppo. Un impatto che potrà essere amplificato, perché questa iniziativa fornirà ad altri investitori istituzionali un modello replicabile.
“È necessaria un’azione urgente per evitare che milioni di persone sprofondino nella povertà, per proteggere i posti di lavoro e per garantire un futuro più verde”, ha affermato il direttore generale di Ifc, Makhtar Diop. “Iniziative innovative nei mercati dei capitali possono svolgere un ruolo fondamentale nella risposta mondiale a queste emergenze, stimolando gli investimenti privati, suscitando un nuovo interesse per gli asset sostenibili e supportando la ripresa economica”.
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