In Italia dobbiamo lasciare più spazio ai fiumi, e gestirli in maniera più naturale. Lo dimostra il water defender Andrea Goltara con la sua lotta per le risorse idriche.
“I primi fiumi su cui ho lavorato erano alle Galapagos. Mi ero recato là come volontario. Mi occupavo di trattamento delle acque prima. Poi sono tornato in Italia e ho incontrato il Cirf, Centro italiano per la riqualificazione fluviale. Da allora non ho mai smesso di battermi per tutelarli”.
Andrea Goltara è oggi il direttore del Cirf, associazione con sede a Mestre, in provincia di Venezia, molto attiva su temi tecnici, che magari non è conosciuta dagli attivisti green ma che svolge un importante e prezioso lavoro su norme e regolamenti fluviali, facendo pressione sul Parlamento, sulle regioni o la Commissione europea cercando di dimostrare che si possono gestire i fiumi in maniera più naturale portando benefici economici e ambientali, gestendoli rischio in maniera intelligente.
L’Italia oggi è lontana dai suoi fiumi, culturalmente più che geograficamente
Andrea Goltara
Andrea Goltara per la protezione dei fiumi italiani
“L’Italia oggi è lontana dai suoi fiumi, culturalmente più che geograficamente. In altri paesi come la Francia c’è maggiore abitudine a vivere le aree fluviali e a gestirle in maniera moderna, integrata, ecologica”. Per questo da vent’anni Goltara si batte per convincere gli enti che gestiscono i corsi d’acqua a farlo in maniera diversa. “Dobbiamo lasciare più spazio ai fiumi, gestirli in maniera più naturale dimostrando che in questo modo si raggiungono gli obiettivi di gestione del rischio, di prelievo idrico, di preservazione della biodiversità.
In Italia c’è un grosso gap culturale di ecologia fluviale sulla gestione della natura in generale e in particolare su corsi d’acqua”, racconta Goltara. “Quindi manca quella consapevolezza diffusa di quali sono le leggi e le misure di conservazione e di gestione minime per mantenere dei corsi d’acqua in buono stato”.
Requisiti spesso che in altri paesi sono già stati acquisiti ma che in Italia mancano. “Spesso poi i politici non hanno la sensibilità di capire che fare lavori impattati negli alvei può causare seri danni. Manca proprio il substrato culturale tecnico. C’è ancora un approccio totalmente orientato alla infrastrutturazione alla cementificazione che è molto difficile da abbandonare”. Non importa che sia la gestione disastrosa del Veneto l’ignavia nelle regioni del sud, sono pochi e rari i casi di buona amministrazione fluviale.
“In generale sul dissesto idrogeologico prevale l’applicazione del concetto di ‘messa in sicurezza’ dalle alluvioni, un concetto spagliato che dovremmo abbandonare anche nella comunicazione. Si costruiscono opere di canalizzazione e di escavazione che dovrebbero aumentare la sicurezza del territorio. E invece spesso ottengono l’effetto contrario”.
Goltara poi si batte da anni sull’uso irriguo e l’idroelettrico, in particolare il mini-idro che potrebbe danneggiare gli ultimi corsi d’acqua ancora in buono stato delle aree alpine e appenniniche. “Anche in questo caso si promuove un falso beneficio sociale. Si costruiscono piccoli impianti idroelettrici un po’ ovunque dicendo “lo facciamo per le energie rinnovabili e per il clima”. In realtà il contributo effettivo di questi nuovi piccoli impianti è praticamente trascurabile”. Anche sull’irrigazione è tranchant: “C’è una revisione troppo lenta dei consumi mentre c’è un rapido cambiamento dei regimi idrologici che mette sempre più in crisi i sistemi”.
Da appassionato rematore veneziano, canoista e “esploratore fluviale” conosce tanti corsi da vicino avendoli percorsi e navigati per piacere e per lavoro. E sempre più spesso nota il crescente inquinamento da plastiche ma anche da inquinanti emergenti, spesso legati alla zootecnia e all’agricoltura, ma non solo. “Un inquinamento che insieme alle opere sbagliate mette a rischio la biodiversità fluviale, già minacciata dalle specie invasive aliene, come ad esempio il pesce siluro nel bacino del Po. Ogni volta che facciamo campionamenti ne troviamo sempre di più”.
Riportare i fiumi al loro stato naturale
La soluzione potrebbe essere la rinaturalizzazione dei fiumi. “Noi usiamo il termine riqualificazione, simile all’inglese restoration. Ma in ogni caso si intende qualsiasi azione che porti il corso d’acqua in condizioni più vicine a quelle “naturali”, ovvero quelle che si avrebbero senza le pressioni dovute all’intervento umano. I sistemi fluviali sono dinamici, cambiano nel tempo e soprattutto si adattano alle condizioni e al contorno che naturalmente evolvono. Questo non vuol dire ritornare al fiume come era prima del 1800, ma lasciare più spazio alle dinamiche naturali. La priorità è conservare quei corsi d’acqua che sono ancora in buono stato. Stiamo alterando i sistemi fluviali molto più velocemente di quanto li stiamo rigenerando”.
Si lotta anche per dare identità giuridica ai fiumi come successo in Nuova Zelanda per poterli difendere meglio da un punto di vista legale. “Questo status può aiutare soprattutto perché lega gli interventi di mitigazione e miglioramento a quelli che sono per forza i benefici antropici. Quindi si va a considerare il fiume nella sua interezza dei suoi processi, al di là dei benefici economici. In Europa però ci sono già strumenti importanti. La piena applicazione della Direttiva quadro Acque, applicata pienamente, offrirebbe grandi risultati. Il problema è che ad oggi è stata attuata in maniera troppo timida. E l’Italia in questo senso è assolutamente insufficiente”.
Water Defenders è un progetto di Water Grabbing Observatory per il decimo anniversario del riconoscimento del diritto umano all’acqua. Una serie di interviste da tutto il mondo racconteranno battaglie civili dal basso in difesa dell’acqua. Una lotta intesa sotto tutti i punti di vista, contro l’accaparramento delle risorse e contro le grandi e piccole opere che impattano sulle comunità e sul patrimonio naturale. Una galleria di persone comuni, uomini e donne, che in tutto il mondo difendono un diritto fondamentale. A partire dal 22 marzo, Giornata mondiale dell’acqua, ogni mese Water Grabbing Observatory racconterà su LifeGate la storia di un personaggio che si è speso per tutelare la risorsa più preziosa che abbiamo. Per ribadire il valore del diritto all’acqua.
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