Il 21 settembre Ang Rita Sherpa, soprannominato “leopardo delle nevi”, si è spento a Kathmandu, dopo anni di problemi di salute. Nato a Yillajung, un villaggio in Nepal nella regione dell’Everest, e dopo essere stato una guida sull’Himalaya nepalese per decenni Ang Rita ha scalato la montagna più alta del mondo per l’ultima volta nel 1996. È stato la prima e finora unica persona a raggiungere la cima del monte Everest per dieci volte senza l’uso di ossigeno supplementare.
Ang Rita è diventato un portatore quando aveva quindici anni e presto si è guadagnato una certa reputazione per la sua agilità, rapidità e resistenza. Dopo quindici anni come portatore è diventato una guida di montagna dedicando il suo tempo alle scalate e ad aiutare gli altri a raggiungere la vetta dei monti più belli e imponenti del suo Paese.
This is Ang Rita Sherpa and Peter Jamieson on the summit of Mt Everest (8848 m) on May 7, 1983. This was Ang Rita's first of ten Everest Summits without supplementary Oxygen. Ang Rita died earlier this week, Sept 21, aged 72. Photo Courtesy: Gerry Roach. pic.twitter.com/65l9ntamSP
Quando il neozelandese Edmund Hillary e lo sherpa nepalese Tenzing Norgay hanno raggiunto per primi la vetta del monte Everest il 29 maggio 1953 usando delle bombole d’ossigeno, si pensava che fosse fisicamente impossibile compiere la scalata senza ossigeno.
Al livello del mare l’aria che respiriamo è composta da ossigeno per circa il 21 per cento. A quattromila metri l’ossigeno diventa il 12,5 per cento. A 8.848 metri, l’altitudine dell’Everest, i livelli di ossigeno scendono a 6,9 per cento. Infatti tutte le alture al di sopra degli ottomila metri sono chiamate “la zona della morte“, dove l’aria è così rarefatta da impedire al corpo umano di svolgere le proprie funzioni di base.
Per questo motivo la maggior parte degli alpinisti che cerca di scalare l’Everest utilizza l’ossigeno supplementare. Dal 1953 più di quattromila persone hanno conquistato la cima, ma solo 208 di queste sono riuscite a farlo senza bombole. I primo fu Reinhold Messner nel 1978.
Ang Rita Sherpa: una vita tra nuvole
Tra il ristrettissimo gruppo di alpinisti che non hanno usato bombole d’ossigeno, Ang Rita si distingue per aver portato a termine questa impresa più e più volte.
La sua prima vetta sopra gli ottomila metri è stato il Dhaulagiri (8.167 metri) nel Nepal occidentale, che ha scalato nel 1982 unendosi a una spedizione belga. Questa spedizione, anche per via della difficoltà tecnica della scalata, ha cementato la sua reputazione e gli ha consentito di diventare una guida per l’Everest.
Da allora in poi i suoi successi non hanno fatto che aumentare: Ang Rita è stato la prima persona a scalare l’Everest in inverno senza ossigeno supplementare, il primo a raggiungere la cima dieci volte e l’unica persona al mondo che ci sia riuscita senza bombole d’ossigeno. Per queste imprese si guadagnò il soprannome di “leopardo delle nevi“.
Gli sherpa non hanno supporti
Ang Rita fa parte dei pochissimi sherpa che hanno ottenuto una fama internazionale per le proprie imprese. In questo gruppo compaiono anche Tenzing Norgay e Kami Rita Sherpa, che detiene il record assoluto di scalate del monte Everest (24).
Ang Rita ha concluso la sua carriera di guida di montagna nel 1996 a causa di alcuni problemi di salute causati dalla tragedia dell’Everest del 1996, in cui persero la vita sei scalatori a causa di una tormenta improvvisa. Malgrado i suoi molteplici successi, nei suoi ultimi anni di vita Ang Rita ha avuto diverse difficoltà economiche. Il governo nepalese gli ha offerto un supporto limitatissimo, e Ang Rita è riuscito a vivere basandosi quasi esclusivamente su uno stipendio assegnatogli dall’associazione Nepal Mountaineering Association, che lo aveva nominato direttore cerimoniale.
“Aveva molte difficoltà”, racconta Kami Rita. “Ha reso orgoglioso tutto il Paese, ma il governo nepalese non sapeva nulla della sua situazione. Ci sono molti sherpa che muoiono per il Nepal, e il loro contributo viene a malapena notato”.
Infatti le difficoltà di Ang Rita sono esemplari di un problema molto più esteso espresso più volte in passato dalla comunità sherpa. Gli sherpa sostengono che il loro contributo essenziale alla buona riuscita e alla sicurezza delle spedizioni sull’Himalaya non venga riconosciuto a sufficienza.
Gli sherpa sono un gruppo etnico nepalese che vive prevalentemente nella zona orientale del Nepal. Sono famosi per la loro capacità di lavorare ad altitudini elevate, e ci sono studi che hanno individuato un adattamento genetico dovuto all’esposizione prolungata all’aria rarefatta. Oggi la parola “sherpa” è utilizzata spesso per indicare le guide di montagna o gli aiutanti per le scalate assunti nella zona dell’Himalaya, senza considerare l’etnia delle persone in questione.
Le compagnie turistiche fanno pagare dai trentamila ai centotrenta mila dollari per scalare l’Everest, offrendo di tutto, dall’organizzazione dei permessi ai servizi che rendono la scalata il più semplice possibile. Di contro gli sherpa vengono terribilmente sottopagati e sono esposti ai rischi associati alla permanenza per lunghi periodi ad altitudini estremamente elevate.
Questa situazione è divenuta particolarmente evidente nel 2014, quando sedici sherpa hanno perso la vita a causa di una valanga a Khumbu Icefalls, un passaggio molto pericoloso. Questo evento ha provocato il maggior numero di morti in un sol giorno nella storia dell’Everest.
Le famiglie degli sherpa rimasti uccisi hanno ricevuto solo quattrocento dollari come risarcimento, ovvero meno di un quarto dei guadagni di una stagione per una guida principiante. Una cifra che rivela l’inadeguatezza del supporto del governo nepalese alle persone che rendono possibili le scalate sull’Everest, indispensabili per un settore tanto lucrativo.
Il disastro ha provocato critiche diffuse e proteste pubbliche, che hanno costretto il governo a introdurre alcune assicurazioni sanitarie e sulla vita per tutti gli sherpa che lavorano sulla montagna. Inoltre, i risultati straordinari di persone come Ang Rita hanno reso gli sherpa famosi in tutto il mondo, esercitando un’ulteriore pressione sul governo e sulle compagnie turistiche, affinché le condizioni degli sherpa possano migliorare sempre più.
Nei paesi in via di sviluppo la mobilità elettrica ha anche un valore sociale, perché offre soluzioni semplici, economiche e sostenibili per spostarsi.