Il gatto deve essere accompagnato con intelligenza verso il fine vita. Ma basta poco per rendere la sua terza età più agevole e accettabile.
La nostra ansia fa male agli amici a quattro zampe, alcuni consigli per aiutarli
L’ansia del proprietario può causare problemi comportamentali e malattie a cani e gatti. Ecco come riconoscerli e prevenirli.
Ansia, stress, stati emotivi negativi: tutto quello che percepiamo a livello emotivo può influenzare la vita dei nostri animali domestici, arrivando spesso a originare vere e proprie malattie o disturbi senza una reale patologia alle spalle. Delle possibili ripercussioni psichiche e fisiche dei nostri stati ansiosi sugli amici a quattro zampe abbiamo parlato con la dottoressa Maria-Chiara Catalani, medico veterinario comportamentalista del team di esperti MyLav. Ecco cosa ci ha spiegato.
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Se n’è parlato molto. E tante sono state le ricerche e gli studi che hanno verificato ed evidenziato le possibili correlazioni fra il nostro stato d’animo e quello del cane o del gatto di casa, soprattutto in relazione al recente periodo di quarantena instaurato dal coronavirus.
Ma è davvero possibile che gli stati di ansia e stress dei proprietari influiscano sul nostro compagno a quattro zampe?
Il cane e il gatto vivono una relazione molto profonda con la loro famiglia umana, fatta di convivenza, partecipazione, affettività. Proprio su questa forte vicinanza si fonda la cosiddetta “osmosi emozionale” cioè il passaggio delle emozioni, una sorta di contagio tra due individui che hanno una relazione e un legame. L’ansia, spesso accentuata da situazioni stressanti, è una sorta di deriva patologica di emozioni salvavita come, per esempio, la paura. Si tratta di un’emozione che ha proprio la funzione di tenerci lontani da ciò che potrebbe mettere a repentaglio la nostra vita. Ma l’ansia è anche una deriva che limita il nostro vivere, ci rende nervosi o apatici, irritabili o afflitti e che altera ogni nostro comportamento, rendendoci diversi anche agli occhi di chi abbiamo accanto. Come tutte le emozioni, anche l’ansia può diventare contagiosa e il nostro cane può manifestare comportamenti anomali in determinati periodi, come quello appena trascorso, per esempio, che ci ha fatto provare incertezza e timore per settimane intere.
E per quello che riguarda il gatto, animale senz’altro più elusivo e riservato del cane, come può tradursi questo fenomeno?
Anche il gatto, quando ha un forte legame con noi e vive con molta intimità la famiglia umana, può subire gli effetti della nostra ansia. Per sua fortuna, però, spesso ha un legame di attaccamento meno vincolante per il proprio benessere e può riuscire a preservare la sua serenità anche quando si trova accanto delle persone un po’ provate da un periodo difficile. Ci sono molte più differenze individuali, comunque, in questa specie. Alcuni gatti risentono del nostro stato emozionale, mentre altri ci sono d’aiuto distraendoci dalle nostre ansie e aiutandoci a rilassarci anche nei momenti più difficili, senza assorbirle in alcun modo.
Che tipo di disturbi comportamentali può causare l’ansia del proprietario al cane?
L’ansia di una persona, così come quella del cane, può avere moltissime cause differenti e altrettanti modi di manifestarsi. C’è l’ansia produttiva, quella che ci porta a fare senza sosta, che disturba il sonno, che toglie l’appetito e ci rende più irritabili e che, allo stesso modo, può manifestarsi nel cane che abbiamo al nostro fianco che potrà diventare più irrequieto, irritabile o preoccupato. Oppure c’è l’ansia che blocca, inibisce, rende più fragili e che può portare a una iperprotezione del cane o ad un iperattaccamento, che rende l’animale incapace di trascorrere qualche ora serena in nostra assenza. Tanti sono i disturbi comportamentali che possono scaturire da un rapporto fondato sull’ansia, così come molte sono le problematiche comportamentali non direttamente correlate alla relazione del cane con la sua famiglia, ma provocate dal suo trascorso emotivo.
E dal punto di vista fisico come si può ripercuotere l’ansia?
Le emozioni partono dal cervello, ma si manifestano in tutto l’organismo e da tutto l’organismo possono essere attivate. Tra i più frequenti e evidenti segni clinici di una difficoltà emotiva ci sono le alterazioni gastroenteriche come il colon irritabile con il suo corredo di diarree senza motivazioni apparenti, il vomito, l’inappetenza, la pica. Altre patologie sono quelle urinarie, come le cistitinel gatto, o quelle dermatologiche che spesso cominciano con comportamenti normali ma accentuati, come il leccamento, per poi sfociare in lesioni anche gravi della cute. La visita veterinaria comportamentale è un passaggio fondamentale per l’animale che soffre di una patologia organica con una causa poco chiara, perché consente al medico veterinario di esaminare le possibili problematiche psicologiche, talvolta conseguenti a traumi, relazioni sbilanciate, esperienze negative, gestione inadeguata.
Cosa possiamo fare per evitare fenomeni del genere?
La medicina comportamentale veterinaria è un ambito di studio e analisi molto complesso. Gli animali non possono descrivere il loro disagio interiore, non possono rendere esplicita una sofferenza, non possono scegliere di cambiare la loro condizione di vita. Analizzare la quotidianità, il passato, le dinamiche di relazione nel gruppo di appartenenza, l’ambiente e la routine ordinaria e il comportamento dell’animale ci consente di comprendere l’origine di disturbi, talvolta molto gravi, che lo stesso manifesta con cambiamenti del comportamento o problematiche di relazione con il mondo. Rimedi “fai da te” sono sconsigliati, come in qualsiasi altro ambito medico, ma può essere importante che la famiglia sia attenta a rilevare i primi segni di disagio e li segnali appena si presentano.
Spesso si parla di “dispetti” che l’animale fa ai componenti del nucleo famigliare, per esempio i “bisogni” fuori posto, le distruzioni di oggetti, le vocalizzazioni. Se il proprietario comprenderà che si tratta di espressioni di disagio avrà già dato un contributo importante al suo amico a quattro zampe, evitando di punirlo per una malefatta o di isolarlo o, peggio, di contenerlo magari in una gabbia dentro casa pensando di risolvere qualcosa che richiede, al contrario, supporto, aiuto, comprensione e terapie complesse.
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