L’attenzione verso il consumo di antibiotici è cresciuta notevolmente negli ultimi anni. A partire dalle campagne di sensibilizzazione dell’Istituto superiore di sanità, arrivando alle raccomandazioni degli esperti, il messaggio è univoco: bisogna utilizzare gli antibiotici seguendo attentamente le indicazioni dei medici e soprattutto non abusarne.
Questa cautela è dovuta principalmente a una ragione: dobbiamo tenere sotto controllo la resistenza agli antibiotici, cioè il processo secondo cui i batteri imparano a resistere ai farmaci che in passato potevano debellarli, sopravvivendo e moltiplicandosi anche il loro presenza. Questo fenomeno non è sempre dettato da ragioni naturali, ma può essere causato da un utilizzo improprio di questi farmaci che fa sì che i batteri si adattino alla loro presenza tramite delle modifiche al proprio patrimonio genetico.
This week is World Antibiotic Awareness Week!
The rise of #AntibioticResistance is a global threat. It can affect anyone, of any age, in any country 👶🏽👱🏻♀️🧔🏽👧🏻👨🏻🦰👵🏼👳🏾♂️👩🏻👦🏼👩🏽🦱
L’antibiotico-resistenza è oggi considerata una minaccia alla salute pubblica globale e ha portato l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a produrre raccomandazioni e strategie che possano contenere il fenomeno, mettendo in atto l’approccio cosiddetto One Health che guarda alla salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente come a un tutt’uno.
L’uso di antibiotici negli allevamenti intensivi
L’approccio dell’OMS non è casuale: l’utilizzo su larga scala di antibiotici negli allevamenti intensivi ha un ruolo critico nello sviluppo di resistenza a questi farmaci.
Nel nostro Paese si acquistano ogni anno circa 1.500 tonnellate di principio attivo antimicrobico: 1.067 di queste vengono utilizzate nella zootecnia e oltre la metà finisce negli allevamenti di suini. Solo 500 tonnellate sono destinate all’uso umano.
In Europa, l’Italia è il secondo Paese per utilizzo di antibiotici negli allevamenti, preceduta solo da Cipro: compriamo in media 273,8 milligrammi di antibiotico per unità di bestiame, quattro volte più della vicina Francia (68,6 milligrammi), tre più della Germania (89 milligrammi).
Non sorprende, a questo punto, il dato relativo ai morti per antibiotico-resistenza nel nostro Paese: su 33mila decessi in tutta Europa ogni anno, oltre 10mila avvengono in Italia. In altre parole, in Europa 1 morto su 3 per resistenza agli antibiotici è italiano.
Come avviene il passaggio dagli animali all’uomo?
La trasmissione dagli animali all’uomo di batteri resistenti può avvenire in diversi modi, incluso il consumo di carne cruda oppure il contatto tra carne cruda e altri alimenti o superfici.
Non è da ignorare tuttavia il passaggio di antibiotici dagli animali al terreno attraverso le deiezioni prodotte negli allevamenti intensivi che vengono riversate nell’ambiente. Un rapporto di Greenpeace del 2018 ha messo in luce come la presenza di allevamenti intensivi in Lombardia – e in particolare nella provincia di Brescia – abbia un impatto drammatico sulla salute dei fiumi circostanti, dove sono state ritrovate tracce di numerosi farmaci, inclusi antibiotici.
L’acquacontenente antibiotici può trasferirsi nel terreno, facendo sì che quei batteri già presenti nel suolo possano contaminare il frumento di cui si ciberanno gli animali, ma anche la verdura che finisce direttamente sulle nostre tavole.
Perché vengono somministrati così tanti antibiotici negli allevamenti?
La presenza in spazi molto ristretti di migliaia di animali, combinata con le condizioni igienico-sanitarie presenti negli allevamenti intensivi e la limitata varietà genetica delle specie allevate, fanno sì che il proliferare di batteri e virus in questi luoghi sia pressoché inevitabile. Per mantenere in vita il maggior numero di animali e minimizzare la perdita di profitto risulta quindi indispensabile l’utilizzo massiccio di antibiotici.
Negli allevamenti l’impiego di antibiotici può essere di due tipi: di metafilassi o di profilassi. Nel primo caso, l’antibiotico viene somministrato a un animale malato o a un gruppo di animali che è entrato a contatto con un esemplare malato. In questo caso il trattamento è chiaramente necessario. Nel caso del trattamento profilattico, invece, la somministrazione avviene per trattare in modo preventivo tutti gli animali in maniera indistinta, quindi anche quando sono in salute.
Il trattamento profilattico negli allevamenti intensivi italiani è la norma e questo crea le condizioni perché i batteri imparino a resistere agli antibiotici, determinando un grave rischio per la salute non solo animale, ma anche umana.
Dal 2022 non si potranno più somministrare antibiotici in via preventiva
Dati i rischi derivanti dall’antibiotico-resistenza, a partire dal gennaio 2022 l’Unione Europea vieterà l’utilizzo routinario degli antibiotici, inclusa la somministrazione preventiva.
Secondo Coilín Nunan dell’Alliance to Save Our Antibiotics l’Italia dovrà intraprendere azioni significative per prepararsi al divieto europeo. «L’eliminazione graduale dell’uso routinario degli antibiotici deve avvenire molto più velocemente di quanto non stia effettivamente succedendo e l’allevamento deve migliorare i propri standard per ridurre i livelli di malattie, altrimenti il divieto del 2022 arriverà come un grande shock per gli allevatori italiani, perché non potranno più affidarsi alla somministrazione routinaria degli antibiotici ai loro animali», ha dichiarato Nunan.
Da aprile 2019 gli allevatori che vogliono acquistare antibiotici devono obbligatoriamente essere in possesso di una ricetta elettronica. Tuttavia, stando a un’inchiesta di Milena Gabanelli e Simona Ravizza, i veterinari di diverse regioni riportano che numerosi allevatori sfuggono ai controlli e si rivolgono al mercato nero, oppure acquistano i farmaci online.
La testimonianza di Giulio
Essere Animali è riuscita a documentare più volte l’uso improprio degli antibiotici negli allevamenti intensivi. Durante le nostre indagini sotto copertura, abbiamo potuto vedere con i nostri occhi operatori somministrare antibiotici mescolati al cibo a tutti gli animali, anche a maiali di pochi giorni, senza valutazione veterinaria e senza alcuna evidenza di patologie specifiche.
Giulio ha raccontato: “Lavoravo nell’area parto e ogni giorno si somministravano farmaci sia alle scrofe che ai suinetti. Non ho mai visto nessun veterinario fare le diagnosi delle malattie, la scelta delle medicine da dare era a discrezione di un addetto nell’allevamento. Appena un maiale sembrava debole si trattava con antibiotici a titolo precauzionale, per scongiurare una grossa moria nel reparto. E per evitare problemi abbondavamo con i farmaci”.
Cambiamo prima che sia troppo tardi
Da quando sono entrati in commercio, gli antibiotici hanno profondamente migliorato le condizioni della salute di esseri umani e animali, rendendo possibili trattamenti che oggi consideriamo scontati. Purtroppo, a causa della resistenza a questi farmaci, stanno aumentando nel mondo le infezioni che non si possono più curare.
In Italia l’Escherichia coli resiste agli antibiotici nel 14,6 per cento dei casi; la Klebsiella pneumoniae e lo Staphylococcus aureus nel 29,7 per cento e 34,1 per cento dei casi. Questo dato è destinato ad aumentare impetuosamente ed entro il 2050 l’antimicrobico-resistenza potrebbe arrivare a causare 10 milioni di morti all’anno in tutto il mondo, secondo l’Onu.
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