Aveva seguito tutti gli ultimi processi dell’oppositore russo Aleksej Navalnyj. Raccontato le file di gente al cimitero dopo il suo funerale. Documentato la colonia penale IK-3 dove era stato rinchiuso. E pubblicato i nomi dei giudici che hanno archiviato le indagini sulla sua morte. Ora la giornalista Antonina Favorskaya, 35 anni, è stata arrestata per due mesi per una presunta collaborazione con la fondazione Fbk, creata da Navalnyj, nel 2021 dichiarata estremista in Russia. Rischia fino a sei anni di carcere.
Quello di Antonina è solo l’ennesimo caso di giornalisti finiti in manette per aver fatto il proprio lavoro in Russia. È uno dei più eclatanti, non solo perché, come assicurano i suoi colleghi, lei con l’organizzazione FBK (Fondazione anti-corruzione) non ha mai avuto niente a che fare, ma soprattutto perché qualche tempo fa aveva pubblicato un articolo su come era stato torturato Navalnyj. Mentre veniva condotta fuori dall’aula del tribunale, Antonina Favorskaya ha urlato ai giornalisti che le accuse mosse contro di lei nascevano proprio a seguito di quell’articolo.
Chi è Antonina Favorskaya, la giornalista finita in manette
Una delle prime cose che colpisce di Antonina Favorskaya è la sua capacità di “bucare” la telecamera. Capelli lunghi, occhi scuri, rossetto rosso. Favorskaya è sempre stata abituata a stare davanti ai riflettori. Perché, prima di fare la giornalista, faceva l’attrice. Laureata in giornalismo, ha intrapreso la carriera professionale solo nell’autunno del 2022, dopo aver recitato per molti anni al cinema e a teatro. Da allora ha raccontato i principali eventi politici del Paese sul giornale indipendente Sota Vision.
“Per Tonya (diminutivo di Antonina, ndr) la cosa più importante era dire la verità,ha raccontato Alipat Sultanbegova, amministratrice di un canale Telegram creato per chiedere la sua liberazione. Quando sono iniziati i tristi fatti del 2022, non ha potuto restare a guardare: davanti a così tanta gente indifferente nei confronti dell’operazione militare in Ucraina, Antonina aveva capito che seguire i processi politici era un modo per raccontare la verità”.
Favorskaya si era recata per la prima volta nel villaggio siberiano di Kharp, dove c’è la colonia penale IK-3, insieme all’avvocato di Navalnyj: voleva vedere con i propri occhi il carcere di massima sicurezza dove era stato trasferito l’oppositore. Voleva infatti di realizzare un piccolo film documentario su di lui. All’ultima udienza, prima della sua morte, Antonina era l’unica giornalista presente. Le ultimissime foto e i video che ci restano di Navalnyj ancora in vita li ha fatti lei. Ma, secondo i giudici del tribunale Basmannyj di Mosca, li avrebbe realizzati per conto della fondazione “estremista” Fbk. E così l’accusa chiude il cerchio.
“Le accuse rivolte contro di lei sono semplicemente assurde, ha detto la sua collega di Sota Vision, Aleksandra Ageeva. Antonina faceva il suo lavoro in modo creativo, con grande passione. E per i suoi articoli sceglieva gli argomenti che più di tutti toccavano il suo cuore”.
L’appello alla comunità internazionale per la sua liberazione
A sostegno di Antonina Favorskaya è stato lanciato un appello firmato da oltre 260 giornalisti e difensori dei diritti umani che chiedono alla comunità internazionale un maggior impegno per contrastare le persecuzioni in Russia, per liberare i prigionieri politici e per ampliare i programmi di evacuazione di emergenza per i giornalisti e gli attivisti. L’appello è stato inviato all’Alto commissario dell’Onu per i Diritti umani Volker Türk e alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
Quello di Favorskaya infatti è solo l’ennesimo caso di giornalisti finiti nei guai in Russia. “Al momento siamo a conoscenza di 46 giornalisti coinvolti in casi penali per le loro dichiarazioni contrarie alla guerra. Almeno nove di loro sono in carcere in attesa di sentenza o perché già condannati – ha spiegato a LifeGate Dmitrij Anisimov, addetto stampa di Odv-Info, un progetto indipendente che si occupa della difesa dei diritti umani –. Le autorità russe hanno iniziato a colpire i giornali indipendenti e i giornalisti ben prima dell’inizio dell’operazione militare speciale in Ucraina. Infatti ci sono stati episodi di aggressioni, omicidi e accuse penali anche prima. Già nel 2021 molti giornali indipendenti erano stati dichiarati agenti stranieri nel tentativo di togliere loro i finanziamenti pubblicitari e una parte di lettori”.
E se molti giornalisti russi si sono trasferiti all’estero, ce n’è una parte che continua a lavorare in Russia, esponendosi quotidianamente al rischio di minacce e repressioni. Fra loro, tra l’altro, ci sono moltissime donne. “La maggior parte dei giornalisti russi sono donne”, ha ricordato Elena Kostyuchenko, giornalista di Novaya Gazeta (il giornale di Anna Politkovskaya), intervenuta al Festival del giornalismo d’inchiesta ambientale “Le parole giuste” dove ha ricevuto la menzione speciale Ilaria Alpi. “Queste persone, ricorda Dmitrij Anisimov di ODV-info, si trovano in una situazione molto pericolosa”.
Lo dimostra anche la storia del giornalista Aleksandr Skobov, 66 anni, dissidente sovietico, uno dei tanti prigionieri politici dell’epoca dell’Urss: Skobov è stato nuovamente arrestato la notte del 3 aprile 2024 con l’accusa di “giustificazione del terrorismo” per un post pubblicato sui social network. Rischia fino a sette anni di carcere. In passato, fu arrestato per la prima volta nel 1978 per aver distribuito dei volantini antisovietici e chiuso in un istituto psichiatrico. Fu anche tra gli imputati dell’ultimo processo che si tenne in Unione Sovietica (Urss) per violazione del famoso articolo 70, l’articolo che condannava l’agitazione e la propaganda antisovietica.
Come si legge anche nella lettera aperta a sostegno della giornalista Antonina Favorskaya, e come dimostra questo ennesimo arresto, in Russia sembra essere iniziata una nuova fase nel capitolo della repressione e delle persecuzioni.
La nuova stretta sugli immigrati in Russia
Era opinione comune che la Russia avrebbe vissuto un nuovo giro di vite dopo la rielezione di Putin. E l’attentato del 22 marzo 2024 al Crocus City Hall di Mosca, rivendicato dall’Isis-K, dove sono morte almeno 145 persone, ha accelerato questo processo. Com’era prevedibile, si sono intensificati i blitz e le espulsioni degli immigrati provenienti dal Caucaso e dall’Asia centrale (i quattro uomini accusati della strage sono originari del Tagikistan). La stampa russa indipendente parla di “raid”, e la redazione russa della BBC scrive che “a seguito di questi blitz e dei controlli per strada, le stazioni di polizia si sono riempite di persone detenute per presunti crimini legati all’immigrazione. Nella prima settimana dopo l’attentato, i tribunali distrettuali di Mosca hanno registrato 1.493 casi per presunta violazione delle norme di ingresso o soggiorno nella Federazione Russa da parte di stranieri: si tratta del trenta per cento in più rispetto alla settimana precedente l’attentato. Solamente nell’ultima settimana di marzo si è registrato circa un terzo di tutti i casi di questo tipo registrati nell’arco dell’intero mese”.
A San Pietroburgo è ancora peggio: il numero di casi (584) registrati per presunte violazioni solamente nella settimana del 25 marzo è stato pari al quaranta per cento del totale mensile. Intanto è arrivata la proposta del Ministero russo degli Interni di rafforzare i controlli in ingresso, limitando il periodo di soggiorno temporaneo per gli stranieri e introducendo la raccolta dei dati biometrici.
Peggio dell’Urss di Brezhnev
Nei giorni scorsi il giornalista russo Andrej Loshak, che negli anni delle proteste di Piazza Bolotnaya a Mosca aveva realizzato un film documentario sui ragazzi che riempivano le piazze a sostegno di Navalnyj, ha scritto: “Nel 1976 un gruppo di studenti di sinistra giunse alla conclusione che l’Urss di Brezhnev aveva tradito gli ideali del marxismo. Il giorno dell’apertura del successivo Congresso del Pcus, quei giovani lanciarono dei volantini che incitavano a una nuova rivoluzione. Per quel gesto… furono espulsi dall’università. Oggi ci sembra una sciocchezza, non è vero? Al giorno d’oggi, per dei cartellini attaccati al supermercato dove raccontava la verità sulla guerra, Sasha Skochilenko si è beccata sette anni di carcere”.
Le riflessioni di Loshak trovano conferma anche nello studio condotto dal progetto indipendente Proekt.Media: negli ultimi sei anni (all’incirca nell’ultimo mandato di Putin), per “estremismo” e critiche rivolte alle autorità in Russia sarebbero state processate più persone di quante ne siano state processate per “atteggiamento anti-sovietico” sotto Brezhnev e Khruschev. Incrociando i dati dei tribunali, dell’archivio di Stato, documenti del KGB e articoli di giornale, i giornalisti di Proekt.Media si sono accorti che dal 2018 al 2023, fra procedimenti penali e amministrativi, i russi direttamente colpiti dalla repressione sono stati più di 116mila.
Nuova chiamata alle armi in Russia
Nel frattempo il primo aprile in Russia è iniziato l’arruolamento obbligatorio per 150mila soldati: è la chiamata alla leva che viene fatta normalmente due volte all’anno, in primavera e in autunno, ma che prima riguardava i ragazzi fino a 27 anni, adesso fino a trenta. Nei giorni scorsi la Bbc, insieme al giornale russo indipendente Meduza, è riuscita a confermare il nome di cinquantamila uomini dell’esercito russo morti in Ucraina: il 43 per cento di loro, prima del febbraio 2022, non aveva alcun rapporto con le forze armate. Anche se non si può parlare propriamente di “seconda ondata di mobilitazione”, e anche se questi ragazzi probabilmente non verranno spediti subito sulla linea del fronte in Ucraina, secondo alcuni analisti si tratta a tutti gli effetti di un rafforzamento delle forze armate. Probabilmente in vista di una nuova offensiva all’inizio dell’estate.
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