In Piemonte, a pochi chilometri dal confine francese, la Valle Maira offre tutto ciò che chi ama l’autenticità dei territori montani cerca.
“Se in Appennino non c’è niente, cos’è il tutto?”. Un documentario racconta la sua bellezza nascosta
Oltre a essere frontman degli Ex-Otago, Maurizio Carucci da vent’anni fa il contadino in Val Borbera, una terra ricca ma poco valorizzata. Per questo ha deciso di darle voce con un documentario nato camminando, AppenninoPOP.
Parlare di territorio, inteso anche come lavorare la terra, con il cantante di uno dei gruppi della scena indie italiana più in voga di questi ultimi anni, può sembrare strano. Ma Maurizio Carucci, frontman degli Ex-Otago, da più di vent’anni fa il contadino e ha una cascina e un’azienda agricola in Val Borbera e per lui è tutto naturale, come dev’essere. E proprio per raccontare questo territorio dove vive e lavora, ha messo in cantiere un progetto: si chiama AppenninoPOP è sarà un documentario grazie al quale scoprire e valorizzare queste aree spesso definite depresse, che hanno invece tanto da offrire. Un viaggio lungo un’intera valle per parlare con chi vive queste terre, ne conosce i limiti e le potenzialità e vuole che l’Appennino torni a essere una possibilità. Il racconto della genesi di questo progetto nelle parole dei protagonisti: Maurizio Carucci, coautore con Elisa Brivio, e Cosimo Bruzzese, regista del documentario. Si parte per l’Appennino, l’AppenninoPOP.
AppenninoPOP è nato attraversando la Val Borbera, una zona poco conosciuta, dove si trova?
Elisa: una delle caratteristiche della Val Borbera è quella di essere al centro di quattro regioni: si sviluppa in gran parte nella provincia di Alessandria dove i toponimi spesso portano l’aggettivo ligure perché storicamente, prima dell’Unità d’Italia, queste terre erano appunto della Liguria che ora è solo a pochi chilometri. Inoltre, per qualche metro, c’è uno sconfinamento in Lombardia grazie al monte Chiappo, dal quale si vede anche la val Boreca in Emilia Romagna, parte dell’Appennino piacentino. Quindi una valle incastonata e influenzata da molte realtà.
Come è nata l’idea di realizzare un documentario su questa fetta di Appennino?
Maurizio: mi sono accorto, vivendo e lavorando qui – perché sto spendendo la mia vita tra musica, canzoni e Appennino – che questo territorio è visto in maniera distorta. Mentre ha un valore, enorme, in molti ambiti: culturale, esperienziale, naturalistico e per la biodiversità che custodisce. Sento tanti dire che qui non c’è nulla, ma se in Appennino non c’è niente, cos’è il tutto? Io vorrei semplicemente, con la mia esperienza e con il nostro documentario, dare il valore giusto alle cose. Questa terra ha molto da dare: cibo, ricette, prodotti tipici e tradizioni che, soprattutto in questo momento storico, sono da salvaguardare. Tutto è nato perché io amo fare viaggi a piedi e, anche nel documentario che stiamo realizzando, proprio mentre cammino, racconto la Val Borbera.
Qual è lo scopo del documentario?
Maurizio: oggi, quando si parla dell’Appennino, si pensa a territori feriti, messi ai margini e quelli che lo abitano sono considerati gli ultimi. Nulla viene valorizzato. Chiunque qui è costretto a giocare in difesa, deve lottare per qualcosa. La terra condiziona tutto: le persone, i loro umori. Spesso in Appennino leggi cartelli che recitano “Area depressa”: non è piacevole vivere in un luogo definito in questo modo, perché poi rischi di crederci. Tutto questo a me non va e mi piacerebbe scardinare queste credenze. Non vorrei più sentire che non si può fare niente, che non c’è lavoro.
Elisa: l’intenzione di tutti noi è quella di narrare un territorio importantissimo a livello nazionale, ora invece considerato marginale e secondario. Questi (pre)giudizi escludono l’Appennino dalle frequentazioni, dai passaggi e tutta l’area dà un’immagine di sé sotto tono.
Cosimo: il mio fine ultimo è sensibilizzare soprattutto i giovani, farli innamorare dell’Appennino. Non voglio e non c’è bisogno di convincerli, ma è bene presentargli un’altra opzione: quella per cui si può vivere in un modo “nuovo”, anche in territori come questo che ora, per una miopia diffusa, non sfruttano le potenzialità che invece hanno.
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Perché il documentario si chiama AppenninoPOP?
Maurizio: si chiama pop perché vorremmo che questi argomenti fossero di tutti. Infatti se l’Appennino non è sostenuto è un problema – dal punto di vista idrogeologico, boschivo, naturalistico, ecc. – di ognuno di noi. Anche di questo parleremo nel documentario: dei molti ruoli che questo territorio ha e che vanno difesi e di temi come lo spopolamento della campagna, la biodiversità agricola, la varietà di prodotti. È bene rendersi conto che se l’Appennino scomparisse, sarebbe un guaio per tutti. Così, allo stesso modo, vorrei che nelle tavole di tutti, non solo della gente di qui, finissero non solo i prodotti della terra, ma anche le problematiche. Non basta che un territorio sia gestito da addetti ai lavori, occorre che se ne occupi anche la gente comune. Io nel pop ci credo, metto del pop in ogni cosa che faccio. Pop per me non vuol dire poca ricercatezza, banalità, ma al contrario avere il coraggio di farsi capire da tutti, da più persone possibili. Pop è un ponte.
Come immagini l’Appennino tra qualche anno?
Maurizio: vorrei che l’Appennino e questa valle diventassero cool, fighi, in senso positivo. Perché i prati, i fiumi, i campi sono cose bellissime e possono farci godere e vivere meglio. Per riuscirci sto cercando di creare e mostrare bellezza. Non è facile ora farlo qui, anche perché siamo in pochi, ma le persone sono sempre attratte dalla bellezza e quindi sono fiducioso. Il mio desiderio è che l’Appennino diventi una terra ripopolata, certo non come un tempo, perché è cambiato tutto, ma immagino un ripopolamento dolce, che gli permetta di essere considerato un posto come un altro, degno di essere vissuto con piacere, e rientrare così nei progetti delle persone. In questo senso ci guadagneremo tutti, perché qui la natura è forte e da sempre, si sa, la natura è una grande maestra.
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Cosa c’è di bello, di unico, da vedere in Val Borbera?
Maurizio: io se dovessi far conoscere a qualcuno la Val Borbera, lo porterei sulla dorsale del monte Ebro, un lungo crinale che si attraversa in 4 ore di cammino, dal quale poi si vede la pianura e anche il mare. Per arrivarci si attraversano boschi bellissimi. Per avere bellezza non è sempre necessario andare ad alta quota. Le curve di questi luoghi mi hanno influenzato molto: tutte le canzone degli ultimi 3 dischi sono nate qui. Soprattutto “In capo al mondo”, realizzato mentre mi stavo trasferendo in valle.
Elisa: io invece amo “Le Strette”, perché è un posto dove posso mettere i piedi nell’acqua o immergermi. Quando ci arrivi è una sorpresa: uscendo dall’autostrada, si accede alla bassa valle e lì incominciano a intravedersi le colline. Poi, a un certo punto, verso la val Borbera, la valle si chiude improvvisamente e le montagne diventano alte: ciò che ti trovi davanti è una strada molto panoramica, un canyon dove si intravede il fiume e si può fare il bagno. Per gli abitanti delle zone limitrofe, e anche per me, è un angolo incantevole.
Cosimo: a me piace perdermi sulle due ruote in giri spesso casuali e così ho conosciuto la Val Borbera. Solo dopo ho scoperto che Maurizio stava lì. Mi sono innamorato subito delle montagne di fronte a casa sua.
Dove e quando si potrà vedere il documentario e come è possibile sostenere il progetto?
Elisa: la raccolta delle interviste in giro per la Val Borbera e la realizzazione delle riprese è al giro di boa, quindi siamo fiduciosi di terminare il lavoro e di riuscire a distribuirlo nel 2020. Abbiamo ricevuto sostegno da Fondazione Cariplo che ha preso a cuore il progetto, da Fondazione Garrone attraverso ReStartApp e dal Collegio Carlo Alberto. In molti hanno creduto in AppenninoPOP e per questo abbiamo aperto una campagna crowfunding perché chi lo desidera, partecipi concretamente alla realizzazione del documentario. Oltre a un aiuto economico, ci piacerebbe ricevere suggerimenti, idee e incontrare quanta più gente possibile alle presentazioni che stiamo organizzando in giro per l’Italia. Siamo partiti con un’idea ma poi si è trasformata, anche grazie alle persone che abbiamo incrociato: è il bello del prodotto documentario, un lavoro di ricerca, di inchiesta, una vera e propria esperienza sul campo.
Cosimo: il nostro è un progetto indipendente, che può contare su pochi fondi. Per questo dobbiamo ingegnarci e creare qualcosa di bello con mezzi limitati, è una sfida. Per quanto riguarda la distribuzione, AppenninoPOP nelle nostre intenzioni avrà una durata che possa andare bene per uno spazio culturale televisivo, quindi seguiteci e cercateci lì!
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