L’ara dalle ali verdi è un pappagallo originario della foresta amazzonica. Grazie ad un progetto di rewilding questi coloratissimi uccelli sono tornati a vivere nelle foreste dell’Argentina.
Los Esteros del Iberá, “acqua splendente e scintillante”. Ad osservarla dal finestrino non stupisce che il popolo dei Guaraní abbia scelto questa espressione per descrivere la zona paludosa situata nella Mesopotamia argentina, nel nordest del paese.
Un’immensa distesa d’acqua su cui la luce del sole si riflette in ogni punto. L’erba è così verde da sembrare dipinta con l’acrilico e, a interrompere lo sguardo, solo gruppetti di “isole” ricche di alberi d’alto fusto, a ricordare come anticamente qui scorresse il fiume Paraná.
Sul ciglio della strada sterrata, gruppi di bufali d’acqua recentemente introdotti per aumentare la produzione di carne, si immergono sotto lo sguardo assonnato di decine di capibara e di caimani. In cima alla staccionata che divide i territori controllati dai gauchos, nome con cui, nel Cono Sud del continente americano, si identificano i mandriani, alcune civette delle tane fanno la spola con il cunicolo che si sono scavate nel terreno mentre, lontano, garze e cicogne spiccano il volo spaventate dal rumore di una gip.
D’un tratto, l’azzurro quasi monotono del cielo viene interrotto da un fascio di piume rosso fuoco.
“Quello è uno dei pulcini che ha spiccato il volo da poco”, spiega Constanza Holzmann biologa e tecnica di campo all’interno del progetto di reintroduzione dell’ara dalle ali verdi (Ara chloropterus) coordinato da Rewilding Argentina negli Esteros del Iberá. “Fino a 150 anni fa, questo incredibile uccello abitava le foreste del nordest dell’Argentina, comprese quelle che circondavano il fiume Paraná e le aree circostanti nel nord e nel centro del Parco Iberá. La sua presenza a Corrientes è stata citata da diversi esploratori, compreso Alcides D’Orbigny. Poi, a causa della perdita di habitat e della caccia intensiva, principalmente per la carne o le piume, molto richieste sul mercato europeo, o per detenerli come animali domestici, sono scomparsi causando gravi danni all’ecosistema oltre che determinando una perdita culturale importante”.
Mentre racconta dell’impegno portato avanti dalla fondazione Rewilding Argentina insieme alla provincia di Corrientes e all’amministrazione dei parchi nazionali, la sua collega Laure Disson, laureata in antropologia sociale e ambientale che qui è venuta a lavorare come volontaria innamorandosi perdutamente di questi luoghi, sta monitorando i movimenti di Toba, l’unico pulcino che non ha ancora lasciato il nido.
“Solitamente gli ara depongono due, al massimo tre uova, di cui uno viene abbandonato, che si schiudono dopo 28 giorni. Alla nascita, i pulcini pesano circa 28 grammi ma Toba era così piccolo da non arrivare a 21 grammi. Siamo dovuti intervenire, forzando un po’ la mano con la natura e integrando l’alimentazione che fornivano i genitori. Sono occasioni eccezionali e, di norma, non interagiamo mai con loro e ci limitiamo a monitorarne i progressi, nel nido, attraverso delle telecamere accese 24 ore su 24. Ma il loro destino, qui, è ancora molto precario e la perdita anche solo di un esemplare è un’eventualità che dobbiamo evitare a tutti i costi”. Mentre racconta, Disson mi porge una sorta di marionetta dalle sembianze di un Ara adulto che viene usata per nutrire i piccoli che hanno bisogno di un supporto dal punto di vista alimentare, così da non associare il cibo alle mani dell’uomo.
I nuovi esemplari
Da quando, nel 2015, è iniziato il progetto di reintroduzione all’interno di quella che è una delle aree umide più diversificate del pianeta, 45mila chilometri quadrati di lagune, acquitrini e isole galleggianti che ospitano ben il 35 per cento degli uccelli argentini, Iberá ha visto la popolazione di ara dalle ali verdi ampliarsi fino a contare 38 esemplari di cui ben 14 sono nati in libertà.
“I primi esemplari rilasciati provenivano da sequestri o da donazioni da parte di giardini zoologici e centri di recupero della fauna selvatica, il che complica notevolmente il lavoro e che ha richiesto una buona dose di iniziativa da parte dello staff. Se, infatti, i pulcini che nascono in libertà imparano tutto dai propri genitori, quelli provenienti da situazioni di cattività necessitano di un vero e proprio addestramento alla vita selvaggia”, continua Holzmann.
Per questo, dopo una prima fase nel centro di quarantena di San Cayetano, situato a pochi chilometri da Corrientes, la più antica città della zona nordorientale dell’Argentina e capitale dell’omonima provincia, tecnici e volontari incaricati del progetto si preoccupano di insegnare a questi uccelli a volare.
L’azione viene stimolata lasciando frutta autoctona di cui si nutrono gli ara in natura su varie piattaforme posizionate tra gli alberi all’altezza in cui dovrebbero naturalmente trascorrere le loro giornate. Questo fa sì che imparino a spostarsi da un ramo all’altro, allenando le ali e prendendo confidenza con le loro innate capacità.
“Gli ara sono frugivori per eccellenza e svolgono un ruolo molto importante nelle dinamiche ecosistemiche delle foreste pluviali di Corrientes. Sono esperti nella dispersione di frutti e semi di grandi dimensioni e la loro assenza dagli Esteros de Iberá ha rappresentato un pericolo per la propagazione delle specie arboree che popolano gli isolotti e le foreste della regione”
Constanza Holzmann
“Per questo – continua Holzmann – ci teniamo molto a che imparino a nutrirsi solo di frutti autoctoni e non di quelli provenienti da esemplari alieni, come i pini, che oltre ad essere eccessivamente ricchi di grassi, sono una specie invasiva che è stata portata qui a fini commerciali e sta di fatto soppiantando le foreste originarie”. Inizia poi la scuola di riconoscimento dei predatori per cui viene utilizzata una volpe impagliata che funge da dissuasore, spaventando gli uccelli e impedendo loro di scendere a terra. Un’azione, questa, che normalmente non dovrebbero mai compiere nel corso della loro vita allo stato selvaggio.
Nonostante gli enormi passi avanti compiuti negli ultimi anni, e il sostegno ricevuto da parte della comunità locale che, nel ritorno di animali carismatici come gli Ara dalle ali verdi vede un potenziale turistico a lungo ignorato, rischi e pericoli sono ancora molti e alcuni di questi sono ben visibili lungo tutto il cammino che percorriamo per avvistare i fratelli di Toba: Charrua, Pampa e Atahualpa che, con grande stupore da parte del gruppo di lavoro, non smettono di spostarsi da un isolotto all’altro, in quella che sembra una vera e propria attività esplorativa.
“Nel gennaio 2022 sono scoppiati diversi focolai di incendio che hanno interessato gran parte del Parco Iberá, comprese le colline di Cambyretá dove si trovavano le coppie di riproduttori e i pulcini. Nonostante gli sforzi e le cure ricevute per più di un mese, due piccoli sono morti in seguito alle esalazioni di fumo, mentre altri due sono stati liberati insieme ai genitori dopo otto mesi di convalescenza. Un altro incendio è arrivato qualche mese più tardi, durante la stagione estiva, a riprova di quanto gli effetti dei cambiamenti climatici, in particolare la mancanza di pioggia e temperature sempre più alte, unitamente alla tecnica del taglia e brucia, che prevede l’incendio legale e controllato di vaste aree per rinnovare il pascolo, siano un pericolo che non possiamo sottovalutare e che, se non considerato a medio e lungo termine, mette a rischio gli eccellenti risultati che abbiamo raggiunto”.
Il rewilding degli ara dalle ali verdi
Il progetto di reintroduzione si inserisce nell’ambito di un’ampia opera di rewilding del cono sud del continente portato avanti da Rewilding Cile e Rewilding Argentina, organizzazioni nate dalla Tompkins Foundation che, a sua volta, è il frutto dell’impegno e dell’amore per la natura di due filantropi statunitensi, Douglas e Kristine Tompkins, ex fondatore di North Face ed Esprit l’uno e precedente amministratrice delegata di Patagonia, l’altra.
Il termine rewilding è stato usato per la prima volta negli anni novanta dall’ambientalista Dave Foreman e descritto come il recupero su larga scala delle aree selvagge attraverso la reintroduzione della fauna selvatica autoctona o il ripopolamento delle popolazioni non più funzionali. Obiettivo ultimo è quello di ridare funzionalità agli ecosistemi e consentire loro di prosperare in modo autosufficiente.
A new idea is taking hold at COP28: that wild animals can help stabilise the global climate 🌎 🐘
We must partner with nature. Biodiversity needs a seat at the table at the 2023 UN Climate Change Conference! 🍃🐘 #COP28https://t.co/zzBnGIiD2y
Questa strategia di conservazione si è dimostrata particolarmente efficace nel far fronte alla crisi ecologica e climatica, oltre ad essere fondamentale per raggiungere l’obiettivo di limitare l’innalzamento della temperatura terrestre di 1.5°C come richiesto dall’Accordo di Parigi. È stato dimostrato, infatti, che ecosistemi sani e funzionali sono in grado di assorbire e immagazzinare carbonio contribuendo efficacemente alla mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici. Una capacità che i progetti di rewilding sono in grado di potenziare da 1,5 a 12 volte, in quella che viene chiamata la riattivazione del ciclo del carbonio.
Il 29 ottobre 2018, le raffiche di vento della tempesta Vaia hanno raso al suolo 40 milioni di alberi in Triveneto. Una distruzione a cui si sono aggiunti gli effetti del bostrico, che però hanno trovato una comunità resiliente.
Continua ad aumentare il numero di sfollati nel mondo: 120 milioni, di cui un terzo sono rifugiati. Siria, Venezuela, Gaza, Myanmar le crisi più gravi.