Arabia Saudita, 81 condanne a morte eseguite in un giorno

Mentre il mondo guarda alla guerra in Ucraina, in Arabia Saudita è stato eseguito il numero di condanne a morte più alto della storia del paese.

  • Le condanne a morte sono state tutte eseguite sabato 12 marzo 2022.
  • Le organizzazioni per i diritti umani continuano a denunciare in Arabia Saudita processi scorretti, accuse false e torture a carico degli imputati.
  • C’è massima allerta per la possibile ed imminente esecuzione di altre 31 persone, tra cui 5 minorenni.

81 esecuzioni sono avvenute nella giornata di sabato 12 marzo in Arabia Saudita. La maggior parte delle vittime apparteneva alla minoranza religiosa sciita. Sette erano yemeniti, uno invece era siriano. I corpi non sono stati restituiti alle famiglie e sono state vietate anche le tumulazioni e i necrologi sul web.

“Probabilmente non è un caso che un tale numero di condanne a morte sia stato eseguito in un solo giorno, mentre tutti i paesi sono impegnati a seguire quello che sta accadendo in Ucraina”, sostiene Adil Alsaeed, vicepresidente dell’Organizzazione saudita europea per i diritti umani (Esohr) intervistato da LifeGate. “Forse Mohammed bin Salman crede che il mondo ora abbia bisogno del suo petrolio per sopperire alla crisi del gas russo e per questo ignorerà questo crimine atroce. Su 81 persone, solo 12 erano presenti nella lista dei condannati a morte redatta dalla nostra organizzazione”, secondo Alsaeed, che dal 2016 vive come rifugiato politico in Germania. “Questo ci spaventa enormemente. Anche se il report delle condanne a morte processuali è per noi una priorità assoluta, nella maggior parte dei casi non abbiamo la minima informazione. Nessun accesso ai procedimenti e agli atti”.

pena di morte Arabia Saudita
Da sinistra Muhammad al-Shakhouri, Aqil Al-Faraj e Asad Shuber Ali. Sono tre degli 81 condannati a morte sabato 12 marzo 2022 © ESOHR

Cos’è successo ai condannati a morte in Arabia Saudita

Assad Makki Shuber Ali, classe 1984 era stato arrestato nell’aprile del 2017, mentre accompagnava la moglie alla scuola dove lavorava. L’Esohr, che ha seguito la vicenda giudiziaria, ha dichiarato che Shuber Ali era stato messo in isolamento per quattro mesi, durante i quali aveva subito continue percosse e minacce. La confessione gli era stata estorta sotto una tortura così cruenta da provocargli gravi lesioni alla colonna vertebrale; ma per il sistema penale saudita le confessioni fatte sotto tortura hanno piena valenza giuridica.

Tra le accuse a carico di Shuber Ali: l’adesione ad un’organizzazione terroristica armata, che non è mai stata provata, la partecipazione a manifestazioni e sit-in con esternazione di slogan politici.

Nonostante le denunce di tortura riportate alla corte e la richiesta di ammettere la registrazione delle telecamere per mostrare cosa fosse realmente avvenuto durante gli interrogatori, il giudice ha condannano Shuber Ali alla pena di morte, portata a compimento il 12 marzo scorso.

La denuncia delle organizzazioni dei diritti umani

Sempre secondo l’Esohr, sorte simile è toccata a molti altri giovani, come Aqil al-Faraj, 31 anni, arrestato nel dicembre del 2013 dopo essere stato fermato a un posto di blocco. Il numero di telaio non corrispondeva a quello indicato sulla targa. Dopo un interrogatorio di tre ore che sembrava essersi concluso senza accuse, è partito invece l’arresto con capi di imputazione sempre nuovi e diversi arrivati a sorpresa anche a cinque anni di distanza dal primo fermo.

Elettroschok, sigarette spente sul corpo, privazione del sonno, sono stati solo alcuni dei metodi adottati per costringerlo ad una falsa confessione, che Aqil al-Faraj ha tentato di denunciare, inutilmente, durante il processo.

Proteste Arabia Saudita
La protesta in Turchia contro le violazione dei diritti umani del principe Mohammed bin Salman © Chris McGrath, Getty Images

La promessa non mantenuta dell’Arabia Saudita di abolire la pena di morte

“È importante ricordare che, solo alcuni giorni fa, Mohammed bin Salman, in un’intervista televisiva rilasciata al giornale americano Atlantic, aveva dichiarato l’intenzione dell’Arabia Saudita di eliminare la pena di morte per tutti i reati, ad esclusione di quelle connessi all’omicidio per i quali la pena capitale è prevista dal Corano”, aggiunge Alsaeed.

“Questa esecuzione di massa, preceduta nella maggior parte dei casi da processi scorretti e da torture gravissime, dimostra chiaramente che le sue ammissioni sono false, dal momento che molte delle persone che sono state uccise non erano accusate di omicidio. Ho letto migliaia di pagine di documenti processuali delle persone condannate a morte”, conclude Alsaeed.

Mohammed bin Salman con Vladimir Putin
Il principe saudita Mohammed bin Salman con Vladimir Putin durante il G20 tenutosi in Argentina nel 2018 © Amilcar Orfali, Getty Images

I diritti umani da una parte e l’urgenza del petrolio saudita dall’altra

Con lo scoppio della guerra guerra in Ucraina e il susseguirsi di sanzioni contro la Russia, terzo produttore al mondo di petrolio, ma primo esportatore globale, l’Occidente sta affrontando il tema dell’approvvigionamento energetico. Secondo il Wall Street Journal, il principe saudita ha recentemente rifiutato i colloqui telefonici chiesti dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden.

Biden, dopo aver vietato l’importazione del petrolio proveniente dalla Russia, ha cercato un contatto con l’Arabia Saudita per discutere di una coalizione a favore di Kiev e del blocco del prezzo del barile. Dal canto suo, il principe reggente contesta agli Usa lo scarso supporto dato al suo paese nella guerra in Yemen e in una lunga intervista dal titolo Potere assoluto rilasciata sempre all’Atlantic dice apertamente di “non essere interessato al parere di Biden” e apre all’intesa con la Cina: “Sa dov’è il potenziale nel mondo oggi? È in Arabia Saudita – ha detto il principe 36enne al giornalista Graeme Wood – e se voi americani volete perderlo, credo che in Oriente le persone saranno molto felici di questo”.

La replica del principe saudita sul caso Khashoggi

Con l’amministrazione Biden, fino a poco tempo fa erano gli Stati Uniti fino a voler rifiutare i rapporti bin Salman, anche a seguito dell’uccisione del giornalista saudita del Washington Post, Jamal Khashoggi, scomparso all’interno dell’ambasciata saudita a Istanbul, dove si era recato per portare avanti le pratiche di divorzio nell’ottobre del 2018. Secondo il rapporto della Central intelligence agency (Cia) dopo l’uccisione, il corpo di Khashoggi è stato smembrato e fatto scomparire. La Cia non ha dubbi: il mandante è Mohammed bin Salman.

Interrogato da Grame Wood sul caso Khashoggi, il principe ha dichiarato: “Ovviamente non ho ordinato io la sua uccisione. È stata una questione dolorosa anche per me. Anche io ho dei sentimenti.” Lasciando anche intendere che il giornalista non era abbastanza importante da rientrare nella lista delle persone da eliminare. “Non ho mai letto un articolo di Khashoggi in vita mia – aggiunge il principe reggente –, se fossi stato io il mandante avrei scelto un bersaglio più rilevante e assassini più competenti”.

Diritti umani Arabia Saudita Jamal Khashoggi
Hatice Cengiz denuncia la responsabilità del regime saudita dell’omicidio del compagno Jamal Khashoggi ©Chip Somodevilla, Getty Images

Anche Boris Johnson cerca l’apertura dell’Arabia Saudita

Il Regno Unito ha promesso di azzerare l’importazione di petrolio dalla Russia entro fine anno e nei prossimi giorni sarà il primo ministro inglese Boris Johnson a volare in Medio Oriente, proprio a ridosso dell’esecuzione di massa, per convincere Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti ad aumentare la produzione di petrolio. Scelta contestata da diversi esponenti parlamento britannico, soprattutto perché a ridosso dell’esecuzione di massa.

Paura per la sorte di altre 31 persone tra cui 5 minori

Intanto le organizzazioni per i diritti umani sono in massima allerta per l’esecuzione che potrebbe essere imminente di altre 31 persone, tra cui cinque minorenni. “Questa è la lista di casi che abbiamo documentato”. Commenta ancora il vicepresidente dell’Esohr Alsaeed. “Posso però dichiarare che questo numero è solo la punta dell’iceberg, perché molte persone hanno paura di comunicare con le organizzazioni di difesa dei diritti umani. Sanno che il governo saudita reputa tale azione un crimine gravissimo”.

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