Loujain al-Hathloul era stata arrestata nel 2018 per aver guidato una macchina, diritto allora precluso alle donne. È stata condannata a 5 anni e 8 mesi di reclusione.
Cinque anni e 8 mesi di carcere: è arrivata ieri la pesante sentenza di condanna per Loujain al-Hathloul, l’attivista per i diritti delle donne detenuta in Arabia Saudita dal 2018, dopo essere stata arrestata con l’accusa di terrorismo per aver guidato una macchina – diritto allora non riconosciuto alle donne – dopo essere stata protagonista proprio di una campagna per il diritto di guidare l’automobile.
Condannata un’attivista per i diritti
Loujain, che ha compiuto 31 anni in carcere lo scorso 31 luglio, era stata accusata di aver “incitato a cambiare le regole del Regno” e di aver lavorato con la sua attività online per introdurre una “agenda straniera” in Arabia Saudita. Il giudice l’ha ritenuta colpevole di aver violato l’articolo 43 della legge antiterrorismo.
Loujain, in vari incontri con i familiari, aveva denunciato di essere stata torturata e molestata durante la sua detenzione, a partire dal 16 maggio 2018, quando era stata arrestata con un’altra dozzina di attiviste impegnate nella stessa campagna.
La Corte ha scontato dalla condanna gli oltre 2 anni e mezzo che la donna ha già trascorso in carcere, e in più ha concesso una sospensione della pena di due anni e 10 mesi, che in base alla legge sarà considerata nulla se la giovane tornerà a commettere altri reati. In questo modo, come ha scritto su Twitter la sorella minore Lina al-Hathloul, Loujain potrebbe quindi tornare libera già a febbraio 2021. “Mia sorella non è una terrorista ma una attivista”.
“Loujain al-Hathloul libera” e più diritti alle donne
All’udienza erano presenti anche rappresentanti delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani. L’ufficio dell’Onu per i diritti umani ha chiesto il rilascio immediato dell’attivista. “Come abbiamo già detto più volte pubblicamente, chiediamo la liberazione rapida di Loujain al-Hathloul”, ha detto un portavoce del ministero degli Esteri francese.
Se la condanna a cinque anni e otto mesi di reclusione, a cui Loujain può fare appello alla entro trenta giorni, fosse confermata, “si tratterebbe di una sentenza scandalosa”. In questo modo ha commentato invece Amnesty International, che ritiene l’attivista una prigioniera di coscienza: “Ha commesso l’unico reato di aver promosso e portato avanti campagne per riforme autentiche a favore dei diritti delle donne”.
I diritti delle donne in Arabia Saudita: dal voto alla guida, ma non basta
Loujain aveva iniziato a farsi domande sulla condizione delle donne nel suo paese da bambina e quelle domande sono diventate azione al suo ritorno dagli studi universitari in Canada. Dal 2014 ha animato il movimento Women to drive e si è letteralmente messa al volante, attraversando provocatoriamente il confine tra gli Emirati Arabi Uniti, dove lavorava e viveva, e l’Arabia Saudita. Nel 2015 si era candidata alle elezioni, quando per la prima volta la monarchia saudita aveva concesso alle donne l’elettorato attivo e passivo, ma il suo nome non era mai stato aggiunto alle liste elettorali.
Arrestata una prima volta nel 2014 per essersi messa alla guida, fu rilasciata dopo 73 giorni. Nel 2018 è andata peggio: dopo un arresto e il rilascio all’inizio dell’anno, il 15 maggio gli agenti hanno fatto irruzione nella casa di famiglia nella città di Riad e l’hanno portata via. Da allora ha cambiato tre carceri, le imputazioni erano vaghe e facevano riferimento al suo attivismo per i diritti delle donne e il processo, dopo vari rinvii, è stato sospeso a causa della pandemia. Questo fino alla condanna del 28 dicembre 2020.
Condanna resa più soft dal possibile rilascio ad inizio 2021 dopo comunque oltre due anni di detenzione, forse per non irritare il presidente eletto americano Joe Biden che già in campagna elettorale non aveva risparmiato alla giustizia saudita critiche nette, promettendo – se eletto, come poi accaduto poi a novembre – di rovesciare il sostegno incondizionato offerto da Donald Trump ai sauditi chiedendo conto delle violazioni dei diritti umani del regno del Medio Oriente.
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